Tratto da La birra nel mondo, Volume III, di Antonio Mennella-Meligrana Editore
Milwaukee, Wisconsin/USA
Frederick J. Miller nacque nel 1824 a Riedlingen, nel Württemberg. Avendo lavorato come birraio fin dalla tenera età, nel 1849 ottenne in affitto dal principe Karl Anton il birrificio reale dell’Ohenzollern, a Sigmaringen.
A 30 anni, Frederick emigrò negli Stati Uniti, stabilendosi a Milwaukee, dove viveva un gran numero di tedeschi, e non solo. La Miller Valley, oltre a essere famosa per la purezza delle sue sorgenti, forniva facile accesso alle materie prime prodotte dalle fattorie vicine.
Ecco che, nel 1855, Miller non si fece sfuggire l’occasione di acquistare, nei pressi di Milwaukee, il birrificio Plank Road, di Charles Lorenz Best e di suo padre. Si realizzava così il sogno di Frederick J. Miller, con la nascita della Miller Brewing Company.
Con tecniche innovative e proponendo birre di qualità, tra cui la Miller High Life (tuttora in produzione), la nuova impresa non tardò a guadagnarsi l’apprezzamento incondizionato dei consumatori. Anzi, poté addirittura avventurarsi in audaci iniziative, come quella, nel 1905, della distribuzione in bottiglia di buona parte dei prodotti, a dispetto dei fusti all’epoca in uso. E, più tardi, sarà tra le prime birrerie a adottare la lattina.
Nel 1961 rilevò la A. Gettelman Brewing Company, uno dei principali birrifici industriali di Milwaukee, fondato nel 1856. Quattro anni dopo, comprò la General Brewing Corporation di Azusa, in California; nonché la Carling O’Keefe di Fort Worth, nel Texas. Nello stesso periodo formò una società di produzione di lattine a Milwaukee con la Carnation Corporation.
La svolta decisiva alla Miller, la diede però la Philip Morris, il colosso del tabacco alla ricerca di reinvestimenti per i propri guadagni: comprò il 53% del capitale nel 1969 e il restante l’anno successivo. All’acquisto della fabbrica seguì, grazie alle illimitate disponibilità finanziarie, un’espansione commerciale che non conobbe mai la benché minima sosta.
Nel 1972 la Miller comprò dalla Meister Brau Brewing, con notevoli problemi finanziari, la licenza della Meister Brau Lite che rilanciò nel 1973 (a livello nazionale due anni dopo) col nome di Miller Lite, una delle prime birre poco alcoliche sul mercato americano, senza additivi e conservanti, e con solo 96 calorie.
Nel tempo però, sulla Miller Lite, cominciò a insorgere qualche critica. Allora l’azienda presentò, nel 1986, la Miller Genuine Draft in bottiglia, realizzata con un particolarissimo processo di microfiltrazione a freddo.
Per tener testa invece alla concorrenza sempre più aggressiva dei piccoli produttori artigiani con le loro specialità, la Miller ricorse a vari stratagemmi. Nel 1990 introdusse una serie di puro malto a fermentazione alta con la denominazione Miller Reserve. Quindi immise nel mercato diversi altri prodotti speciali, realizzati con metodi tradizionali ed etichettati con il nome della birreria rilevata da Frederick Miller, ossia Plank Road, rimasta appunto come filiale di fascia alta della società dopo la costruzione di una nuova fabbrica a Milwaukee.
Contemporaneamente, procedette all’acquisizione del controllo diretto di imprese minori. Nel 1987 rilevò il vecchio birrificio regionale del Wisconsin, Jacob Leinenkugel Brewing Company a Chippewa Falls, risalente al 1867. Nel 1995 ottenne le quote di maggioranza della Celis Brewery di Austin, nel Texas, e della Shipyard Brewing Company di Portland, nel Maine. E alle tre aziende affidò la sperimentazione di birre più comuni, leggere e piuttosto dolci, per fronteggiare la forte competitività del mercato anche in tal senso.
Nel 1993 era riuscita ad accaparrarsi solo una piccola parte delle azioni nella canadese Molson Brewery. Mentre, all’inizio del 1999, comprò un’altra vecchia fabbrica regionale, la Henry Weinhard’s di Portlamd, nell’Oregon, risalente al 1856.
Ma, nel 2002, la Philip Morris vendette la Miller alla SAB, e nacque la SABMiller.
Nel 2006, la SABMiller acquistò i marchi Sparks e Steel Reserve dalla McKenzie River Corporation di San Francisco (California) che già produceva la Miller.
