John Martin

Tratto da La birra nel mondo, Volume III, di Antonio Mennella-Meligrana Editore

Genval/Belgio
Birrificio, nel Brabante Vallone, nato a opera di un uomo d’affari straniero.
John Martin, di origine inglese, seguì il padre, impegnato nel mercato navale, in Belgio. Studiò, prima, dai gesuiti; poi, a Londra. Nel 1908 sposò Jeanne Bouttiau, figlia di un noto medico di Liegi. L’anno dopo, a 23 anni, fondò ad Anversa la John Martin.
Convinto che, in Belgio, le sue ale avrebbero ottenuto il giusto riconoscimento, iniziò a produrre birre di alta qualità, combinando la tradizione anglosassone, il know-how belga e il suo genio non certo privo di qualche spunto temerario.
E si distinse soprattutto come feroce propagandista di se stesso: “Solo i veri intenditori possono apprezzare birre come le mie”. Nel giro di poco tempo lo conoscevano in tutto il Belgio. Si nascondeva tra i clienti dei locali che servivano i suoi prodotti, pronto a ingaggiare lunghe diatribe con chi non avesse espresso un giudizio più che positivo in merito.
Nel 1912 importò dall’Irlanda la Guinness con il famoso slogan “Guinness is good for you” (“Guinness fa bene a te”). Arrivata per la prima volta nel contenente, grazie alla pubblicità, questa birra vide aumentare enormemente la sua reputazione in tutta Europa. E, nel 1944, John Martin ottenne la produzione in esclusiva per il Belgio della Guinness Special Export. Intanto, nel 1924, era nata anche una birra di origine scozzese, la Gordon Scotch Ale.
Nel 1934 scoprì e acquistò l’incantevole castello sul lago Genval, immerso nel verde e ricco di sorgenti minerali. Ma, restaurato a regola d’arte nel 1952, questo gioiello diventerà nel 1981 un prestigioso hotel.
Negli anni Cinquanta iniziò la produzione della Bulldog Pale Ale, a cui conferì una particolare delicatezza impiegando luppolo in prima fioritura. Birra che, in onore del suo creatore, prenderà in seguito il nome di Martin’s Pale Ale.
Alla morte di John, nel 1966, subentrarono i figli, Andrew e John-James.
Nel 1988 l’azienda, che già dal 1910 aveva preso a distribuire in Europa una bevanda di successo come Schweppes Indian Tonic, fece suo il marchio dei succhi di frutta Looza e lanciò il brand Orangina in Belgio.
Nel 1992, con la terza generazione Martin, John-Charles, Anthony e Peter, figli di John-James, nacque la Gordon Finest Gold, di carattere tipicamente scozzese. L’anno successivo fu rilevata la Timmermans.
Nel 2004 la guida della società passò esclusivamente nelle mani di Anthony Martin, nipote del fondatore.
Nel 2012 la John Martin diventava ufficialmente il più antico distributore di Diageo nel mondo, celebrando 100 anni di collaborazione con la Guinness.
Oggi la John Martin è un’azienda all’avanguardia, con una produzione annua di 250 mila ettolitri e filiali in Italia (Stezzano, in provincia di Bergamo), Francia (Rouen) e Spagna (Valencia). Dal 1924 invece, la sua sede principale è a Genval.
E, mentre i grandi gruppi, nell’affannosa conquista dei mercati di tutto il mondo, tendono a privilegiare i marchi con margine di utile maggiore, impoverendo inevitabilmente la gamma delle offerte, la casa di Genval arricchisce sempre più il suo catalogo, andando incontro a una clientela in cerca di specialità diverse e più caratterizzate.
Vastissima l’offerta dei suoi prodotti. Di particolare rilievo le gamme Gordon e Douglas Celtic. Il nome Gordon è un tributo all’antico clan scozzese di importanza storica, che tra l’altro combatté con Luigi IX di Francia nel secolo XIII. L’emblema delle birre è un cardo, simbolo della Scozia, su un tartan scozzese, il blasone del clan. Anche il tipico bicchiere di Gordon è a forma di cardo. La gamma Douglas Celtic invece propone birre scozzesi autentiche, ispirate alla cultura celtica.
Oltre che alle novità brassicole, la Martin è sempre stata particolarmente attenta alle promozioni e alle iniziative nei locali con distribuzione dei suoi brand. C’è da ricordare l’ambiente a tema con a protagonista il mare, in continua evoluzione, per sintonizzarsi col nuovo sistema di vita del consumatore e con la sua mutata interpretazione del modo di viaggiare.
Aprì la serie il classico The Gallion, locale birrario ispirato ai vecchi porti e ai temerari galeoni che sfidavano il pericolo dei loro lunghi viaggi. Seguì la Brasserie du Matelot, a riprendere lo stile di vita e i piroscafi d’inizio Novecento, con la gamma Bières de Brabant e una gastronomia estrosa ma genuina anche per una pausa rifocillante durante la giornata. Infine fece la sua comparsa il più moderno Club Lounge, con richiami alle grandi traversate oceaniche in catamarano e, insieme, in grado di soddisfare le ultime tendenze della vita sociale sia nella ristorazione che nel relax.
