Tratto da La birra nel mondo, Volume III, di Antonio Mennella-Meligrana Editore
Göteborg/Svezia
Nel 1758 Lorents Ekman, consigliere a Göteborg, creò un birrificio nella propria piantagione di tabacco di 33 acri. Alla sua morte, la vedova vendette l’attività birraria a Göran Bremberg, che la gestì fino al 1827, quando morì.
Nel 1828 Johan Albrecht Pripp prese in affitto il birrificio; ma comprò la proprietà degli edifici solo nel 1844.
Sempre a Göteborg, dove lo zio aveva un’impresa commerciale, nel 1836 arrivò dalla Scozia il giovane David Carnegie che aprì una fabbrica per produrre porter. Le birre riscossero subito il favore dei consumatori, e la Carnegie Brewery diventò una delle principali imprese cittadine. Con la morte del fondatore però, nel 1907, l’azienda fu chiusa; solo nel 1928 venne acquistata dalla Pripps, che poté così far sua la celebre Carnegie Stark Porter.
Dopo aver assorbito diversi birrifici minori, nel 1963 la Pripps si fuse con l’eterna rivale di Stoccolma, la Stockholm Breweries; e la loro sede comune fu fissata a Stoccolma.
Nel 1976 tutta la produzione fu trasferita nel nuovo stabilimento di Västra Frölunda, distretto nella parte sud-occidentale di Götegorg. Mentre il terreno in cui era rimasto abbandonato il vecchio stabilimento Pripps fu acquistato, a metà degli anni ’80, dalla HSB, azienda di Göteborg per la gestione delle proprietà immobiliari.
Il nuovo gruppo, che annoverava ben 30 aziende, tramite la fusione del 1995 con il maggior produttore norvegese, la Ringnes, diede vita al megagruppo Pripps Ringnes, dominante in Svezia e in Norvegia.
Già dal 1991 però la Pripps aveva costituito con la finlandese Hartwall una joint venture, la Baltic Beverages Holding, per estendersi sui mercati baltici. Sicché era diventata una grande azienda internazionale, con filiali in Russia, Estonia, Lettonia, Lituania, Ucraina, Kazakistan.
Col passaggio poi della Pripps alla Carlsberg e della Hartwall alla Scottish & Newcastle, la Baltic Beverages Holding finì per essere detenuta in misura paritaria dai due colossi danese e britannico. All’inizio del 2008 passò sotto il controllo totale della Calsberg, operando come sua filiale.
Ma ritorniamo alla Pripps.
Nel 1896 John L. Skantze fondò, a Falkenberg, la Bryggeri Falken che, nel 1955, iniziò a vendere birra con il nome Falcon. Poi, col divieto della birra di classe IIB, la società entrò in difficoltà e, nel 1977, fu acquistata dalla Pripps.
Nello stesso 1977 la Pripps aveva rilevato il birrificio a vapore Sandwalls di Borås, fondato da Alfred Sandwall nel 1862. E le due aziende furono unite.
Nel 1978 la produzione della Sandvalls fu trasferita a Falkenberg e, nel 1981, chiusa la sua fabbrica.
Nel 1985 la società fu divisa in Falken, per la produzione (a Falkenberg), e Falcon, per marketing, distribuzione e vendite (a Borås). Nel 1994 avvenne la fusione sotto il nome di Falcon Brewerey, con sede a Falkenberg.
Nel 1989 Falcon Brewery fu acquistata da Uniliver di Rotterdam (una multinazionale anglo-olandese) che, nel 1996 la vendette alla Carlsberg.
Nel 2000 la Carlsberg rilevò anche la Pripps e, dalla fusione dei bue birrifici, creò la Carlsberg Sweden (Carlsberg Sverige, nella lingua locale), sua filiale svedese. La sede principale è a Solna, nella contea di Stoccolma; tutta la produzione invece avviene a Falkenberg.
Pripps Blå, lager di colore dorato pallido (g.a. 5,2); introdotta nel 1959. Poco costosa, è una delle birre più popolari nel Paese. Viene infatti prodotta col minimo di orzo richiesto dalla legge svedese, il 51%. Con una media effervescenza, la schiuma bianchiccia sbocca fine, pannosa, di rapida dissoluzione, lasciando però qualche segno di allacciatura. L’aroma non è così pronunciato, tanto meno ricco: al di là di un malto leggero e granuloso, si percepisce soltanto qualche tenue sentore di luppolo a base di erbe, di pane bianco, di fieno. Il corpo appare più sottile che medio, in una consistenza molto acquosa. Anche il gusto, non è che faccia faville: una lieve luppolizzazione viene decentemente contrastata da note di malto dolce. Tutto finisce lì, a parte qualche alito di alcol che non riesce a tenersi nascosto più di tanto. Il finale mostra tutta la sua secchezza, e introduce un corto retrolfatto dalle terrose impressioni amarognole.
Pripps Blå (cioè “blu”), il marchio principale con il maggior successo di vendite nel Paese, viene prodotta anche in altre versioni, dalla light alla extra forte, che poté vedere la luce solo dopo l’allentamento delle disposizioni normative sulle birre forti.
Pripps Blå Extra Stark, malt liquor di colore biondo miele (g.a. 7,2%). La carbonazione è alquanto moderata; la schiuma bianca che si forma, minuta, densa, di sufficiente tenuta e larga allacciatura. L’aroma, tipicamente dolce dell’orzo e abbastanza alcolico, si effonde tra arrendevoli sentori floreali, luppolizzati, di malto, lievito, miele, erbe, frutta. Il corpo medio tende al leggero, in una liscia consistenza oleosa. Nel gusto, un malto dolciastro, pressoché appiccicoso, si snoda su base secca intessuta di grano e supportata, in sottofondo, da un luppolo floreale responsabile anche di una nota acida in prossimità del traguardo. L’asprezza del finale si traduce in un erbaceo amaro, presto fagocitato dalle impressioni alcoliche “punteggiate” di metallo della discreta persistenza retrolfattiva.
Carnegie Stark Porter, baltic porter di colore marrone scuro, vicino al nero, e dall’aspetto opaco (g.a. 5,5%). La ricetta risale al 1836, opera del giovane David Carnegie, con caratteristiche simili a quelle della imperial stout. Datata anno per anno, viene commercializzata dopo sei mesi d’invecchiamento; ma il gusto continua a maturare. Con una carbonazione mediovivace, la schiuma marroncina esce non molto densa, tanto meno persistente. L’aroma si esprime in prevalenza coi toni caldi, dal malto tostato al pane nero, dal caramello alla melassa, dal caffè al cioccolato fondente, dalla vaniglia alla liquirizia, dalla frutta scura al legno, dal fumo ad accenni vinosi. Il corpo, da leggero a medio, ha una consistenza quasi oleosa. Il gusto defluisce intenso e secco, fruttato e cremoso, con una particolare nota di caffè che sembra aver ceduto il posto a una più intrigante liquirizia. Nell’elegante finale, caffè, cioccolato e note di torrefazione apportano quell’amaro necssario a scongiurare il rischio di stucchevolezza. Completa l’“opera” il corto retrolfatto, con le sue impressioni a metà strada fra il terroso e il resinoso. La versione “minore”, con gradazione alcolica del 3,5%, è solo una lontana parente, molto più blanda e meno impegnativa.