Tratto da La birra nel mondo, Volume V, di Antonio Mennella-Meligrana Editore
Bangalore/India
Nel 1857, tra le suggestive colline del Nilgiri dalle estese piantagioni di tè e di caffè, coloni inglesi costruirono la prima fabbrica di birra del Paese, Castle Brewery. Nel 1915 lo scozzese Thomas Leishman, fondendo la Castle Brewery con altre quattro vecchie birrerie dell’India meridionale (Nilgiris Breweries, 1857; Bangalore Brewing Co., 1885; British Brewing Corp., 1903; BBB Brewery Co. Ltd., 1913), costituì a Bangalore, capitale dello stato del Karnataka, la United Breweries Holding Limited.
Fin all’indipendenza del Paese, furono le truppe britanniche ad accaparrarsi la birra prodotta. Poi, tra gli anni ’50 e ’60, l’azienda si espanse notevolmente acquisendo altri birrifici. Rilevando invece, nel 1951, McDowell and Company, una filiale estera di McDowell of Scotland, estese il portfolio al business degli alcolici. Addirittura, con la tedesca Hoechst AG, creò un’azienda farmaceutica, divenuta, col nome di Aventis Pharma, consociata indiana del gruppo Sanofi-Aventis.
Benché impegnato in vari settori, UB Group è il maggior produttore indiano di birra con una quota di mercato di circa il 52,5% in volume. Il suo marchio di punta, la Kingfisher Premium Lager Beer, risulta la birra più consumata nel Paese e la birra indiana più venduta all’estero, anche per la crescente popolarità della cucina etnica, spesso piccante e speziata, cui si abbina a meraviglia.
Sorprendente la serie di riconoscimenti da esso collezionati, a cominciare dal 1994 e 1995 (Stockholm Beer Festival) fino al 2002 (The Brewing Industry Internazional Awards). Mentre, nel 1997, acquisì circa tre quarti delle azioni della californiana Mendocino Brewing Company.
Infine, nel 2016, il presidente della compagnia, Vijay Mallya, lasciò l’India, presumibilmente per sfuggire all’azione legale delle banche indiane che gli avevano fatto prestiti da capogiro.
Kingfisher Premium Lager Beer, premium lager di colore giallo paglierino debole (g.a. 5%). Viene ancora prodotta secondo la ricetta del 1857, e con il distintivo passeraceo dell’Asia sudorientale (martin pescatore) raffigurato sull’etichetta. Ha una quota del 36% nel mercato interno. La fermentazione dura non meno di otto settimane. Con una media effervescenza, la spuma bianca viene fuori sottile, abbastanza pannosa, sufficientemente durevole e aderente. L’aroma si diffonde tenue ma persistente, esprimendo gradevoli sentori di malto, riso, grano, lievito, pane, in primo piano e più in secondo, di luppolo floreale ed erbaceo; mentre dal sottofondo sale un labile spiffero di citronella. Il corpo tende decisamente al leggero, in una consistenza molto acquosa. Il gusto, fresco e pulito, si snoda su buona base di malto dolce e croccante, assorbendo pian piano il delicato amarore di un luppolo agrumato, sin a scomparire nel corto finale asciutto che perde ogni traccia di malto. Con le sue sensazioni sfuggenti, il retrolfatto invoca l’erbaceo della delicata luppolizzazione.