Tratto da La birra nel mondo, Volume III, di Antonio Mennella-Meligrana Editore
San Marcos, California/USA
Conseguito in Arizona il Bachelor of Arts (“baccellierato in arti”, corso universitario che rilascia un titolo di primo livello, negli USA di quattro anni), Tomme Arthur ritornò nella sua San Diego.
Nel 1996 fu assunto alla Cervecerías La Cruda, dove, insieme a Troy Hojel, sperimentò nuove ricette, ottenendo, nello stesso anno, una medaglia d’oro al Great American Beer Festival.
Purtroppo l’anno successivo La Cruda chiuse, e Tomme andò a lavorare alla White Labs (sempre di San Diego), azienda specializzata nelle colture di lievito liquido.
Ma a Tomme piaceva fare la birra. All’inizio dell’estate del 1997 passò, come mastro birraio, al Pizza Port di Solana Beach.
Nel 2006, insieme ai fondatori di Pizza Port, Vince e Gina Marsiglia, e a Jim Comstock, mise su, a San Marcos (una trentina di miglia a nord di San Diego), la Port Brewing/Lost Abbey. Sicché, mentre la Port Brewing rimaneva ferma nella produzione delle tipiche birre della West Coast; la Lost Abbey continuava, a sua volta, i propri esperimenti, soprattutto d’ispirazione belga, comprese le fermentazioni spontanee e le birre acide, nonché gli affinamenti e gli invecchiamenti in botte. E non tardarono certo ad arrivare premi e riconoscimenti, sia da parte del Great American Beer Festival che della World Beer Cup.
Oggi Tomme è affiancato, alla Lost Abbey ovviamente, da Mike Rodriguez, ex mastro birraio alla Boulevard Brewing di Kansas City (Missouri). Mentre i due “rami” della Port Brewing/Lost Abbey occupano, insieme, l’immensa struttura abbandonata dalla Stone Brewing Co.
Meritevoli di menzione le geniali iniziative di Tomme Arthur.
Nel 2006 vide la luce il Patron Saints Club. Col pagamento di una determinata quota, si riceveva a casa un certo numero di birre nel corso dell’anno.
Qualche mese dopo nasceva un secondo club, Patron Sinners, dedicato alle birre più rare, a quelle acide o affinate in botte.
Purtroppo, nel 2011, i due club furono inaspettatamente chiusi, per vari motivi. Le difficoltà nelle spedizioni per le complicate leggi dei diversi stati americani; la gestione ormai insostenibile di un lavoro così massacrante da parte del ridotto personale del birrificio; e, soprattutto, per una maggiore flessibilità di cui Tomme intendeva disporre nella produzione delle birre acide e negli affinamenti in botte legati invece ai rigidi programmi dei club.
Ma, a fine 2011, la Lost Abbey annunciò l’imminenza di una ambiziosa serie di birre ispirate da canzoni rock riguardanti il paradiso e l’inferno. E, ogni mese del 2012, uscì una nuova birra in edizione limitata a 350 esemplari. Per evitare invece la speculazione e le rivendite a prezzi maggiorati in Internet, le bottiglie erano disponibili solo per il consumo all’interno della Tasting Room del birrificio.
A fine anno tutte e 12 le birre furono offerte in un lussuoso Ultimate Box Set. Mentre, a gennaio del 2015, la Lost abbey decise di riprendere la produzione di alcune delle birre che avevano composto il richiestissimo Box Set del 2012.
