Tsingtao Brewery Company

Tratto da La birra nel mondo, Volume IV, di Antonio Mennella-Meligrana Editore

Qingdao/Cina
Tsingtao, oggi conosciuta con il nome di Qingdao, si trova nel settore orientale della popolosa provincia di Shandong. Fortificata nel 1891, sette anni dopo fu ceduta in concessione commerciale alla Germania.
Potendo contare su un vasto retroterra agricolo, sotto l’amministrazione tedesca ebbe una rapida espansione economica, diventando una vera e propria città moderna e vivace centro commerciale a contatto sempre più stretto con i paesi industriali d’Europa.
In tale contesto, non tardarono a fiorire le luppolaie dei coloni tedeschi. Il 15 agosto 1903 nacque a Tsingtao la Germania-Brauerei con un capitale versato di 400 mila dollari d’argento messicani divisi in 4 mila azioni al prezzo di $ 100 ciascuna. Fu opera della Anglo-German Brewery Co., una società per azioni inglese-tedesca con sede a Hong Kong. Il 22 dicembre 1904 vedeva la luce la prima birra.
Il 16 agosto 1916 un’assemblea generale straordinaria tenuta a Shangai sancì la messa in liquidazione della società e la cessione al gruppo giapponese Dai-Nippon. Il passaggio venne approvato dall’amministrazione militare giapponese il 9 settembre dello stesso anno. Il pagamento del 70% delle quote ancora in mano ad azionisti tedeschi venne portato a termine, per tramite dei liquidatori, nel 1921.
Con la resa del Giappone agli Alleati e il suo ritiro dalla Cina, la Tsingtao fu trasformata in una fabbrica di birra cinese, di proprietà della famiglia Tsui e sotto la supervisione del governo nazionalista a Nanchino.
Poco dopo la fondazione della Repubblica Popolare Cinese, con le politiche comuniste, tutte le azioni private della Tsingtao in mano alla famiglia Tsui furono confiscate e la società divenne un’impresa statale. Negli anni ’50 la sua birra iniziò a essere esportata all’estero, principalmente a Hong Kong, Macao e negli stati del Sudest asiatico. A partire dal 1972 cominciò anche la vendita negli Stati Uniti d’America, dove la Tsingtao diventò la birra cinese più diffusa. Con la privatizzazione poi, nel 1993 avvenne la fusione con altre tre fabbriche di Qingdao e nacque la denominazione attuale, con la quale ebbe inizio una crescita costante.
Nel 1998, tramite una joint venture con Asahi, la Tsingtao aprì un nuovo stabilimento gestito da maestranze locali. Aumentando, nel 2005, al 27% la partecipazione del 5% che già aveva ceduto alla Abheuser-Busch, poté ampliare sia la struttura di vendita che il volume di commercio con l’estero. Ma, nel 2009, la Anheuser-Busch InBev vendette il 19,9% delle azioni al gruppo giapponese Asahi Breweries e le rimanenti quote al magnate cinese Chen Fashu.
Nel 2012 la Tsingtao firmò un accordo con la giapponese Suntory per la creazione di due società in joint venture con sede a Shangai per favorire la produzione della birra e la sua commercializzazione nella zona di Shangai e nella provincia di Jiangsu.
Nel 2017 infine Asahi Breweries annunciò che avrebbe venduto la sua quota in Tsingtao.
Oggi l’impresa di Qingdao è assurta, per importanza, a primo produttore cinese e sesto mondiale. Vanta 59 impianti sparsi in tutto il Paese e produce oltre 70 milioni di ettolitri all’anno.
Grazie al contributo settoriale della sua azienda, dal 1991 la città ospita d’estate la festa internazionale della birra, che richiama migliaia di persone da ogni parte; addirittura si è arricchita nel 2004 del primo museo della birra cinese.
La Tsingtao costituisce insomma il principale marchio birrario del Paese, tra gli ospiti fissi delle grandi e colorate feste organizzate in occasione delle numerose ricorrenze previste dal calendario cinese. Ma è anche la birra più conosciuta oltreconfine. Il prodotto di punta, la Tsingtao, sponsor ufficiale dei Giochi Olimpici di Pechino del 2008, rappresenta da sola oltre il 90% delle esportazioni, dirette verso una settantina di paesi o regioni in tutto il mondo.
