Tratto da La birra nel mondo, Volume III, di Antonio Mennella-Meligrana Editore
Burton upon Trent/Inghilterra
Nel 2002 la Bass cedette le proprie attività produttive alla Interbrew, che già aveva assorbito la Whitbread, a sua volta proprietaria della Strangeways di Manchester. Nacque così la Interbrerw UK. Ma i marchi Worthington’s, Carling, Stones e Caffrey’s, per i vincoli antitrust, dovevano andare a terzi; subentrò allora l’americana Coors che, con essi costituì, nel 2003, la Coors UK (dal 2009, Molson Coors UK). Rimase comunque la proprietà del marchio Bass alla Interbrew, con la fabbrica di Luton, nel Bedfordshire.
A Burton, la sede della Bass, oltre allo stabilimento, ospita l’importante Museum Brewery, inaugurato nel 1977. All’interno di quest’ultimo, il microbirrificio, attivo dal 1920, ha ancora due vasche quadrate di rame per la fermentazione all’aperto (una di esse risale al 1850). Ovviamente, con il riscaldsamento a vapore, la produzione è limitata ad ale commemorative, stagionali e speciali.
Altro impianto importante è a Tadcaster. Shobnall Maltings invece fornisce il malto anche a molte altre birrerie del Regno Unito non appartenenti alla Molson Coors UK.
Carling Brewery/Burton upon Trent
Nel 1818 Thomas Carling, un agricoltore dello Yorkshire, si stabilì con la famiglia a London, nell’Upper Canada (attuale Ontario).
Una sua ale, prodotta in casa e venduta per le strade da una carriola, divenne presto molto popolare. Nel 1840 Thomas mise su una vera e propria azienda e cominciò a vendere birra ai soldati nel campo militare locale.
Nel 1878 i figli, John e William, costruirono una fabbrica di sei piani che però fu distrutta da un incendio a distanza di un anno dall’apertura.
Morto poco dopo di polmonite Thomas, i figli presero le redini dell’azienda rinominandola W & J Carling Brewing Co. Alla morte di John nel 1911, l’azienda cambiò diversi proprietari, fino all’acquisto, nel 1930, da parte della Brewing Corporation of Ontario. Questa compagnia, diventata poi Brewing Corporation of Canada e, nel 1937, Canadian Breweries Limited, durante gli anni ’30 e ’40 rilevò un’altra trentina di birrifici canadesi, tra cui, nel 1934, la O’Keefe Brewing Company.
Soffermiamoci per qualche attimo su quest’ultimo. Eugene O’Keefe aveva cinque anni quando, nel 1832, la famiglia, dall’Irlanda, si trasfeì in Canada probabilmente cambiando cognome. Nel 1856 entrò a lavorare alla Cassa di Risparmio di Toronto istituita due anni prima. Nel 1861, pur continuando a esplicare varie funzioni (da consigliere a direttore, da vicepresidente a presidente) con quella che diventerà poi la Banca Centrale del Canada, insieme a due soci, rilevò la Victoria Brewery di Toronto (di proprietà di Charles Hannath e George Hart) ribattezzandola, nel 1891, O’Keefe Brewing Company.
Nel 1968 la Canadian Breweries Limited fu acquistata dal produttore di tabacco Rothmans che, nel 1973, la ribattezzò col nome dei due birrifici più importanti, Carling O’Keefe.
Nel 1987 la Rothmans, insoddisfatta dei profitti della Carling O’Keefe, ne vendette la sua quota del 50% a Elders IXL of Australia. Nel 1989, per le difficoltà in cui venne a trovarsi l’ambizioso gruppo australiano, la Carling O’Keefe fu incorporata dalla Molson.
Distribuito nel Regno Unito per la prima volta nel 1952, nei primi anni Ottanta Carling diventò il marchio più popolare, quanto a volume di vendita, nello stesso Paese.
Carling, premium lager di colore doratato chiaro (g.a. 4%); prodotta a Burton upon Trent. Arrivò, dal Canada, nel Regno Unito nel 1952 in bottiglia e col nome di Carling Black Label. Ma fece presto ad assumere, perdendo le caratteristiche di derivazione, una personalità propria e a diventare la lager con il maggior successo di vendite in Gran Bretagna. Successo, dovuto alla campagna pubblicitaria molto popolare “Scommetto che beve Carling Black Label” e, in parte, al lancio in lattina. Nel 1965 The Hill Top di Sheffield fu il primo pub a servirla alla spina. Nel 1997 il marchio fu aggiornato e, per il Regno Unito, fu cambiato il nome in Carling (con il sottotitolo Original Lager), soltanto, a dir del produttore, per snellire l’ordinazione al bar. In molti paesi è sempre nota come Carling Black Label, mentre in Svezia è conosciuta come Carling Premier. Dal 2005 viene prodotta su licenza in Australia; e venduta anche in Nuova Zelanda dalla Indipendent Liquor di Sydney, una grossa società che fabbrica e commercializza bevande con due stabilimenti in patria e uno in Inghilterra. Con una carbonazione da moderata a elevata, la spuma bianca emerge abbondante, soffice, duratura. L’aroma, granuloso e piuttosto debole di malto, reca ancor più tenui sentori di mais, luppolo erbaceo, agrumi, fieno bagnato. Il corpo appare molto sottile, e di consistenza altrettanto acquosa. Nel gusto, si ripropongono le medesime sensazioni avvertite al naso; e la leggera dolcezza iniziale, con una punta di acidità, si trasforma in un corto e secco finale agrodolce. Dallo sfuggente retrolfatto emerge un’impressione maltata che sa tanto di plastica, se non proprio di metallo.
