Tratto da La birra nel mondo, Volume IV, di Antonio Mennella-Meligrana Editore
Chico, California/USA
Ken Grossman e Paul Camusi, oltre ad avere in comune l’hobby della bicicletta, erano anche homebrewer. Nel 1979, quando mancavano ancora una decina d’anni a che dilagasse il fenomeno dei microbirrifici e dei brewpub, decisero di aprire un’attività brassicola nella città più popolosa della contea di Butte.
Racimolato un prestito di 50 mila dollari tra parenti e amici, si diedero subito da fare, e presero in affitto un magazzino di 280 metri quadri. Per le attrezzature, si arrangiarono alla men peggio: comprarono in Germania bollitori di rame usati, riattivarono un vecchio impianto di chiarificazione, recuperarono una catena d’imbottigliamento presso uno stabilimento di limonate e… finalmente, a novembre del 1980, poterono ammirare la loro prima “creatura”, la Pale Ale, che fu un autentico successo.
Sicuramente nessuno si aspettava tanto. In ogni modo l’impresa continuò a crescere. E, quando, nel 1983, accusò un brutto calo di vendite, non esitò ad assumere come capo birraio Steve Dressler.
Nel 1987, con una produzione ormai arrivata a 14 mila ettolitri, distribuiti in sette stati, la Sierra Nevada fu costretta a costruire un nuovo birrificio. Birrificio, inaugurato l’anno dopo e seguito, a distanza di due anni, dall’apertura della Sierra Nevada Taproom & Restaurant con addirittura un negozio di articoli da regalo.
Nel 1998 Paul andò in pensione, e vendette le proprie azioni al socio.
Nel 2000, all’interno del birrificio, fu aperto un locale di musica dal vivo, The Big Room.
Per le sue pratiche in materia di sostenibilità, nel 2010 il birrificio fu nominato “Green Business of the Year” dall’Agenzia per la protezione dell’ambiente degli Stati Uniti.
Nel 2013 nacque la prima sala di degustazione al di fuori di Chico, la Torpedo Room, a Berkeley. Seguì, l’anno successivo, l’inaugurazione di un secondo impianto di produzione con ristorante annesso, a Mills River (nel North Carolina), su un tratto boscoso adiacente all’Aeroporto Regionale di Adheville. E questo edificio gode della certificazione LEED Platinum, in quanto il legname degli alberi tagliati venne utilizzato sia nella costruzione che nelle cisterne per l’acqua piovana destinata ai servizi igienici.
La produzione poi ha sempre mantenuto i metodi tradizionali: caldaie di rame e vasche di fermentazione aperte, aromatizzazione con soli fiori di luppolo interi, condizionamento in bottiglia. Sicché, con la rivoluzione della birra artigianale, la Sierra Nevada, che ne era stata tra i promotori, venne a trovarsi nell’invidiabile posizione della più grande fabbrica della Costa Occidentale. E, di conseguenza, cominciarono a fioccare i prestigiosi riconoscimenti del Great American Beer Festival.
Oggi la Sierra Nevada, con circa un milione e mezzo di ettolitri all’anno, si posiziona al settimo posto tra i produttori di birra del Paese e al secondo (dopo la Boston Beer Company) tra quelli artigianali.
L’ampia e variegata gamma contempla birre complesse e di carattere, annuali, stagionali e speciali, tutte di ottima fattura.
Menzione a parte merita la gamma di birre autunnali, Harvest Series. Comprende birre aromatizzate con luppolo appena raccolto e, a seconda della provenienza, distinte in Northern Emisphere Harvest e Southern Emisphere Harvest. Le prime utilizzano il luppolo della Yakima Walley, che arriva al birrificio entro 24 ore. Le seconde, il luppolo proveniente dalla Nuova Zelanda, spedito via arerea in modo da poter essere utilizzato nel giro di una settimana. La prima Harvest, del 1996, fu elaborata con luppolo americano.
Sierra Nevada Tumbler Autumn Brown Ale, brown ale di colore marrone carico con riflessi rossicci e dall’aspetto alquanto opaco (g.a. 5,5%); definita in etichetta “autumn brown ale”. Utilizza una miscela di malti arrostiti e caramellati e luppoli Challenger e Yakima Golding. Con una carbonazione quasi piana, la schiuma ocra emerge sottile, densa, cremosa, di buona durata e allacciatura. L’olfatto, di gradevole finezza, si esprime con malto torrefatto, melassa, caramello, frutta scura, caffè, zucchero di canna, cioccolato, nocciola e, in secondo piano, aliti terrosi, erbacei, fumosi. Il corpo medio ha una consistenza semicremosa alquanto appiccicosa. Il gusto si snoda intensamente amaro, con note di luppolo floreale, tostature, cioccolato fondente, erba, terra, e non senza una punta incisiva di acidità fruttata. Nella sua secchezza, il finale reca un tocco di liquirizia. Nel breve retrolfatto, sensazioni amarognole bilanciano nocciola e caramello.
Sierra Nevada Porter, porter di colore marrone scuro con riflessi rubino e dall’aspetto quasi impenetrabile (g.a. 5,6%). Prodotta fin dal primo anno di attività, è considerata tra le migliori al mondo. Utilizza malti Two-row Pale, Munich, Choccolate e Caramel; il luppolo amaricante Golding e l’aromatico Willamette. La carbonazione è moderata; la schiuma nocciola, sottile, compatta, cremosa, tenace. Caffè di torrefazione e cioccolato fondente, cola e chinotto, agrumi canditi e prugne disidratate, pane nero e tostature, melassa e caramello, liquirizia e marzapane, allestiscono un attraente bouquet olfattivo dall’insolito sottofondo con scorza di pompelmo. Il corpo medio ha la tipica consistenza a chiazza di petrolio. Le sensazioni avvertite al naso si trasferiscono con buona corrispondenza in bocca, e ne viene fuori un gusto morbido ed equilibrato, maturo, asciutto, delicato. Nel finale prorompe una freschezza resinosa approssimativamente balsamica. Impressioni tostate, vegetali ed erbacee caratterizzano la discreta persistenza retrolfattiva.