In ambito sportivo, va rammentato il suo team nel campionato Le Mans Endurance Series, con la Porsche scarlatta a reclamizzare i marchi Gordon e Timmermans.
Martin’s Pale Ale, english strong ale di colore ambrato vivo (g.a. 6%); giudicata in passato come “la più nobile delle pale ale inglesi”. L’aromatizzazione avviene a secco, con fiori freschi di luppolo del Kent, per captare la massima finezza degli aromi e dei sapori. La moderata effervescenza determina una schiuma beige fine e cremosa, durevole e aderente. La freschezza e l’intensità del luppolo quasi stordiscono l’olfatto, senza però surclassare i delicati sentori fruttati, di malto, lievito, miele, caramello, pepe bianco. Il corpo, da leggero a medio, presenta una trama oleosa pressoché appiccicosa. Non meno singolare si rivela il gusto che, dopo l’attacco amabile dello sciroppo di canna da zucchero, di frutta candita, caramello, melassa, prende lievi note aspre e tostate che portano a una media acidità. L’amaro secco, terroso, che caratteriza la corta durata del finale, si protrae nel retrolfatto, dove indugia a lungo, in attesa di sensazioni, prima metalliche, poi citriche e di liquirizia.
Gordon Five, premium lager di colore oro pallido (g.a. 5,5%). Con una carbonazione media, la spuma bianca, a grana minuta e soffice, accusa scarsa durata e mancanza di aderenza. L’olfatto appare piuttosto segnato dalla dolcezza del malto, con tenui sentori di caramello, mais, luppolo, erba verde. Il corpo, da medio a leggero, ha una consistenza tra acquosa e grassa. Anche il gusto si dipana con l’amabilità del cereale e quella delicata quanto incisiva punta di amaro necessaria per rendere il prodotto equilibrato, fresco, di facile bevibilità. Alla fine della corsa di media durata, s’impone una secchezza piuttosto astringente e dall’accento acidulo. Dal discreto retrolfatto esalano piacevoli suggestioni di un caramello morbido, quasi burroso.
Gordon Finest Gold, imperial pils/strong lager di colore giallo dorato carico con riflessi ramati e ambrati (g.a. 10%); forte e raffinata dal carattere tipicamente scozzese. Per il carattere appunto, deciso e complesso, viene considerata alla stregua di un importante vino di annata. Con un’effervescenza moderata, la spuma, di un bianco sporco, si sviluppa sottile e aderente, anche se non molto durevole. L’aroma esala ricco, intenso ma delicato, regalando profumi di malto granuloso, luppolo erbaceo, mais, sciroppo di zucchero: il tutto infervorato dal calore dell’etanolo. Il corpo, medio-pieno, ha una struttura cremosa densa e appiccicosa. Nel gusto, prevale un malto rotondo e pulito che non sovrasta però le emergenti note di mandorla, cereali, miele, caramello, affumicatura, pane, frutta, spezie leggere. Il finale si sviluppa lungo e amaro in una consistenza alcolica che quasi accarezza il palato, perdendosi languidamente nella discreta persistenza retrolfattiva caratterizzata da estrema secchezza e con qualche impressione metallica.
Gordon Finest Scotch, scotch ale di colore tonaca di frate con bei riflessi rubino (g.a. 8%). Nome, dal 2006, della Gordon Scotch Ale, con abbassamento dell’ABV dell’8,6%. Si tratta di un prodotto dal carattere contrastante, forte e dolce, nello stesso tempo; ma può vantare il perfetto equilibrio tra olfatto e palato. Con un’effervescenza moderata, la copiosa schiuma color cappuccino, densa e tenace, disegna splendidi “merletti di Bruxelles” sulle pareti del bicchiere. All’olfatto, i profumi esalano complessi e variabili: dalla vaniglia alla liquirizia, dalla frutta matura al cacao amaro e al malto torrefatto. Il corpo, di notevole struttura, si rivela però morbido e in armonia con la persistente alcolicità che riempie la bocca senza minimamente aggredire, anzi. Dopo un attacco dolciastro ma piacevolissimo, il gusto assume una consistenza amarognola di fresca intensità, che porta a una finitura leggermente metallica, secca e acida. La lunga persistenza retrolfattiva è un inno alla liquirizia, con qualche suggerimento di quercia e cardamomo. Per il perfetto equilibrio totale appunto e l’immediata godibilità, questo prodotto risulta particolarmente adatto a chi si avvicina per la prima volta alle birre forti e scure.