E non è soltanto l’ottimo rapporto qualità-prezzo che l’ha fatta imporre sul mercato internazionale. Ha contribuito anche la presenza costante alle grandi feste popolari tradizionali organizzate dalle tantissime comunità cinesi sparse nel mondo (per non parlare dell’enorme rete di ristoranti orientali che privilegiano il prodotto). Negli ultimi anni ha invaso anche il mercato occidentale, come birra di abbinamento con i piatti tipici della cucina cinese. Nei soliti Stati Uniti poi, sotto alcuni aspetti, è arrivata a diventare una birra cult.
Per la produzione, a parte l’intramontabile tecnica tedesca, vengono utilizzate materie prime nazionali e l’acqua particolarmente pura di una famosa sorgente alle pendici del vicino monte Laoshan.
Tsingtao, lager di un brillante colore paglierino intenso (g.a. 4,8%); la risposta della Cina, in una bella bottiglia verde dal logo distintivo, al predominio della Heineken. Con una media effervescenza, la testa bianca, schiumosa e piuttosto irregolare, non dura più di tanto e accusa anche una scarsa aderenza. L’aroma è letteralmente dominato dal riso: malto e luppolo faticano per ottenere una certa distinzione della loro presenza, comunque rimangono costantemente a galla. Il corpo medio tende decisamente al sottile, in una vivace consistenza acquosa. L’inconfondibile gusto luppolizzato delle birre cinesi è qui più intensamente ringalluzzito da nitide note di malto e di vaniglia, con timido sottofondo di mais, grano, metallo; mentre una certa sfumatura erbacea assicura una connotazione rinfrescante e dissetante. Il corto finale dispensa suggestioni secche di luppolo, lasciando nello sfuggente retrolfatto un amarognolo pressoché astringente ma non certo sgradevole, con una punta incisiva di tè verde.
Tsingtao Dark, schwarzbier di colore marrone scuro, quasi nero, con riflessi rossi e dall’aspetto opaco (g.a 5,2%, leggermente variabile per l’esportazione). Benché contenga riso, è di gran lunga il prodotto migliore della casa. La carbonazione è piuttosto leggera; la schiuma cachi, abbondante, spessa, cremosa, non particolarmente durevole ma di buona allacciatura. L’aroma si estrinseca abbastanza intenso, con profumi di caramello, salsa di soia, malto più bruciato che tostato, melassa, cioccolato fondente amarognolo; e, con dal sottofondo, accenni a una ruvidezza da luppolo insufflata di aceto. Il corpo medio tende decisamente al pieno, in una consistenza oleosa pressoché appiccicosa. Anche nei sapori caffè e cioccolato, caramello e salsa di soia, intendono dire con fermezza la loro; ma si tratta di una vaga dolcezza, simile alla cola, che va pian piano stemperandosi tra le note amare di un luppolo terroso, a sua volta, per nulla intransigente, fino a condurre il discreto percorso in un “porto sicuro”, ovvero un finale dalla piacevole combinazione dolceamara. Un mix di sensazioni citriche e liquorose impronta la non certo sfuggente persistenza retrolfattiva.
Tsingtao Stout (Export), foreign extra stout di un impenetrabile colore nero inchiostro (g.a. 7,5%); con aggiunta di riso. La carbonazione è moderata; la schiuma moca, enorme, spessa, pannosa, si dissolve rapidamente lasciando al bicchiere i segni di una buona allacciatura. Benché d’intensità molto elevata, l’olfatto non va al di là di una normale finezza, con malto affumicato, cioccolato fondente, marmellata di prugne, caffè torrefatto, liquirizia, cuoio, tabacco, noci tostate; e, più in secondo piano, caldi sentori vinosi e rudi di luppolo alle erbe. Il corpo medio dispone di una trama leggermente cremosa. Il gusto ha un inizio dolce, di miele, caffè, liquirizia, amaretto, frutta secca, cioccolato, melassa; poi subentrano note amare a equilibrare, di luppolo terroso e tostaure, con, queste ultime, apportatrici anche di una dosata punta di acidità. Il finale, asciutto, dolce, alcolico, sembra esaurire la sua brevità in una consistenza quasi cremosa. Non certo più lungo, il retrolfatto persiste in sensazioni amabili che ricordano il tè cinese ben zuccherato.