Tratto da La birra nel mondo, Volume III, di Antonio Mennella-Meligrana Editore
Middlebury, Vermont/USA
Lawrence Miller si era innamorato della birra fatta in casa fin da quando era studente al Reed College di Portland, nell’Oregon. Una passione che lo aveva portato a stringere amicizia con i fratelli Kurt e Robert Widmer, i quali, nel 1984, avevano fondato a Portland appunto la Widmer Brothers Brewery.
Fece quindi un giro per l’Europa acculturandosi in materia e, da esperto in psicofarmaci, si prese addirittura la briga di approfondire gli effetti che ha l’alcol sul cervello.
Comprate alcune attrezzature dagli amici Widmer, nel 1991 aprì un microbirrificio e fabbricò lotti sperimentali della Copper Ale. L’anno dopo introdusse le ale stagionali e nel 1993 iniziò anche l’imbottigliamento.
Il rapido successo comportò la costruzione di una fabbrica tecnologicamente avanzata, che fu inaugurata nel 1995. Miller comunque aveva le idee molto chiare: la sua produzione doveva rimanere a misura di cliente, per soddisfare sì la crescente domanda, ma lontano dal clamore pubblicitario e dalla feroce competitività. E, proseguendo in questa filosofia aziendale, la Otter Creek diventò il primo produttore artigianale del Vermont. Vivere all’ombra dei colossi americani può essere addirittura un onore, se si riesce a offrire quella qualità che è a loro negata appunto dalla grandezza dei numeri.
Infine, nel 2002, l’attività fu rilevata dalla Wolaver per fabbricare le proprie birre biologiche che venivano realizzate a contratto da diverse aziende. Continuò comunque, insieme, la produzione della Otter Creek.
Nel 2010 la Otter Kreek Brewing fu acquistata dalla società di private equity del Massachusetts, la Fulham & Co., attraverso la sua sussidiaria nel Vermont, la Long Trail Brewing Company.
Nel 2015 fu abbandonata la produzione delle birre Wolaver. Ma anche il marchio Otter Creek ha subito una quasi totale rivoluzione.
Otter Creek Free Flow, india pale ale di colore dorato pallido e dall’aspetto nebuloso (g.a. 6%). Con una carbonazione relativamente sostenuta, la schiuma, di un bianco sporco, si leva alta, spessa, abbastanza durevole. L’intensità olfattiva appare piuttosto elevata, e di gradevole finezza: malto caramellato, fieno, miele, luppolo agrumato, pino, lievito, frutta tropicale. Il corpo, medio-leggero, ha una consistenza oleosa. L’imbocco è fresco, con tante note di resina e di pino; segue un luppolo floreale croccante e pungente; chiude il lungo percorso una certa dolcezza di malto, pera, mela, polpa di mandarino. Nel finale un secco amarore si protrae abbastanza, per lasciare nel retrolfatto sensazioni di scorza d’agrume pressoché astringenti.
Otter Ckreek Overgrown, american pale ale di colore arancio dorato chiaro e dall’aspetto leggermente velato (g.a. 5,5%); un’offerta autunnale. Con una carbonazione media, la schiuma bianchiccia sbocca sottile, densa, di non lunga durata ma lasciando al bicchiere una bella allacciatura. L’aroma mostra una discreta complessità, con sentori che si sviluppano in armonia tra loro però ognuno mantenendo una distinta personalità: erba fresca appena tagliata, zucchero da tavola, malto, luppolo floreale, arance candite, pino, agrumi e frutti tropicali, spezie leggere. Il corpo tende al medio, in una consistenza acquosa. Nel gusto il malto deve accontentarsi di far da spalla, insieme al caramello e alla polpa di agrumi, all’assoluto dominio di un luppolo fruttato che, comunque, si guarda bene dal rompere l’equilibrio. Il finale risulta abbastanza intenso, anche se un po’ astringente nella sua ruvida asciuttezza. Nel retrolfatto si articolano suggestioni di terra, resina e frutta secca.