Tratto da La birra nel mondo, Volume III, di Antonio Mennella-Meligrana Editore
Seattle, Washington/USA
Nel 1984, sfruttando un deposito d’inizio secolo nella cittadina di Kalama, nello stato di Washington, Tom Baune e Beth Hartwell fondarono la Hart Brewing Company.
Era il periodo della rivoluzione delle piccole fabbriche di birra, e la Hart, con le sue ale Pyramid (un nome allusivo alla forma di alcune vette della Catena delle Cascate) artigianali, non dovette certo sudare le proverbiali sette camicie per farsi spazio tra le emergenti unità produttive.
Fu anche uno dei primi birrifici negli Stati Uniti a sostenere l’idea di una birra al frumento fermentata con lievito per ale. E tale prodotto, lanciato nel 1985, fu battezzato Pyramid Wheaten Ale. Un nome, wheaten, che sta per “wheat”, come kälsch sta per “kölsch”: alcune stravaganze che, in terra d’America, talora hanno non poco contribuito al successo.
A loro volta, trasformando una vecchia fattoria da latte vicino a Poulsbo, sull’isola di Bambridge, nel 1985 Andy Thomas e Will Kemper fondarono la Thomas Kemper Brewing Company. E questa azienda, nel 1989, fu uno dei primi mibrobirrifici del Nordovest a tenere presso il proprio stabilimento la celebrazione annuale della Oktoberfest. Non solo. Nata col preciso intento di fabbricare lager di tipo tedesco, iniziando nel 1990 anche la produzione di ginger ale e di altre bibite artigianali, creò la Thomas Kemper Soda Company.
Resasi poi conto che, per continuare a crescere, aveva bisogno di mezzi, la Thomas Kemper Brewing Company accettò la proposta d’acquisto da parte della Hart e, nel 1992, avvenne una delle prime fusioni dell’industria della birra artigianale. Fu fissata la sede a Seattle, mentre la Thomas Kemper Soda Company conservava la propria indipendenza.
Nel 1994 la Hart lanciò la Pyramid Apricot Ale, una birra alla frutta che divenne rapidamente il marchio più importante. Aprì nuove strutture ed espanse notevolmente la sua produzione. Nel 1996 cambiò il nome in Pyramid Breweries.
Cominciò anche a sperimentare altri stili, ottenendo importanti riconoscimenti al Great American Beer Festival. Alla fine, risultava uno dei cinque maggiori birrifici artigianali americani. E, mentre manteneva il quartier generale a Seattle, smise di produrre a Kalama in favore di altre località.
Nel 2004 la Pyramid Breweries rilevò la Portland Brewing Company, nell’Oregon, ribattezzandola MacTarnahan’s Brewing Company, ma lasciandole la sua linea di prodotti. Mentre, nel 2007, vendette l’ex Thomas Kemper Brewing Company a Adventure Funds di Portland che prese a gestirla con il nome di Kemper Co. per rivenderla, nel 2011, a Big Red, Inc.
Nel 2008 la Independent Brewers United, la società madre della Magic Hat Brewing Company, di South Burlington (nel Vermont), acquistò la Pyramid Breweries, mantenendo l’ufficio di Seattle, nonché le strutture e i prodotti di Pyramid e MacTarnahan’s.
Nel 2010 la Independent Brewers United fu rilevata, a sua volta, dalla North American Breweries di Rochester (New York) che, nel 2012, passò alla Cerveceria Costa Rica, unità della società costaricana Florida Ice and Farm Company (FIFCO).
Pyramid Apricot Ale, fruit beer di colore arancio dorato e dall’aspetto velato (g.a. 5,1%). Originariamente chiamata Apricot Weizen, in precedenza era nota anche come Pyramid Audacious Apricot Ale. Realizzata in misura paritaria di malto, d’orzo e di frumento, richiede aggiunta di albicocche (apricot) intere. Con una carbonazione elevata, la schiuma bianca prorompe abbondante, cremosa, duratura, aderente. Al naso domina incontrastata l’albicocca; sentori floreali, di miele, pesca, grano, caramello, pane bianco, limone, devono accontentarsi del ruolo di deuteragonista. Il corpo, da leggero a medio, ha una consistenza schiettamente acquosa. Anche il gusto si snoda all’insegna dell’albicocca, fresco, piacevole. Il fruttato è preposto più all’acidità che alla dolcezza. Spetta invece al luppolo floreale e alla scorza di pompelmo il compito più difficile, quello di allestire e mantenere per l’intera corsa un equilibrio decente. Il finale è abbastanza lungo, secco, aspro, amarognolo; e sfocia in un languido retrolfatto dall’impressione ancora di albicocca.
Pyramid Hefeweizen, hefe weizen di colore giallo arancio dorato e dall’aspetto molto torbido (g.a. 5,2%). Vorrebbe esssere una birra di frumento bavarese, ma sa più di americano. Utilizza il 39% di malto da orzo a 2 file, il 60% di grano maltato e l’1% di caramello. Tutta americana invece la luppolizzazione: l’amarissimo Nugget e l’aromatico Liberty. Con una carbonazione vivace, la schiuma bianca erompe ricca, sottile, vaporosa, ma si dissolve in fretta lasciando un bel pizzo al bicchiere. L’aroma si propone piuttosto tenue, comunque fresco e pulito. Si distinguono con una certa facilità sentori di grano, lievito, malto, fieno, pompelmo, chiodi di gartofano, luppolo, frutta dolce. Il corpo, da medio a leggero, ha una consistenza spiccatamente acquosa. Nel gusto, ritornano quasi tutte le sensazioni avvertite al naso; ma è la banana a mettersi subito in evidenza, come a recuperare il terreno perduto, e si tira dietro lunghe note di grano e di limone. Del luppolo invece, nemmeno l’ombra. Il finale apporta soltanto secchezza, e anche aspra. Le impressioni amarognole di scorza d’agrumi nel retrolfatto rinfrescano e dissetano.
Pyramid Snow Cap Ale, english strong ale di colore marrone rossastro e dall’aspetto nebuloso (g.a. 7%). È una winter warmer, realizzata con tanto cioccolato tostato e caramello. Con una carbonazione molto bassa, la schiuma cachi sbocca generosa, densa, di buona durata e con qualche allacciatura. L’olfatto si rivela gradevole nella sua complessità che coinvolge malto caramellato e pane tostato, caffè e cioccolato, pino bianco e frutta secca scura, lievito e zucchero di canna, luppolo terroso e spezie delicate. Il corpo, medio-pieno, ha una consistenza abbastanza cremosa e pressoché appiccicosa. Gli elementi dell’aroma si trasferiscono globalmente nel gusto, dove le componenti dolce e amara trovano con facilità un punto d’incontro e creano quel carattere strutturato e asciutto che consente ai sapori di scivolare lentamente verso una chiusura amarognola calda, croccante, tostata. Il retrolfatto risulta gustoso e robusto, nelle sue lunghe impressioni di malto, prugna, uvetta e fico.