The Alchemist

Tratto da La birra nel mondo, Volume IV, di Antonio Mennella-Meligrana Editore

Stowe, Vermont/USA
Microbirrificio nella contea di Lamoille.
John Kimmich scoprì la birra artigianale all’inizio degli anni Novanta, quando ancora frequentava il college a Pittsburgh e facendo ricerche sull’industria della birra appunto.
Terminati gli studi, nel 1994 si recò a Burlington, dall’amico Greg Noonan, proprietario e mastro birraio del Vermont Pub and Brewery dal 1988, nonché autore di molti libri di birra, giudice nazionale nei concorsi brassicoli e figura di riferimento nel movimento craft del New England.
Pur d’imparare il mestiere, nei weekend John lavorò per un anno come cameriere senza stipendio, prima di diventare capo birraio.
Proprio al Vermont Pub conobbe Jennifer, a quel tempo cameriera. Si sposarono e cominciarono a viaggiare, facendo qualsiasi lavoro che trovavano, pur di mettere da parte qualche risparmio.
Finalmente, il 29 novembre del 2003, in un seminterrato di Waterbury, un piccolo comune nella contea di Washington, e con un impianto da 10 ettolitri, nasceva il brewpub The Alchemist Pub and Brewery, nome ispirato da un piccolo alchimista raffigurato nel logo del Vermont Pub and Brewery.
Inizialmente, la produzione si basò soprattutto su birre d’ispirazione anglosassone. Due mesi dopo, dalle spine del pub usciva la Heady Topper, una double IPA che cambiò la vita ai coniugi Kimmich. A quei tempi le IPA non erano molto conosciute nella zona, e chiaramante fecero subito colpo sui consumatori.
Benché prodotta occasionalmente tre o quattro volte l’anno e reperibile soltanto nel brewpub, la birra ebbe un successo strepitoso. Qualche anno dopo si rese indispensabile l’apertura di una seconda location, per passare alle lattine.
La domenica del 28 agosto 2011 avrebbe dovuto fare il suo debutto la lattina di Heady Topper. Arrivò invece l’uragano Irene, e le acque del fiume Winooski allagarono il seminterrato del brewpub rendendo inutilizzabile il tutto.
Fortunatamente, i Kimmich avevano appena investito nella nuova sede in collina, risparmiata dalle acque. Due giorni dopo esordiva la lattina di Heady Topper e, nel giro di poco tempo, la produzione riprese a pieno ritmo con la domanda che cresceva di giorno in giorno.
Poiché le assicurazioni non intendevano coprire la ricostruzione di un birrificio in un seminterrato, dopo un tentativo di ristrutturazione, il brewpub fu venduto e oggi, al suo posto, vi è il Proibition Pig Brewpub.
Pertanto tutto l’interesse dei Kimmich si focalizzò in collina. La piccola tasting room e il punto vendita vennero subito presi d’assalto. Il parcheggio antistante lo stabilimento non riesciva più a contenere il flusso delle macchine dei beergeeks che si riversava sulle strade circostanti creando ingorghi e disagi per i vicini.
A luglio del 2016 The Alchemist inaugurò un secondo e più grande birrificio a Stowe, con ampio parcheggio e giardino con vista sulle montagne circostanti. Qui vengono prodotte quasi tutte le birre, per un totale annuo di oltre 47 mila ettolitri.
Alchemist Heady Topper, double IPA di colore arancio tendente al dorato e dall’aspetto alquanto velato (g.a. 8%). Non filtrata né pastorizzata, richiede la refrigerazione fino alla vendita. Con una modesta effervescenza, la schiuma bianca, enorme, compatta, cremosa, ostenta durata e allacciatura. L’aroma si libera fresco, pulito, a tratti pungente, con agrumi, pompelmo, luppolo floreale, aghi di pino, in primo piano e in secondo, malto, yogurt, frutta tropicale e a nocciolo. Il corpo medio presenta la tipica consistenza a chiazza di petrolio. In estrema secchezza e pulizia maniacale, si esalta, nel gusto, l’eccezionale fragranza degli elementi fondamentali di una double IPA di razza: leggero caramello, tanti agrumi, frutta tropicale, una lieve nota alcolica a rammentare il tipo di birra. Nel finale il calore etilico si sbriglia senza remore, e rimane nella lunga persistenza retrolfattiva a tener compagnia alle impressioni amare, di resina e di terra.
Alchemist Crusher, double/imperial IPA ancora di colore dorato tendente all’arancio e dall’aspetto confuso (g.a. 9%, in passato fino al 9,7%). “Sorella maggiore” della Heady Topper, un tempo era disponibile solo in alcuni periodi dell’anno al vecchio brewpub. La carbonazione è piuttosto contenuta; la schiuma bianchiccia, fine, compatta, cremosa, di eccellente durata. Nella fresca pulizia dell’aroma si esaltano aghi di pino, luppolo floreale, agrumi, frutta tropicale e, un po’ più in là, qualche indizio fin troppo sfocato di caramello. Il corpo medio tende al pieno, nella tipica consistenza a chiazza di petrolio. Non sorprende certo il forte, persistente, amaro del gusto; ma senza il minimo pericolo di sbilanciamento, grazie all’apporto in controtendenza di malto biscotto, agrumi, frutta tropicale e, soprattutto, della notevole attenuazione. Nel finale, le pungenti note resinose e pepate vengono enfatizzate dal calore alcolico. Non meno piccanti, a tratti taglienti, si rivelano, nella lunga persistenza retrolfattiva, le impressioni di resina e di pino, di terra e di scorza di pompelmo.
Alchemist Focal Banger, india pale ale di colore dorato tendente all’arancio e dall’aspetto opaco (g.a. 7%). Realizzata nel 2007, rimase disponibile soltanto alla spina fino al 2013, quando cominciò a essere commercializzata anche in lattina. Con una media effervescenza, la schiuma bianchiccia sbocca fine, compatta, cremosa, tenace e aderente. L’aroma si estrinseca con eleganza, freschezza e pulizia, tra sentori di fiori bianchi, agrumi, frutta tropicale; e, più in là, indizi di erbe, ortica, aghi di pino, luppolo verde. Il corpo medio ha una consistenza leggermente grassa, anche se abbastanza scorrevole. Un’importante base di malto regge a meraviglia, prima, le succose note di frutta tropicale, poi, l’ondata amara della resina con delicate venature piccanti. Nella secchezza del finale emerge una certa astringenza da scorza di agrumi. Impressioni vegetali, erbacee e resinose segnano la discreta persistenza del retrolfatto.
Alchemist El Jefe, black IPA di colore marrone scuro, vicino al nero, e dall’aspetto opaco (g.a. 7%). Con una media effervescenza, la schiuma beige fuoriesce generosa, fine, compatta, cremosa e di ottima tenuta. L’aroma si apre, a dir poco, balsamico, con forti sentori di resina e aghi di pino che lasciano appena spirare qualche indizio di terra e di pompelmo. Il corpo medio presenta la tipica consistenza a chiazza di petrolio. Anche nel gusto resina e aghi di pino si fanno la parte del leone: e l’amaro segna l’intero percorso, con solo qualche labile nota di agrumi e caramello che esala dal fondo. Terra, tostature e una remota sensazione di cioccolato fondente segnano un frenetico finale, preludio di un discreto retrolfatto, amaro e pungente, ai limiti dell’astringenza.