Thomas Caffrey Brewing Co./Belfast
Nicholas Caffrey, un commerciante dublinese di seta e di lino, per far concorrenza alla Guinness, aprì anche lui una fabbrica di birra. Il figlio Thomas, dopo aver lavorato con lui per diversi anni, nel 1897 aprì un birrificio proprio a Belfast, Thomas Caffrey Brewing Co.
Alla morte di Nicholas, la sua azienda chiuse i battenti. Quella del figlio invece rimase nelle mani dei Caffrey fino al 1964, allorquando fu acquistata dalla Charringtons (tre anni dopo, Bass Charrington). Passata poi alla Interbrew, nel 2005 venne chiusa.
Da annotare che, già con il passaggio alla Bass, le birre della Caffrey avevano perduto l’autenticità delle birre irlandesi.
Caffrey’s, ordinary bitter ale di colore ramato chiaro (g.a. 3,8%, variabile a seconda dei mercati esteri). Viene prodotta a Burton upon Trent, ma anche a Tadcaster, con l’esportazione in più di 30 paesi. Nacque nel 1897 come tradizionale birra irlandese, Caffrey’s Irish Ale (g.a. 5,2%). Nel 1994 fu introdotta nel Regno Unito per la ricorrenza di san Patrizio, col grado alcolico ridotto al 4,8%. Per arrestare poi il calo di vendite e cercare di risucchiare una nicchia nel mercato delle lager, l’alcol subì un’ulteriore riduzione (4,2%) nel 2001 a opera della Interbrew e, infine, da Molson Coors UK, fu portato al livello attuale nel 2010. Con una carbonazione alquanto bassa, la schiuma beige chiaro, soffice e cremosa, ostenta apprezzabile stabilità. L’olfatto è segnato da un delicato malto caramellato, con sottofondo ispirato a sentori di lievito, luppolo floreale, erbe aromatiche. Il corpo, da leggero a medio, presenta una trama sorprendentemente acquosa. Il gusto soffice, dolce, con note di caramello, biscotti, grano, pane, prende, strada facendo, una consistenza, prima fruttata, poi amara di luppolo erbaceo che sfocia in una rinfrescante punta acidula. Nel breve finale riemerge l’amarore, ma non invade: pare che voglia soltanto far sentire la sua presenza. Il retrolfatto, abbastanza asciutto e pulito, suona da chiaro invito a bere, con un’impressione luppolizzata nella quale l’ammiccante caramello continua a fare il prezioso. Pur essendo una ale, questo prodotto si consuma freddo come una lager. La lattina è munita di un distributore a gas misto. Durante il catapultamento, che avviene a 77 km/h, il bicchiere va tenuto inclinato a 45°, in modo che si riempia tutto in una volta. Il miscuglio turbinoso impiega circa tre minuti prima di stabilizzarsi.
Caffrey’s Irish Stout, dry stout di un profondo marrone scuro, quasi nero, e dall’aspetto opaco (g.a. 4,7%); prodotta a Burton upon Trent. Con una morbida effervescenza, la spuma color caramello sbocca cremosa, ma piuttosto scarsa, anche se lascia al vetro i segni di una buona allacciatura. Gli aromi dominanti sono quelli derivanti dal torrefatto; mentre pian piano emergono sentori apparentemente timidi però duraturi, di resina, noci, abete rosso, salsa di soia, uva passa, vaniglia, cioccolato fondente, spezie delicate. Il corpo, da leggero a medio, ha una consistenza tra cremosa e oleosa. Il gusto, fresco e morbido di malto tostato, accenna ripetutamente alla liquirizia, ricavando, in prossimità del traguardo, un’incisiva punta di acidità dal caffè nero. Un gusto, decisamente meno amaro delle altre stout. Il finale si dilunga nella sua secchezza ripulente. Nel retrolfatto si fa largo il luppolo, con impressioni non così intense, comunque amarognole, piacevoli.
Stones Brewery/Sheffield
Birrificio regionale nel South Yorkshire, chiuso nel 1999.
