Wiibroe Bryggeri

Tratto da La birra nel mondo, Volume V, di Antonio Mennella-Meligrana Editore

Helsingør/Danimarca
Birrificio della Zelanda del Nord, fondato nel 1840 dal mercante e birraio Carl Wiibroe acquistando la piccola attività di Christen Jeppesen che produceva la solita birra di frumento.
Qualche anno dopo iniziò a produrre la nuova birra bavarese e fu il secondo birrificio, dopo la Carlsberg, a vendere in Danimarca la birra in bottiglia.
Alla morte di Carl Wiibroe, nel 1888, subentrò il suo assistente, Carl Heise, e, nel 1898, l’azienda fu trasformata in società per azioni.
Intanto, la Wiibroe, nel 1885, era stata il primo birrificio al mondo a utilizzare lievito puro nella produzione di birra fermentata a bassa gradazione alcolica; nel 1896, aveva cominciato a produrre la pilsner. Nel 1903 introdusse la pastorizzazione della birra bianca, metodo utilizzato successivamente per tutti i prodotti. Nel 1908 lanciò la NAB, ovvero Birra Non Alcolica. Nel 1927 iniziò a produrre anche acqua minerale.
Alla morte di Carl Heise, nel 1929, la fabbrica fu rilevata dal cofondatore della società per azioni, il colonnello Hans Peter Parkov che, nel 1932, fu sostituito dal figlio Knud.
Con le importanti espansioni, nel 1950 e nel 1960, il quadro per ulteriori estensioni era completamente esaurito. Sicché, alla fine degli anni ’60, cominciò un trasferimento nei quartieri industriali nella parte occidentale della città. Nel 1984 infine, fu deciso di spostare la fabbrica completamente.
Ma ormai, dal 1964, la quota di maggioranza della Wiibroe Bryggeri era nelle mani della Carlsberg, che aveva inteso scongiurare l’intromissione nel mercato danese di società straniere.
Nel 1998, fu addirittura trasferita la produzione a Copenaghen, anche se la sede rimase a Helsingøre fu mantenuta un’organizzazione di vendita indipendente per le birre.
La Wiibroe collabora con il brewpub Apollo di Copenaghen; mentre, date le radici storiche, la sua birra è l’unica a esser bevuta nella Zelanda del Nord.
Wiibroe Pilsner, pilsener di un limpido colore dorato chiaro (g.a. 4,6%). La ricetta risale al 1896. La carbonazione è abbastanza sostenuta; la schiuma bianca, non così generosa, sottile, cremosa, di rapida dissoluzione anche se lascia un bel pizzo al vetro. L’aroma appare impresso più da un cereale tostato che da un rampicante erbaceo, e si propone con una certa dolcezza, tra sentori di paglia e grano bagnato, di pane e caramello, con un sottofondo di spunti floreali, terrosi, anche fruttati aciduli. Il corpo medio tende decisamente al leggero, in una briosa consistenza acquosa. Il gusto è quello classico danese, con piacevole terrosità e amarore di note floreali in ottimo equilibrio con un malto granuloso, accompagnato da fieno, mela, lievito speziato. Il finale arriva fresco e asciutto, morbido e amaro. La corta persistenza retrolfattiva cerca di mettere una ciliegina sulla torta, con una sensazione amabile che va esaurendosi lentamente.
Wiibroe Classic, amber lager/vienna di un brillante colore oro ramato (g.a. 4,6%). Con una morbida effervescenza, la schiuma biancastra emerge piuttosto scarsa, nonché di non molta durata e allacciatura. Anche l’aroma si rivela abbastanza modesto, comunque di massima pulizia: malto granuloso, zucchero di canna, un po’ di frutta matura, cereali, miele, pane, caramello; più in là, fieno. foglie verdi, luppolo floreale; mentre dal sottofondo sale qualche spunto acido. Il corpo mostra tutta la sua leggerezza, in una trama squisitamente acquosa. Il gusto, con lieve tendenza alla neutralità, si esprime non tanto dolce e non tanto amaro, direi piuttosto aspro, nel suo piacevole maltato con richiami di noci e nocciole tostate. Un finale amabile, cremoso e fruttato, si dilegua in fretta tra le sensazioni amarognole di un evanescente retrolfatto.
Wiibroe Porter Imperial Stout, baltic porter di un impenetrabile colore nero pece (g.a. 8,2%); il prodotto più prestigioso della casa. Lanciata nel 1930, fu venduta anche all’estero per diversi anni. Poi, nel 2002, la Carlsberg la ritirò per la scarsità delle vendite; ma, nel 2006, ritornò sul mercato. La carbonazione è piuttosto bassa; la schiuma moca, sottile, densa, cremosa, sufficientemente stabile e anche di buona aderenza. L’aroma si libera abbastanza intenso, con sentori di cioccolato fondente, liquirizia, caramello, malto tostato, vaniglia, caffè, frutta scura, cola; come non manca qualche accenno di cenere, fumo, terra. Il corpo medio tende al pieno, in una consistenza spiccatamente oleosa. Nel gusto, denso, morbido, cremoso, ritroviamo parecchi degli elementi avvertiti al naso, cui si aggiungono toffee, zucchero bruciato, cereali tostati, salsa di soia, frutti di bosco, tabacco: e il sapore diventa sempre più delizioso, con un amarore che equilibra la dolcezza, mitiga l’acidità delle tostature e tiene inflessibilmente testa al calore dello scalpitante etanolo. Nel finale, c’è un accenno dell’alcol a esplodere in tutto il suo potenziale; viene però frenato da una secchezza ai limiti dell’astringenza. Nella lunga persistenza retrolfattiva compaiono invece sensazioni dolci, un po’ appiccicose, di un piacevole maltato con blandi richiami di caffè e liquirizia.