L’etichetta della birra: cosa comunica?

Come già approfondito in una precedente pubblicazione, le informazioni presenti in etichetta giocano un ruolo fondamentale nella caratterizzazione e pubblicizzazione della birra.
La legislazione in materia di etichettatura ha come obiettivo di garantire al consumatore una comunicazione sufficientemente completa, veritiera, trasparente e non ingannevole, per questo definisce regole stringenti in merito alle informazioni che devono o possono essere apposte.
Aspetto “peculiare” è l’assenza di una norma comunitaria che regolamenti il prodotto birra. Le indicazioni da riportare a livello nazionale sono quindi quelle previste nella legge 1354/1962 e successive modifiche e quelle in generale indicate per i prodotti alimentari nel D.lgs. 109/1992 e successive modifiche.
L’etichetta della birra deve riportare le seguenti indicazioni, che devono obbligatoriamente comparire nello stesso campo visivo (non sempre la parte più “appariscente” dell’etichetta è l’etichetta principale):

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Etichetta esemplificativa, completa delle sole informazioni obbligatorie per legge.

  • denominazione di vendita: rappresenta il nome del prodotto e deve corrispondere a disposizioni (definizioni) comunitarie o nazionali. Per la birra, le denominazioni di vendita del prodotto birra ammesse sono (NB: le prime due si caratterizzano sulla base del TAV, mentre le ultime tre per il grado saccarometrico del mosto di origine):
    Denominazione TAVE (% v/v) Grado Plato saccarometrico
    Birra analcolica inf. a 1,2 tra 3 e 8
    Birra leggera o light tra 1,2 e 3,5 tra 5 e 10,5
    Birra sup. a 3,5 sup. a 10,5
    Birra speciale sup. a 3,5 sup. a 12,5
    Birra doppio malto sup. a 3,5 sup. a 14,5
  • titolo alcolometrico volumico effettivo (TAVE): indica la quantità totale di alcool che un alimento contiene ed è un’indicazione obbligatoria solo per le bevande aventi un contenuto di alcool superiore a 1,2% in volume.
  • lotto di produzione: è un’indicazione finalizzata ad identificare il prodotto e ad individuarlo sul mercato. Qualora, infatti, si verifichino situazioni tali da comportare unritiro o richiamo del prodotto dal mercato, il lotto consente di identificarefacilmente la localizzazione dell’alimento non conforme limitando le operazioni ad una o più partite identificate e non all’intera produzione immessa al consumo. Ecco perché il lotto, oltre che rispondere ad un requisito di legge, rappresenta uno strumento di gestione della rintracciabilità sia all’interno che all’esterno dell’azienda.
  • termine minimo di conservazione: rappresenta la data fino alla quale il prodotto si mantiene inalterato a patto che venga conservato nelle condizioni opportune. Questa informazione deve essere riportata con la dicitura ” da consumarsi preferibilmente entro” quando la data contiene l’indicazione del giorno, oppure con la dicitura ” da consumarsi preferibilmente entro la fine” seguita dalla data. Queste diciture indicano che il produttore garantisce che fino a quella data il prodotto manterrà inalterate le proprie caratteristiche come aroma e colore. Al consumo del prodotto immediatamente dopo il termine minimo di conservazione non è associato un ragionevole rischio per la salute del consumatore.
  • riferimenti del produttore o confezionatore: sulla parte piana del tappo o sulla chiusura, a caratteri leggibili ed indelebili, di altezza e larghezza non inferiore a 2 millimetri, deve essere riportato il marchio che valga ad identificare l’azienda o il nome o la ragione sociale del produttore e la sede dello stabilimento di produzione (integrazione dell’art. 12 della Legge 16.8.1962 con l’art. 10 della Legge 16.7.1974).

  • sede dello stabilimento
  • volume nominale: le bottiglie e gli altri recipienti, destinati al consumo diretto, devono avere solo capacità volumetriche pari a centilitri 20, 33, 50, 66 (per ogni capacità l’art. 12 della Legge 16.8.1962 indica anche le rispettive tolleranze consentite). Per la birra confezionata in lattine è consentita la capacità di 34 centilitri.
  • eventuale presenza di solfiti: secondo quanto disposto dalla “normativa allergeni” (Dir. CED 89/2003, recepita in Italia con il D. Lgs. n. 114 del 8 febbraio 2006 e il D. Lgs. n. 178 del 27 settembre 2007, integrata dalla Direttiva CE 68/2007)
  • ingredienti: l’elenco degli ingredienti non è richiesto se la gradazione alcolica supera 1.2% vol., ma normalmente viene riportato. Una eventuale aggiunta di frutta, succhi di frutta, aromi, o altri ingredienti caratterizzanti il prodotto, indicati con l’acronimo QUID – Quantitative Ingredient Declaration – impone che ne sia dichiarata la quantità in valore percentuale, calcolato al momento del suo utilizzo e non sul prodotto finito, e subito dopo il nome dell’ingrediente evidenziato.

Oltre queste indicazioni, al produttore è consentita la possibilità di riportare altre informazioni, anche su etichette secondarie, quali l’etichetta nutrizionale, consigli d’uso, informazioni in merito alla modalità di produzione… L’elemento peculiare di questa comunicazione è che deve essere veritiera, verificabile e tale da non indurre in inganno il consumatore.

 

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