Stroh Brewery Company

Tratto da La birra nel mondo, Volume IV, di Antonio Mennella-Meligrana Editore

Detroit, Michigan/USA
La famiglia Stroh cominciò a produrre birra nel 1775 in una locanda di Kirn an der Nahe (allora nel Regno di Prussia).
Durante la rivoluzione tedesca, Bernhard, il più giovane dei tre figli di Georg Friedrich e Juliana Stroh (nata Nonweiler), emigrò negli Stati Uniti, trovando lavoro presso la Barnitz Brewery di Harrisburg.
Due anni dopo, nel 1850, si trasferì a Detroit, per aprire, in un seminterrato di Catherine Street, un piccolo birrificio, Lion’s Head Brewery, con a emblema il leone araldico del castello di Kyburg, acquistato nel 1424 dalla città di Zurigo con l’estinzione dei conti di Kyburg appunto, uno dei più grandi casati della Germania meridionale.
Cominciò a produrre pilsner nello stile sviluppato in Boemia nel 1842 e che andava vendendo porta a porta in una carriola.
Con gli affari che ormai avevano cominciato a prendere piede, nel 1865 poté acquistare dei terreni vicino a Catherine Street e iniziare la costruzione di un nuovo birrificio, completato nel 1867.
Nel 1882, a soli 60 anni, Bernhard morì. Gli subentrò Bernhard jr., il primo di otto figli, che cambiò il nome del birrificio in B. Stroh Brewing Company.
Nel 1893 la Stroh Bohemian Beer vinse un nastro blu alla Columbian Exposition di Chicago. Nel 1902 l’azienda fu ribattezzata col nome attuale.
Nel 1908, rilevato il birrificio, Julius, il secondogenito di Bernhard, intraprese un giro per i più famosi birrifici europei approfondendo un metodo di produzione antecedente la prima guerra mondiale. Il riscaldamento ossia delle caldaie di fermentazione a fiamma diretta piuttosto che a vapore. E, nella convinzione che le temperature più elevate conferissero più sapore alla birra, le etichette cominciarono a recare la dicitura “Prodotto a fuoco”.
Durante il periodo del proibizionismo la Stroh si arrangiò fabbricando una quasi-birra; nonché altri surrogati, tra cui un diffusissimo estratto di malto.
Poi vennero tempi migliori, e l’azienda poté iniziare una forte espansione. Il primo birrificio acquistato, nel 1964, fu la Goebel Brewing Company (sempre di Detroit), fondata nel 1842 da un altro prussiano di Mustermaifeld Rhenish, August Goebel. Nel 1981 fu la volta della F. & M. Schaefer Brewing di New York, fondata nel 1842 dai fratelli sempre prussiani di Wetzlar Frederick e Maximilian Karl Emil Schaefer. L’anno dopo la Stroh fece il colpo grosso, la Josef Schlitz Brewing Company di Milwaukee (nel Wisconsin), che merita un cenno a parte.
Nel 1849 August Krug, originario di Miltenberg (Baviera), fondò la August Krug Brewery. Morì a soli 41 anni, nel 1856, alcuni giorni dopo che era caduto giù da un boccaporto. Assunse allora la gestione dell’azienda il suo contabile, Joseph Schlitz, per conto della vedova, Anna Marie. Due anni dopo Joseph sposò Anna Marie e diede il suo nome al birrificio, Joseph Schlitz Brewing Company. L’azienda crebbe al punto che il suo prodotto divenne noto come “la birra che rese famosa Milwaukee”. Alla fine però, da una delle maggiori birrerie degli Stati Uniti, prese a navigare in brutte acque, prestando così il fianco al pesce più grosso e vitale.
Nel 1985 la Stroh costruì una modernissima fabbrica a Memphis, nel Tennessee, per produrre una birra chiamata Zima; ma nel 1990 cedette l’impianto alla Coors.
Nel 1996 acquistò la G. Heileman Brewing Company di La Crosse, nel Wisconsin.
Questa azienda fu fondata, come City Brewery, nel 1858 da due immigrati tedeschi, Gottlieb Heileman (del Württemberg) e John Gund (del Baden). Nel 1872, per divergenze di idee (Gund voleva espandersi, Heileman rimanere in ambito locale) la società si sciolse. Il primo, acquistò le azioni Heileman dell’International Hotel e fondò la Gund Brewing Company; il secondo, rilevò le azioni della City Brewery di Gund e ribattezzò il birrificio col proprio nome, G. Heileman Brewing Company.
Sotto la direzione di Heileman, con 3 mila barili di birra all’anno, l’azienda si limitò a rifornire La Crosse e la comunità circostante.
Solo nel 1957, quando Roy E. Kumm, impiegato di lunga data alla Heileman, ne divenne presidente, l’azienda mise in atto un triplice obiettivo: espansione verso nuovi mercati, aumento della capacità produttiva, offerta di marchi molto diversi per raggiungere una vasta gamma di consumatori.
Sicché, quando nel 1987 venne fagocitata dalla Bond Corporation Holdings, la Heileman controllava ben 16 birrifici regionali e disponeva di un portfolio di circa 400 etichette individuali, con oltre 50 marchi diversi. Risultava insomma per importanza la quinta società birraria nazionale.
