A guardarla nel suo bicchiere, ammantata di uno scuro quasi impenetrabile, sembrerebbe quasi di trovarsi al cospetto di una Ale dall’accento albionico, pronta a dissetare gli avventori di una qualche chiassosa Public House d’oltremanica. E invece la prima sorpresa che riserva questa birra si svela al suono del suo nome: Schwarzbier, suono duro, che poco nasconde delle sue origini tedesche. “Birra nera” la traduzione letterale, senza troppi fronzoli, quasi una dichiarazione di intenti. Perché se è vero che nel ventaglio della produzione birraria tedesca moderna non molto spazio è riservato alle gradazioni di colore più scure, è altrettanto vero che storia e caratteristiche della Schwarzbier sono di quanto più teutonico si possa immaginare: sobrietà, eleganza, pulizia.
Le origini della Schwarzbier affondano nel bel mezzo dello scorso millennio, nel cuore della Germania, dove attorno al 1500 nella regione della Turingia pare sia nato questo stile tanto antico quanto attuale. Come spesso accade quando si parla di birra, però, è sempre arduo definire con certezza quando, dove e chi abbia dato vita ad un determinato stile. Nella maggior parte dei casi, anzi, non esiste un momento preciso che segna la comparsa di una tipologia birraria ben definita. Più spesso si tratta di veri e propri processi evolutivi, spesso molto lunghi, di trasformazioni lente e graduali. La stessa Schwarzbier è infatti ben conosciuta e prodotta da secoli anche nelle aree limitrofe alla Turingia, come ad esempio nel nord della Franconia (vi dice qualcosa Kulmbach?).
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Parlando di Shwarzbier si può però almeno convenzionalmente menzionare il birrificio che più di tutti assurge a marchio iconico dello stile in questione: la Köstritzer Schwarzbierbrauerei. Come si evince dal nome parliamo di un birrificio situato nella piccola cittadina di Bad Köstritz, fondato nella prima metà del 1500. Un birrificio che nel corso della sua plurisecolare vita ha attraversato innumerevoli vicende, fino all’acquisizione nei primi anni ’90 del secolo scorso da parte del gigante Bitburger. Quale che sia stato il villaggio, la cittadina e il birrificio d’origine, la Schwarzbier porta però con sé l’essenza della fierezza di una terra in cui la storia, quella passata per Erfurt, Jena, Weimar, tanto per citare rimembranze scolastiche e non solo, ha scritto pagine decisive, ma che dalla storia non si è mai fatta trascinare via, restando legata spesso a suggestioni di un passato più che mai presente, come messo in mostra con fierezza dai numerosi villaggi e cittadine dall’affascinante volto medievale.
Ma torniamo alla nostra Schwarzbier, finalmente versata nel più classico dei boccali in vetro con manico, liscio, non lavorato, o perché no, in un bicchiere a colonna conica, svasato, per ammirarne meglio i riflessi. L’aspetto di questa birra è sobrio, ma lascia spazio a una buona dose di spunti cromatici: il suo tipico marrone scuro, quasi nero, lascia solitamente intravedere bei riflessi rubino puliti e netti (è pur sempre una lager, le velature seppur nel buio del suo colore, non sono ammesse). La schiuma è presente, fine, ma non eccessiva, di colore beige chiaro, con una buona persistenza.
Al naso ci si attende legittimamente di trovare aromi tostati, ed in effetti prevalgono i sentori dei malti più scuri, senza però raggiungere livelli di consistenza troppo alti: è uno stile che deve fare dell’equilibrio e dell’armonia la sua nota distintiva, per cui niente esplosioni sensoriali, ma rassicurante delicatezza. In bocca una buona Schwarzbier non è invadente, ma anzi al palato risulta snella e tendente al secco, con un gusto caratterizzato dal tostato e reminescenze di cioccolato amaro e caffè, a volte anche liquirizia. Pur essendo una birra in cui la componente maltata, morbida e pulita (inaccettabili amaro e astringenza dei malti tostati più “spinti”), la fa da padrona lungo tutto il sorso, il finale non deve essere tendente al dolce, dovendosi preferire gli esempi che terminano con un amaro progressivo (ma limitato) che accompagna a una moderata secchezza. Inutile dire che la componente alcolica non deve essere quasi per nulla avvertita, data anche l’esiguità del peso etilico dello stile, che si attesta quasi sempre tra i 4° e i 5° alc.
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E il luppolo? Nelle versioni tradizionali europee serve solo per l’amaro, ma chi proprio non riesce a fare a meno dei sentori tipici della nostra pianta rampicante preferita può orientarsi verso produzioni d’oltreoceano (e chi l’avrebbe mai detto?): molti artigiani americani già da tempo hanno mostrato interesse per questo stile, apportando la più classica dose di muscoli a stelle e strisce a questo stile di per sé forse fin troppo leggiadro per i palati americani, con luppolature più intense e grist di malti più complessi.
Cosa abbinare, infine, a tavola a questa birra all’apparenza “semplice” ma dal carattere ben definito? La risposta la troviamo in piatti dal gusto intenso e magari anche dal profilo leggermente speziato. Ovviamente la Schwarzbier non può che essere compagna felice di arrosti di carne e salsicce alla brace. Per gli amanti dei formaggi, invece, un abbinamento interessante potrebbe essere quello col Munster-Géromé, pure lui non eccessivamente complesso ma dal gusto molto deciso.
E se ancora non vi è venuta voglia di bere un’ottima Schwarzbier, potete seguire l’esempio di Johann Wolfgang von Goethe il quale, nel corso di uno dei suoi numerosi viaggi, soggiornò proprio a Bad Köstritz, dove ebbe l’occasione e il piacere di bere boccali e boccali di nettare nero, a suo dire per rimettersi da un periodo di malattia, ma forse anche per dare sollievo al suo animo tormentato con una poesia dai versi eleganti e raffinati. Una poesia tedesca, tinta di nero.