Tratto da La birra nel mondo, Volume IV, di Antonio Mennella-Meligrana Editore
Spencer, Massachusetts/USA
Dopo il disastroso incendio che nel 1950 colpì il monastero dei cistercensi della stretta osservanza di Cumberland, nel Rhode Island, il superiore dom Edmund Futterer guidò il passaggio a Spencer, nel centro della Worcester County, dove, sull’ex sito di Alta Crest Farms, sorse la St. Joseph’s Abbey of Spencer.
Di vocazione benedettina, l’abbazia, pur costruita nel 1950, si presenta austera e semplice, nello stesso tempo, con le caratteristiche estetiche e mistiche di un monastero. Il campanile di pietra che, dalla chiesa abbaziale, sale verso il cielo rappresenta il fulcro della comuninità e la guida per i viandanti verso la loro casa spirituale.
Al suo interno, si percepisce tutto il significato della regola bendettina ora et labora: ogni componente della comunità partecipa alla produzione di tutto ciò che venga ritenuto utile per il proprio sostentamento e le attività di beneficenza.
Pertanto il monastero produceva e commercializzava marmellate e gelatine (Trappist Preserves) e realizzava anche paramenti liturgici con il marchio The Holy Rood Guild. Poi queste attività cominciarono a rivelarsi sempre meno sufficienti a garantire la sopravvivenza della comunità stessa. E i frati iniziarono a pensare a nuovi metodi di autofinanziamento. Alla fine, nel 2010, l’idea buona: la produzione di birra, chiaramente trappista, visto che tale era il monastero.
Presentato il progetto-birrificio nel 2011, due anni dopo veniva inserita nell’elenco delle birrerie trappiste quella della St. Joseph’s Abbey of Spencer, la prima al di fuori del continente europeo. Subito iniziarono i lavori di costruzione del birrificio, mentre i frati si recarono in Belgio dove rimasero sei mesi, ospiti del confratelli, per visitare tutti i birrifici trappisti e fare apprendistato.
Ad avviare la Spencer Brewery (dal nome della città), fu chiamato l’esperto ingegnere belga Hubert de Halleux con il compito di elaborare la ricetta di una birra trappista belga con ingredienti americani.
Dopo 24 tentativi, destinati al consumo interno, a gennaio del 2014, vide la luce la versione definitiva della Spencer Ale, perfettamente ispirata dalle birre artigianali per il refettorio, la tradizionale patersbier quotidiana insomma. Ma già si respirava aria di american style, con l’utilizzo peraltro di luppoli della Yakima Valley, del Willamette, del Nugget e di malti da orzo locale. Insomma cominciava a delinearsi chiaramente l’orientamento del birrificio ad allontanarsi dagli stili birrari tradizionali della cultura brassicola trappista.
Dopo l’approvazione qualitativa della birra da parte dell’Associazione Internazionale Trappista, la Spencer Brewery fu autorizzata a utilizzare il logo “Authentic Trappist Product”.
Inizialmente, pareva che ci fosse il vincolo di produrre una sola birra per i primi cinque anni. Invece… già l’anno successivo comparve la Spencer Trappist Holiday Ale (belgian strong ale natalizia, g.a. 9%). Si trattava chiaramente di un arricchimento decisamente rivoluzionario per un birrificio trappiata. Nel 2016 nacquero infatti, prima, la Spencer India Pale Ale (g.a. 7,2%), poi, la Spencer Trappist Imperial Stout (g.a. 8,7%), infine, la Spencer Feierabendbier (pilsner, g.a. 4,7%). Seguirono, nel 2017, la Spencer Trappist Festive Lager (oktoberfest/märzen, g.a. 7,5%), la Spencer Monk’s Reserve Ale (abbazia quadrupel, g.a. 10,2%) e le versioni barricate della India Pale Ale e della Imperial Stout. Nel 2018 fu la volta delle versioni barricate della Monk’s Reserve Ale e della Holiday Ale, nonché della Spencer Fruit Series, con la Peach Saison (g.a. 4,3%) e la Grapefruit IPA (g.a. 6,5%).
L’eclatante ispirazione di un birrificio trappista alla creatività della birrificazione americana trova riscontro già nel contrasto stridente tra l’antico e il moderno, tra lo stile ovvero dell’abbazia (antica nella sua struttura architettonica, benché nata solo nel 1950) e quello della birreria (una fabbrica ultramoderna, in tutto e per tutto). Uno stile peraltro, quello dell’abbazia, ben definito dal carattere utilizzato nel logo Spencer, derivato dalla calligrafia inscritta sui pannelli di pietra calcarea dell’altare maggiore della chiesa abbaziale, creata da David Holly, monaco e artista di Spencer al tempo della sua fondazione.
