Tratto da La birra nel mondo, Volume III, di Antonio Mennella-Meligrana Editore
Copenaghen/Danimarca
La brew firm è “un’azienda che affitta un impianto altrui avendo una ricetta propria, di solito affinata dopo anni di homebrewing su piccoli impianti casalinghi, gelosamente custodita come segreto professionale”. È il caso della Mikkeller di Copenaghen, in attività dal 2006 e oggi famosa in tutto il mondo.
Diciamo subito che Mikkeller è dato dalla combinazione di un nome e un cognome appartenenti ai due soci fondatori e homebrewer: il professore liceale di matematica e fisica Mikkel Borg Bjergsø e il giornalista Kristian Klarup Keller. Purtroppo, già l’anno dopo, Mikkel rimase solo, per una profonda divergenza di opinioni: lui, la pensava in grande, il socio invece in piccolo. Comunque non si perse d’animo, e andò avanti da solo, fino a diventare in pochissimo tempo il più prolifico e noto tra i cosiddetti “birrai zingari”, apprezzato in tutto il mondo dei beer geek (termine inglese per indicare una persona con un eccessivo entusiasmo nel campo brassicolo), grazie anche a un’efficace strategia di marketing e ad alcune idee di produzione innovative.
Per esempio, fu di Mikkeller l’idea di realizzare un’intera serie di birre “single hop”, con utilizzo ovvero di una sola varietà di luppolo. Non fu certo creata da Mikkeller quella farmhouse che va conquistando sempre più il mondo brassicolo internazionale; ma, ugualmente, non si può disconoscere a Mikkeller l’abilità nell’amalgamare i Brettanomyces bruxellensis con una pesante luppolizzazione creando una birra rustica, solida, pulita, straordinariamente dissetante. La lager americana, si sa, può magari avere l’aroma, ma non certo il corpo di quella europea. Eppure Mikkeller, tramite una “sapiente” ed elegante luppolizzazione, riuscì a realizzare, per lanciarla sul mercato europeo, una lager americana alla moda, gustosa e di facilissima beva. Per non parlare della imperial stout, in cui l’abilità di Mikkeller seppe equilibrare il forte amarore del luppolo e la dolcezza del malto e dell’alcol fino a creare una birra, magari audace, estrema, anche volgare, ma complessa… perfetta.
Mikkeller realizza le sue birre un po’ ovunque, presso soprattutto De Proefbrouwerij (Belgio), ma anche Nøgne Ø (Norvegia), Brouwerij De Molen (Paesi Bassi), Amager Bryghus (Danimarca), BrewDog (Scozia).
Mentre il numero delle produzioni, dalla nascita a oggi, è allucinante: 1046, tra stabili, in edizione speciale o limitata, one-shot e svariate collaborazioni in giro per il mondo. Ovviamente, tante non sono altro che leggere variazioni di una birra ben riuscita; ma proprio qui si esalta la filosofia di Mikkeller. Una volta “azzeccata” una birra, la “moltiplica” il più possibile, e ci riesce magnificamente.
Oltre a possedere infine il brewpub Warpigs di Copenaghen, Mikkeller inaugurò, nel 2016, il birrificio a Miramar (San Diego, California), rilevando locali e impianto di AleSmith Brewing Co. trasferitasi poco lontano.
Mikkeller Single Hop Centennial IPA, india pale ale di colore ambrato e dall’aspetto torbido (g.a. 6,9%); della serie “single hop”. Con una media effervescenza, la schiuma ocra si leva sottile, cremosa, duratura. L’olfatto ha un lieve accento aspro nei suoi profumi vegetali, terrosi, di malto, agrumi, caramello, resina, frutta tropicale, aghi di pino, luppolo erbaceo. Il corpo sottile presenta una consistenza alquanto oleosa. Il gusto, dopo un fugace attacco caramellato, si rivela decisamente amaro, con note di pino, agrumi, resina, erbe; nonché una buona dose di acidità e una calda secchezza alcolica. Il finale, benché liscio e agrodolce, rasenta l’astringenza. Le interminabili sensazioni retrolfattive, vegetali e resinose, richiamano la freschezza della menta.
Mikkeller Invasion Farmhouse IPA, imperial IPA di colore arancio e dall’aspetto torbido (g.a. 8%); imbottigliata con Brettanomiceti. Con una carbonazione da media a vivace, la spuma biancastra emerge densa ma soffice, enorme ma di facile dissoluzione. Terra, aia, sudore, cantina, acido lattico, cuoio, muffa, pelle di animale, allestiscono, con l’appoggio di malto, lievito, frutta, agrumi, abete rosso, erba appena falciata, un’intensità olfattiva molto elevata, anche se di finezza appena ordinaria. Il corpo medio ha una trama cremosa pressoché appiccicosa. Anche il gusto mostra una certa complessità, quasi a voler reiterare le sensazioni avvertite la naso, e si snoda tra note fruttate, biscottate, agrumate, però rustiche e insufflate della componente brett; mentre del luppolo non si avverte nemmeno un lontano ricordo. Il finale arriva molto secco, e si trattiene abbastanza perché non rimangano troppo vaghe nella mente le sue impressioni polverose di fattoria, cuoio, sudore. Non si rivela da meno il retrolfatto, aspro, amaro, astringente.
Mikkeller The American Dream, lager di colore dorato intenso tendente al ramato (g.a. 4,6%). Tipica lager industriale di fascia bassa, con pesante luppolizzazione americana e pensata “per essere bevuta a collo, direttamente dalla bottiglia, in un caldo giorno d’estate”. Con una media effervescenza, la schiuma biancastra si riversa fine, cremosa e di sufficiente durata. L’aroma propone, con una certa eleganza, frutta tropicale, miele, resina, agrumi, fieno, aghi di pino, luppolo floreale. Il corpo, molto sottile, ha una consistenza decisamente acquosa. Con una labile base caramellata, il sapore è dato tutto dall’amaro, di resina, erbe, agrumi; con un soffio di spezie leggere che si leva nella seconda parte del breve percorso gustativo. Il finale, secco e croccante, introduce uno sfuggente retrolfatto amarognolo da buccia di limone.
Mikkeller Black Hole, imperial stout di colore nero e dall’aspetto opaco (g.a. 13,1%). La carbonazione è quasi piana; la schiuma caramello, scarsa ed evanescente. L’intensità olfattiva molto elevata arriva a essere elegante nella sua finezza: subito, una vera e propria esplosione alcolica; quindi si esibiscono, in una progressione quasi cadenzata, frutta secca e sotto spirito, caffè e cioccolato fondente, malto tostato e torrefazione, uva passa e miele, caramello e bacche dolci, terra umida e rovere invecchiato, cannella e noce moscata. Il corpo pieno presenta una trama fra oleosa e cremosa. Nel gusto, straordinariamente morbido, anche se un po’ legnoso, dà il benvenuto una deliziosa dolcezza fruttata; seguono malto tostato, caffè e cioccolato a ristabilire l’equilibrio, mentre è in arrivo una rinfrescante acidità tra le note calde dell’etanolo che chiude il lungo percorso. Il finale si rivela una sorta di transizione, da una dolcezza melata all’intenso amaro da tostature, con una sensazione quasi minerale leggermente aspra. Nella notevole persistenza retrolfattiva, è la frutta sotto spirito a conferire piacevolezza e tepore alle impressioni resinose, di fumo e luppolo piccante.