Lord Abbey Serpents Stout, imperial stout di colore nero inchiostro e dall’aspetto opaco (g.a. 11%); una stagionale, di solito messa in commercio all’inizio dell’inverno. Con una moderata effervescenza, la schiuma, di un marrone chiaro, emerge piuttosto scarsa ed evanescente, lasciando intorno al bicchiere appena il segno di un pizzo. Al naso, intensi profumi di cacao, anice e cioccolato si mescolano allegramente a quelli di malto scuro e melassa, a loro volta, insufflati di frutta scura, caffè, liquirizia, orzo tostato. Il corpo pieno, pesante, si presenta in una consistenza fin troppo viscosa. In bocca, subito dopo una vampata di calore alcolico, ritornano le sensazioni avvertite all’olfatto, mentre l’etanolo continua il suo percorso, adesso con delicatezza, quasi timidamente, per non compromettere l’equilibrio gustativo raggiunto dal dolce e dall’amaro sotto l’egida di una perfetta secchezza. Malti tostati e torrefatti s’impadroniscono del finale con una dolcezza quasi appiccicosa; ma devono presto lasciare il campo alla lunga persistenza retrolfattiva in cui sensazioni di cioccolato fondente amaricano il palato intanto che lo ripulisce il sopravvenuto bourbon.
Lost Abbey Judgment Day, abbazia quadrupel di colore marrone con riflessi rubino e dall’aspetto torbido (g.a. 10,5%). Un nome biblico (“Giorno del Giudizio”) che intende evocare le grandi birre trappiste belghe. Purtroppo, di esse, non ha affatto le caratteristiche né aromatiche né gustative: insomma non siamo in Belgio, terra di codesti “miracoli”. Utilizza frumento, insieme a cinque tipi di malto, e due varietà di luppolo (Challenger e E.K. Golding); nonché uvetta e destrosio, aggiunti nel mosto. Con una carbonazione quasi piana, la spuma beige fuoriesce molto sottile, spessa, cremosa, ma si dissolve in fretta. L’aroma, come preannunciato, non è certo quello delle trappiste; si apre comunque sotto il segno dell’intensità e della pulizia, a base di malto, caramello, lievito belga, toffee, frutta scura secca, cioccolato, spezie, delicato alcol. Il corpo, abbastanza pesante, ha una trama spiccatamente oleosa. E, anche nel gusto, siamo lontani dalle trappiste. Qui lo scettro è nelle mani della frutta sotto spirito, che lascia perfino poco spazio per le note di caramello, vaniglia, cacao, malto tostato, lievito belga, cioccolato; da parte sua, l’alcol non abbandona mai il campo, ma sa essere discreto, anche cordiale pur nel suo timido tepore. Una buona secchezza pone fine a un’amabilità che sembrava non dovesse mai stancarsi di deliziare il palato. Mentre la lunga persistenza retrolfattiva, morbida e calda, invoca a gran voce l’immediato ritorno della frutta sotto spirito, in particolare uvetta e prugne. L’azienda consiglia di lasciare questo prodotto, destinato all’affinamento, per qualche anno in cantina.
Lost Abbey Carnevale, saison di colore dorato con riflessi arancio e dall’aspetto velato (g.a. 6,5%). Dal 2009, all’imbottigliamento, si fa uso di Brettanomiceti. È un prodotto che intende celebrare l’arrivo della Quaresima e della Pasqua; viene pertanto presentato di solito verso la fine di febbraio con un party, Carnevale di Lost Abbey Masquerade. Con una carbonazione abbastanza elevata, la spuma bianca erompe spessa e abbondante, pannosa e duratura. L’aroma si apre intenso, improntato alla massima pulizia: malto, lievito belga, agrumi, frutta tropicale, fieno, grano, pane croccante, esteri, spezie, acido lattico. Il corpo, medio-pieno, si propone in una trama leggermente grassa e pressoché appiccicosa. Note dolci di pane e biscotto, pesca e albicocca, miele e zucchero candito, improntano la prima parte del lungo percorso gustativo; nella seconda parte, la musica cambia, nel senso che la dolcezza viene, prima, stemperata da una sottile luppolizzazione, infine, fagocitata da una leggera acidità. Un secco amarore, ispirato all’erbaceo più che al terroso, spiana la strada a un piacevole retrolfatto, in cui si avvertono distintamente sensazioni di frutta gialla, in particolare albicocche, dolcemente riscaldate dall’etanolo.