In definitiva, possiamo concordare che la modernità della Spencer Brewery caratterizza anche la produzione. D’altra parte nel progetto dei monaci, c’era l’intenzionalità di produrre una birra, sì, secondo i canoni trappisti europei, ma con profilo caratterizzante di novità e distinzione.
Oggi, la produzione è affidata a un birraio americano, Larry Littlehale, diplomatosi in Germania dove rimase a lavorare per 20 anni. I suoi volumi, con l’aiuto di otto monaci, sono in continua crescita.
Ci rimane solo da fare una breve annotazione sull’acqua che la Spencer Brewery estrae dai suoi pozzi. Si tratta di un’antica acqua glaciale ricca di minerali. Già, durante l’ultima era glaciale, Spencer era coperta dal Laurentide che, 18 mila anni fa, cominciò a sciogliersi, lasciando sulla sua scia flussi di acqua dolce, fiumi ed enormi laghi sotterranei.
Spencer Trappist Ale, trappista in stile belgian ale di colore arancio carico e dall’aspetto velato (g.a. 6,5%); realizzata con malto da orzo a due e a sei file coltivato presso il monastero dal 2013. Con una vivace effervescenza, la schiuma biancastra trabocca enorme, compatta, pannosa, di notevole durata. L’aroma è intenso, con sentori di miele, biscotto, caramello, zucchero candito, pasta frolla, lievito, frutta secca a guscio, gomma da masticare, che spirano ostinati, sospinti da un sottofondo concitato di luppolo floreale, coriandolo, chiodi di garofano. Il corpo medio ha una consistenza alquanto acquosa. Caramello, miele, toffee, mou, zucchero candito, calotta di panettone, marmellata di albicocca, vaniglia, pera, banana, allestiscono una solida base per contrastare le folate di coriandolo e chiodi di garofano, erbacee e terrose, di resina e acidule. Il finale si rivela equilibrato e piacevole nella sua secchezza detergente. Le lunghe suggestioni retrolfattive evocano l’amarore della mandorla e del luppolo erbaceo con un accenno aleatorio alla menta piperita.
Spencer India Pale Ale, la prima birra trappista in stile india pale ale di colore dorato e dall’aspetto nebuloso (g.a. 7,2%). Utilizza i luppoli statunitensi Apollo e Cascade e il tedesco Hallertau Perle; mentre, con aggiunta di grano, irrobustisce il corpo e apporta una lieve dolcezza al profilo tipicamente amaro del più classico stile americano. Prodotto speciale per il mercato europeo, non è disponibile negli Stati Uniti. Con una media effervescenza, la schiuma bianca fuoriesce ricca, fine, cremosa, stabile e aderente. L’aroma si apre fresco e intenso, con malto, arancia, caramello, frutti di bosco, lievito, ananas, frutto della passione, che si limitano al ruolo di gregari per i più spavaldi sentori di resina, buccia di pompelmo, aghi di pino, luppolo terroso, pungenti erbe speziate. Il corpo medio ha una consistenza prettamente oleosa. Un morbido sapore di malto, lievito, fiori, agrumi, frutti tropicali sorregge per l’intera, lunga, corsa le scalpitanti note amare dei luppoli in un equilibrio da manuale che dona freschezza, lento ma piacevole scorrimento della bevuta sempre più appagante ma inappagata. Il finale si attarda in una meticolosa secchezza ripulente. A loro volta, sembrano non voler mai finire le gradevoli suggestioni retrolfattive amare di pino, erba, resina.
Spencer Trappist Imperial Stout, trappista in stile imperial stout di colore nero intenso e dall’aspetto opaco (g.a. 8,7%). La carbonazione è moderata; la spuma cappuccino, alta, cremosa, aderente e di apprezzabile tenuta. L’olfatto, molto gradevole, propone forti sentori amari di cioccolato fondente, liquirizia, fumo, chiodi di garofano, lievito belga, fondi di caffè, che spirano in perfetta armonia con quelli di caramello, frutti rossi, malti tostati, biscotti, zucchero di canna, pane nero, frutta secca, all’ombra di qualche alito di rum. Il corpo, da medio a pieno, ha una densa trama oleosa che sfiora la viscosità. Il gusto risulta sensuale, avvolgente: attacca con caffè e malto torrefatto per proseguire la lunga e concitata corsa tra note di frutta sotto spirito (ciliegia, prugna, uva sultanina) seguite a ruota da una marcata luppolizzazione americana. Nel finale, il ritorno del caffè apporta una buona dose di fresca acidità. Le suggestioni del persistente retrolfatto sono decisamente improntate alla calda dolcezza dell’alcol e, insieme, al secco amarore del solito rampicante.