L’Impero Romano è stato uno dei più grandi della Storia e uno dei segreti della sua forza e della sua stabilità nei secoli è da ricercarsi nella capacità di fare propri gli usi ed i costumi dei popoli che assoggettava.
La birra fu uno di quei prodotti che, pur non essendo originario della cultura romana, entrò lentamente e non senza difficoltà a farne parte. Il destino della bionda bevanda, infatti , non fu quello di essere adottata tal quale, come avvenne per molte altre tecnologie e prodotti (a differenza, ad esempio, in campo architettonico del capitello ed in campo mitologico del Pantheon delle divinità greche).
Raffigurazione di banchetto romano.
Uno dei più illustri Romani, Plinio il Vecchio, circa 2000 anni fa, tra il 23 e il 79 d.C., scrisse il suo «Naturalis Historia», in cui si premurò di precisare – nel XXXVII libro – che la birra a Roma era conosciuta, ma poco consumata (per lo più impiegata nella cosmesi femminile), mentre era molto apprezzata e largamente diffusa nelle Province dell’Impero: dalla penisola iberica, alla Francia, all’Egitto.
Ed ancora, le birre che noi oggi consideriamo “tedesche” sono simili a quelle che già Tacito cita, descrivendole però in termini tutt’altro che lusinghieri, come «un vino d’orzo, grossolano, dal sapore sgradevole».
Nell’antica Roma era, infatti, il vino la bevanda per eccellenza. In realtà non era il vino che siamo abituati a consumare e degustare oggi. Si trattava di una sorta di mosto d’uva, fermentato naturalmente (quindi tecnologicamente non standardizzato), dal sapore pressoché disgustoso. Per ovviare, i nobili ed i ricchi Romani aromatizzavano il vino con spezie e dolcificanti, come ad esempio il miele, ricavandone il “Mulsum”.
Vi era peraltro un vero e proprio rito di passaggio all’età adulta durante il quale il fanciullo, che fino ad allora poteva bere solo acqua e latte, era sottoposto alla cerimonia della vestizione con la “Toga Virilis” (gli abiti dell’Uomo) e durante la quale gli si faceva consumare, ufficialmente per la prima volta, la bevanda dell’uomo, ovvero il vino.
Anfore romane, impiegate per la conservazione di vino, birra e olio.
La birra era una bevanda, come già detto, poco consumata e, per lo più, era apprezzata dalle donne. Vi era già allora la credenza che il consumo di birra durante la gravidanza favorisse la produzione di latte, sulla scorta della medicina tradizionale ereditata dagli Egizi. Da questa convinzione, probabilmente, deriva il disprezzo per la bevanda che, per questa sua presunta proprietà, fu classificata come “destinata alle donne” e quindi non “virile”.
A mano a mano che la civiltà romana diveniva più florida e cosmopolita, anche la birra cominciò ad essere apprezzata. Si narra che le cotte in stile iberico fossero molto gradite perfino da Nerone, che sembra ne facesse largo uso. Questa bevanda però, ancora una volta fu legata ad eventi per lo meno discutibili: pare che la birra consumata dall’Imperatore gli fosse inviata dallo sfortunato Silvio Ottone, marito di Poppea, che l’imperatore aveva trasferito su suo diretto ordine in Portogallo, in modo da poterne frequentare la moglie!
Una Storia affascinante che però ci lascia con un interrogativo: chissà come reagirebbero Plinio il Vecchio e Tacito sapendo che gli Italiani del ventunesimo secolo, eredi della Gloriosa Roma, bevono grandi quantità del paglierino “unguento femminile”?!?