Nel 2007 la SABMiller e la Molson Coors decisero di mettere in comune le proprie attività negli Stati Uniti, dando vita alla nuova MillerCoors, per operare con maggior forza sul mercato e cogliere importanti sinergie di costi.
Con l’acquisto poi della SABMiller, per ottenere l’approvazione per la fusione dal Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti, la Anheuser-Busch InBev, nel 2016, dovette vendere alla Molson Coors, oltre alla quota del 58% che la SABMiller possedeva nella MillerCoors (Stati Uniti e Portorico), anche il portafoglio del marchio Miller al di fuori degli Stati Uniti e di Portorico.
Oggi la Miller Brewing Company, con una produzione di oltre 40 milioni di barili all’anno, rappresenta il secondo birrificio degli Stati Uniti, mentre la quota di mercato supera il quinto.
Miller High Life, lager di colore dorato chiaro (g.a. 4,6%). Classica lager in stile americano, in produzione dal 1903, viene commercializzata in bottiglia di vetro trasparente e con lo slogan “Lo champagne delle birre”. Fa parte della serie proposta a prezzo contenuto. La carbonazione è medioalta; la spuma bianca, sottile, non così generosa e tanto meno duratura. L’aroma si libera piuttosto granuloso e pulito, con odori floreali, di pane, mais, cracker, grano, malto secco, luppolo erbaceo. Il corpo, da leggero a medio, ha una consistenza parecchio acquosa. Il gusto defluisce fresco, morbido, delicato, con un certo predominio del luppolo sul malto; ma senza sbilanciamento, grazie al decisivo supporto di grano, pane e mais. Il finale presenta una lieve punta di spezie, asciutta e aspra. Nel corto retrolfatto compaiono sfuggenti impressioni di malto, limone, anche metalliche.
Miller Lite, lager di un brillante colore oro chiaro (g.a. 4,2%); conosciuta anche semplicemente come Lite. Commercializzata in lattina, compete, ad armi pari, con la Bud Light. Con una carbonazione leggera e moderata, la schiuma bianca, sottile e cremosa, non dura più di tanto. L’aroma è piuttosto debole; ma il luppolo, con in sottofondo, riso e mais, recita degnamente la propria parte. Il corpo appare più scarno che leggero, in una consistenza decisamente acquosa. Il sapore di mais non si mette troppo in evidenza, quasi a non voler surclassare le timide note di erbe e limone. Il finale risulta secco e corto. Non si rivela più lungo il retrolfatto, con quella sua sfuggente impressione di mela acerba. Si tratta di un prodotto da bere ben ghiacciato.
Miller Genuine Draft, premium lager di un limpido colore dorato chiaro (g.a. 4,7%); il prodotto di punta. Non viene pastorizzata, bensì trattata con il processo cold filter (“filtraggio a freddo”). Questo sistema, servendosi di temperature al di sotto di 0 °C, conferisce il gusto draft, termine che, collegato a beer, in inglese significa “birra alla spina”. La nuova bottiglia ha l’apertura a rotazione. Con la carbonazione piuttosto vivace, si forma una spuma fine e abbondante, di media tenuta e aderenza. Un tenue luppolo e un malto delicato imprimono armoniosamente l’aroma, con qualche accenno di miele, esteri fruttati, sciroppo di mais. Il corpo leggero ha una tessitura parecchio acquosa. Il gusto è raffinato, pulito, rinfrescante, anche dolce ma con amaro ben percettibile; così come si fa notare quella punta acida di mela verde che precede il corto finale, secco e un po’ astringente. Non si rivela più lungo il retrolfatto, addirittura quasi anonimo.
Red Dog, lager di colore oro pallido (g.a. 5%); introdotta nel 1994. Viene prodotta con due tipi di malto e cinque varietà di luppolo americano. Con una carbonazione piuttosto alta, si forma una schiuma bianca sottile, generosa, ma di non lunga durata. La finezza olfattiva è attraente: tra i freschi profumi di malto, fieno, grano, luppolo floreale, palesa evocazioni di vaniglia. Il corpo, medio-leggero, presenta una trama cremosa alquanto appiccicosa. Il gusto, moderatamente segnato dal malto, non può “allargarsi” più di tanto nel suo orientamento al dolce, tenuto a bada dal delicato, però intransigente, amarore del luppolo in sottofondo. Nel corto finale fa capolino un labile sapore di mais dolce. La pulita secchezza del retrolfatto si percepisce a malapena.