William Stones cominciò a produrre birra nel 1847, insieme a Joseph Watts. Morto Watts, nel 1854, Stones continuò l’attività da solo. Nel 1868 acquistò il contratto di affitto della Neepsend Brewery che ribattezzò Cannon Brewery.
Il marchio principale, Stones Bitter, creato nel 1948 per i lavoratori siderurgici della Lower Don Valley di Sheffield, passò presto, anche per il colore paglierino insolito all’epoca, dal successo regionale, a quello nazionale. Poi, nel 1968, l’azienda fu rilevata dalla Bass: la gradazione alcolica venne gradualmente ridotta e la versione tradizionale in botte, non pastorizzata e non filtrata, fu sostituita dalla versione in keg. Mentre il calo delle vendite di birra riportò il marchio nei confini del South Yorkshire.
Con la chiusura della fabbrica, nel 1999, il suo marchio fu prodotto da diverse birrerie. Alla fine, con la vendita delle attività della Bass alla Interbrew, la Competition Commission obbligò a vendere il marchio Stones, che fu comprato dalla Coors.
Stones Bitter, ordinary bitter ale di colore tra il dorato e l’ambrato (g.a. 3,7%); prodotta, in keg, a Tadcaster e, in lattina, a Burton upon Trent. La carbonazione è abbastanza bassa; la schiuma bianchiccia, fine, cremosa, di ritenzione limitata. L’aroma si libera quasi in sordina, ma con piacevoli, puliti, sentori di malto, lievito, pane, frutta secca, erbe, agrumi, caramella mou. Il corpo tende al leggero, in una consistenza acquosa. Il gusto, perfettamente bilanciato tra la dolcezza del cereale e l’amarore del rampicante, si snoda fresco, armonioso, abbastanza secco: col tipico sapore pieno insomma dello Yorkshire. Il finale apporta qualche nota acida fruttata. Il retrolfatto appare gessoso, resinoso, con suggestioni citriche.
Worthington Brewery/Burton upon Trent
Famosa birreria, nota anche come Worthington & Co. e Worthington’s. Fu fondata, nel 1761, da William Worthington. È il secondo più antico marchio di birra prodotto ininterrottamente nel Paese dopo Whitbread.
Alla morte di Worthington, nel 1800, il suo birrificio risultava uno dei più grandi fuori Londra. E, dal 1866, un chimico di tale birrificio, Horace Tabberer Brown, aprì la strada alla scienza della birra nella separazione e nella coltivazione di ceppi di lievito puro. Sicché, dal 1872, l’azienda fu la prima al mondo a utilizzare sistematicamente un laboratorio nel processo di birrificazione.
Poi, nel 1927, la compagnia fu rilevata dal suo principale rivale, la Bass, per veder chiusa la propria fabbrica nel 1965. Le sue birre però continuarono a essere prodotte altrove. Tra esse, la Worthington’s Dark, una mild rubino scuro (g.a. 3%), e la bitter amabile Worthington’s Draught (g.a. 3,6%), che venivano fabbricate in Galles dalla Welsh; ma, soprattutto, la Worthington’s White Schield (g.a. 5,6%) affidata alla Mitchells e Butlers di Birmingham e per anni l’unica pale ale a rifermentare in bottiglia nella sua vastissima commercializzazione.
Com’era prevedibile, un’azienda delle dimensioni della Bass non poteva più dedicarsi a una specialità quale la Worthington’s White Schield, e nel 1997 decise di toglierla dalla produzione. Si levò una tale protesta da parte dei tantissimi estimatori che il colosso inglese finì per cedere il brand a un birrificio specializzato nel condizionamento in bottiglia appunto, la King & Barnes di Horsham.
Infine, nel 2002, il marchio Worthington fu acquistato da Interbrew, per passare poi sotto la proprietà della Molson Coors UK che, nel 2010, aprì il microbirrificio William Worthington, per la produzione di birre storiche e stagionali.
Worthington’s Ale/Draught/Creamflow, bitter ale di colore ambrato (g.a. 3,6%); prodotta a Burton upon Trent. Lanciata nel 1999, filtrata, pastorizzata e nitrogenata, disponibile in fusti e in lattine, è il terzo marchio ale più venduto nel Regno Unito, dopo quelli di John Smith e Tetley. La carbonazione abbastanza contenuta genera una spuma bianco sporco molto fine, cremosa, duratura. All’olfatto, i profumi di malto dolce, noci, caramello, frutti rossi, vaniglia, luppolo fiorito, non sono così distinguibili; mentre, a un esame più approfondito, si avverte una sensazione che ricorda vagamente il rame delle monete. Il corpo, parecchio sottile, ha una consistenza altrettanto acquosa. L’intenso sapore fruttato, succoso, rinfrescante, reca note di fieno, nocciola, zucchero bruciato, cereali, malto caramellato, smussate da un rivestimento amaro. Il finale, leggermente metallico, introduce uno sfuggente retrolfatto di luppolo erbaceo.