Sierra Nevada Stout, stout di colore nero intenso e dall’aspetto impenetrabile (g.a. 5,8%); prodotta fin dal primo anno di attività. Utilizza malti Two-row Pale, Munich, Caramel e Black; luppoli Magnum per l’amaro, Cascade e Willamette per l’aroma. Con una media effervescenza, la schiuma marroncina sbocca ricca, sottile, cremosa, duratura. Nell’aroma, la scarsa intensità è compensata dall’eleganza e dalla pulizia, del malto tostato, del caffè nero, del pane di segale, del cioccolato fondente, della liquirizia, dello zucchero caramellato, dei mirtilli rossi. La tessitura del corpo medio appare quasi cremosa. Nel gusto, l’amaro del caffè, del luppolo erbaceo e del cacao sa farsi valere sulla raffinata base di malto torrefatto; ma, ugualmente, si guarda bene dal compromettere l’equilibrio. La secchezza del finale è insufflata di rinfrescanti note acidule. Nella sufficiente persistenza retrolfattiva rimangono piacevoli suggestioni torrefatte di malto e caffè.
Sierra Nevada Bigfoot, barley wine/wheat wine di colore rosso scuro, quasi marrone, e dall’aspetto lievemente velato (g.a. 9,6%); rifermentato in bottiglia. Fu lanciato nell’inverno del 1983. È una delle più forti birre americane, e probabilmente il barley wine più luppolizzato al mondo. Interpretazione aromatica dello stile inglese, viene commercializzato tra la fine dell’inverno e l’inizio della primavera, dopo quattro settimane di affinamento. Mentre, per le leggi sull’alcol degli Stati Uniti, deve recare la dicitura “birra in stile barley wine” (in quanto non è vino che deriva l’alcol dalla frutta). Utilizza due tipi di malto e tre varietà di luppolo. Con una carbonazione più che modesta, la schiuma beige, abbondante, fine, cremosa. si dissolve rapidamente lasciando i segni di una buona allacciatura. L’aroma si presenta molto complesso e invitante: alcolico, floreale, agrumato di luppolo americano e dal fondo moderatamente caramellato. Il corpo, medio-pieno, ha una consistenza leggermente sciropposa. Il sapore scivola in bocca denso, pastoso, con il piacevole amaro del rampicante bilanciato perfettamente dalla sostanziosa base di malto dolce. Da parte sua, l’etanolo non si tiene certo nascosto, ma agisce con discrezione, un “savoir-faire” invidiabile. Il finale, piuttosto secco, reca un piacevole piccantino. L’alcol si sbriglia invece abbastanza nel retrolfatto, riscaldando le lunghe suggestioni dolceamare. Il prodotto continua a maturare, diventando più vinoso, per altri tre mesi; e, se conservato correttamente, dura fino a due anni, tenendo conto della data riportata per ogni nuova versione.
Sierra Nevada Pale Ale, american pale ale di color rame con riflessi dorati e dall’aspetto a malapena velato (g.a. 5,6%). Nata nel 1980, può essere considerata la capostipite dello stile. È l’ammiraglia della casa, famosa nel mondo e, dal 2012, la seconda birra artigianale più venduta negli Stati Uniti. Viene descritta come “un equilibrio tra luppolo aggressivo e abbondante sapore di malto”. Con una moderata effervescenza, la schiuma ocra, fine, compatta, cremosa, risulta non così abbondante ma di sufficiente tenuta. Il bouquet olfattivo è ricco e intenso, fresco e attraente: va dal fruttato (sia dell’alta fermentazione che del mango e del frutto della passione) al luppolizzato (estremamente variegato, tra il pino resinoso, il ginepro e l’agrumato, con arancia e pompelmo), dal floreale all’erbaceo; e senza trascurare i suggerimenti caramellati che arrivano da lontano. Il corpo, da medio a leggero, ha una consistenza relativamente acquosa. Il gusto risulta morbido e ben equilibrato, con le deliziose note fruttate che defluiscono armonicamente sul robusto fondo amaro di luppolo. Nel finale, s’intensifica l’impronta dell’amaricante, che diventa quasi pungente. Dal fondo del palato emergono inaspettate impressioni speziate che lasciano un lungo retrolfatto asciutto e pulito.
Sierra Nevada Harvest Wet Hop IPA-Northern Hemisphere, india pale ale di colore ambrato carico e dall’aspetto leggermente velato (g.a. 6,7%); conosciuta anche come Sierra Nevada 12th Release Harvest Wet Hop Ale. La carbonazione è media; la spuma ocra, sottile, compatta, cremosa, tenace. Il bouquet olfattivo ostenta pulizia e freschezza, balsamico, quasi pungente: aghi di pino e resina, vegetali ed erba bagnata, agrumi e frutta tropicale; e, dal sottofondo, spifferi floreali e caramellati. Il corpo medio ha una consistenza piuttosto oleosa. Malto e caramello allestiscono una solida base su cui scorrono a proprio agio, e in perfetta armonia, note ancora di resina, pino ed erbe, per un gusto decisamente amaro ma non aggressivo, anzi. Il finale, fruttato e asciutto, costituisce la classica ciliegina sulla torta. Una breve pausa, prima del ritorno, amaro e resinoso, delle lunghe impressioni retrolfattive.