Poi, col fallimento dell’ambizioso gruppo australiano, la Heileman fu acquistata, nel 1994, dalla società di private equity Hicks che, due anni dopo, la vendette alla Stroh.
Dal 1996 dunque l’impresa di Detroit era il quarto produttore statunitense, e vantava otto stabilimenti. Sull’etichetta della birra di spicco, Stroh’s, teneva a precisare Family Brewed and Family Owned since 1775 (“Produzione e Conduzione Familiare dal 1775”). Chiaramente, l’anno è quello in cui iniziò in Prussia la produzione brassicola da parte degli Stroh.
In considerazione del numero dei birrifici appartenenti alla compagnia, l’assortimento delle proposte era vastissimo; e venivano utilizzati diversi marchi. Non solo. La Stroh fabbricava anche alcune birre su licenza, come quelle della Pabst. Nello stabilimento di Saint Paul, nel Minnesota, produceva su appalto la gamma della Pete’s Brewing Company di Palo Alto, in California. Aveva invece chiuso, nel 1985, l’impianto di Detroit, ormai obsoleto e senza possibilità di espansione.
In particolare:
Ultimamente era stata sviluppata una linea di birre analcoliche, tra cui spiccava la Stroh’s Non-Alcoholic;
Old Milwaukee era la denominazione di una serie di interessantissime lager;
Sotto il marchio Augsburger venivano commercializzate birre di tipo tedesco (più ricche di malto), originariamente prodotte da un birraio del Wisconsin di nome Huber;
Proposte recenti, morbide e secche, recavano l’etichetta Red River;
La Schaefer Beer, una lager biondo chiaro, veniva pubblicizzata come “la prima lager americana”;
La Schlitz Beer, una lager convenzionale di colore biondo pallido, era la birra classica che un tempo aveva reso famosa Milwaukee;
La vasta gamma della Heileman, in cui si esaltavano specialmente lager di tipo tedesco (märzen, hefe weizen, doppelbock);
La Lone Star, spumeggiante lager bionda, leggera e ridondante di malto, considerata la birra nazionale;
La Rainier Ale, una ale fruttata molto ricercata prima dell’ondata dei microbirrifici nordoccidentali. Era comunemente nota come the great death (“la morte verde”) per il colore dell’etichetta e l’alta gradazione alcolica.
Alla fine, nel 1999, John Stroh III, presidente e amministratore delegato della società, decise di vendere le proprie etichette. L’anno successivo, con lo scioglimento della società, la Pabst Brewing Company acquistò la maggior parte dei marchi. Di quelli prodotti e distribuiti in Canada però, ne acquisì la proprietà la Sleeman Breweries. La Miller Brewing Company, che peraltro produce la birra della Pabst, si limitò invece all’acquisto del liquore di malto di Mickey e di Henry Weinhard. Ovviamente gli altri prodotti vennero abbandonati.
Stroh’s, lager di colore giallo dorato (g.a. 4,6%); prodotta dalla Miller. Con una media effervescenza, la schiuma bianca, non molto fine ma ampia e massiccia, si rivela abbastanza durevole e aderente. L’aroma è pungente e gradevole, con profumi di luppolo floreale e speziato e un sottofondo delicato di malto morbido, succulento, dalla lieve tendenza alla dolcezza. Il corpo, abbastanza leggero, ha una scorrevolissima consistenza acquosa. Nel gusto, è invece il rampicante a far da base al cereale che accenna soltanto a una certa amabilità: e, in buon equilibrio, le note possono distendersi in assoluta semplicità, fresche e saporite. Una languida dolcezza fruttata compare nel corto finale. Le sfuggenti impressioni del retrolfatto risultano invece ispirate a una secca, amarognola, luppolizzazione.
Nel 2016, in collaborazione col birrificio Brew Detroit, nel quartiere storico di Corktown, a Detroit appunto, la Pabst avviò la produzione della pilsner in stile boemo secondo la ricetta di Bernhard Stroh del 1850.
Stroh’s Bohemian Style Pilsner, pilsener di puro malto di colore giallo dorato (g.a. 5,5%). Utilizza malto Vienna e luppoli Saaz e Magnum. L’originaria bottiglia a collo lungo è stata sostituita dalla bottiglia in rilievo con il simbolo del leone di Stroh sul collo e un’etichetta vintage rossa, gialla e nera. La carbonazione è alquanto vivace; la schiuma bianca, enorme, sottile, densa, quasi cremosa, con buona allacciatura alle pareti del bicchiere. Nell’aroma, la delicatezza del malto chiede il sostegno del cracker, del miele, del biscotto, per contrastare i sentori floreali e di pepe leggero del luppolo, nonché di erbe e agrumi. Il corpo medio ha una consistenza spiccatamente acquosa. Anche nel gusto, a caratterizzare subito la bevuta, è il solito malto, brioso, con una squisita cremosità; poi arrivano le note aspre, amare, del luppolo, del terriccio, delle erbe, della scorza d’agrumi. L’equilibrio si rivela al top nella secchezza del finale. Il corto retrolfatto è di un piacevole amarognolo, accompagnato da croccanti sensazioni di malto fresco.