Gordon Xmas, english strong ale di colore rubino scuro (g.a. 8,8%). Inaugurò, negli anni Trenta, la tradizione delle birre natalizie, di cui rappresenta un classico. E, a metà strada fra una ale scozzese e una belga; costituisce anche, grazie alla propria ricchezza e intensità, un punto fermo di riferimento per le migliori birre ad alta fermentazione. Con un’effervescenza da media a bassa, la schiuma, generosissima e compatta, mostra anche pregevole stabilità e aderenza. La finezza olfattiva è elegante, con profumi di spezie e di frutta matura, di cacao e di caffè torrefatto, di melassa e di liquirizia, di lievito e di brandy. Il corpo pieno ha una consistenza grassa alquanto appiccicosa. Nel gusto, caffè e cioccolato prendono il sopravvento; ma non si arrendono certo le note relegate in secondo piano di malto, caramello, frutti scuri, bacche rosse, zucchero di canna, pan di zenzero, vaniglia, cannella, liquirizia. Il finale si dilunga abbastanza nelle sue impressioni dolci e speziate, secche e tostate. Un caldo amarognolo terroso e piccante caratterizza la lunga persistenza retrolfattiva.
Douglas Celtic Brown, scotch ale di colore marrone rossastro (g.a. 7,9%). Con una media effervescenza, la schiuma beige, sottile, compatta, si dissolve abbastanza rapidamente lasciando però i segni di una buona allacciatura. L’aroma si esprime a base di caramello, malti tostati, uva sultanina, lievito belga, frutta secca; e con accenni terrosi e di fumo. Il corpo, medio-pieno, presenta una trama grassa e appiccicosa. Il gusto è intenso, con tendenza a una dolcezza morbida e asciutta che però non va oltre, tenendosi ben lontano dalla stucchevolezza, tra note di vaniglia, malto torrefatto, zucchero di canna, legno, uvetta, torba, luppolo erbaceo. Il percorso appare da lungo e medio, e si esaurisce in un agrodolce dall’acidità piccante. Nella notevole persistenza retrolfattiva l’alcol scalda dolcemente le impressioni di lievito, caramello bruciato, fiori di luppolo, resine legnose.
Geneviève de Branbant Blanche, birra di frumento di colore giallo paglierino con riflessi scuri e sfumatire aranciate in controluce (g.a. 5%); tipica witbier dall’aspetto opalescente. Fa parte della gamma di birre del Brabante e viene prodotta presso la Timmermans. La spuma, di un bianco sporco, fine, compatta, cremosa, durevole, è appannaggio della vivace carbonazione. L’aroma si esprime fresco, acidulo, gradevole, con sentori di lievito, frumento, erbe aromatiche, frutta acerba, coriandolo, buccia di arancia amara. Il corpo si rivela estremamente sottile, e di trama acquosa. Anche il gusto propone una lieve acidità, ma solo in prossimità del traguardo, dopo lunghe note, prima, dolciastre, poi, fruttate. Il finale, piuttosto breve, appare, non da meno, granuloso, secco, amaro. Suggestioni di lievito e semi di coriandolo segnano la sfuggente persistenza del retrolfatto.
Due birre speciali vengono invece fabbricate per la John Martin nell’abbazia olandese di Koningshoeven. Sono ale di seconda fermentazione, realizzate con antichi sistemi e in base a ricette del monastero.
Dominus Dubbel, abbazia dubbel di colore marrone scuro e dall’aspetto opaco (g.a. 6,5%). Presenta una moderata effervescenza; spuma beige, alta e sottile, di rapida dissoluzione; soave aroma di malto, caramello, zucchero di canna, lievito, frutta scura troppo matura, liquirizia, pane nero tostato, spezie dolci; corpo medio, di trama fra oleosa e grassa; sapore dolce ma non stucchevole, con note floreali, di lievito, esteri, uva passa, fichi secchi, prugne, caffè, legno, cioccolato, e solo un accenndo di luppolo; finale abbastanza secco e alcolico; retrolfatto di uvetta e zucchero candito.
Dominus Triple, abbazia tripel di un luminoso colore oro vecchio e dall’aspetto nebuloso (g.a. 8%). Si propone con buona carbonazione; schiuma bianchissima, ariosa ma di rapida dissoluzione; intensi profumi di frutta esotica dominante, alla cui ombra si sviluppano sentori di erbe, malti scuri, lievito belga, chiodi di garofano; corpo da leggero a medio, di trama più grassa che oleosa; gusto pieno, morbido, piuttosto amabile con alcune note fruttate e una durata alquanto lunga; finale pressoché astringente in un amarore piccante; retrolfatto pulito, agrodolce, con sfuggenti suggestioni alcoliche e di coriandolo.
Guinness Special Export, export stout; versione speciale: forte, fruttata e lievemente dolce. La prima varietà di Guinness a essere pastorizzta nel 1930, viene tuttora prodotta a Dublino in esclusiva per John Martin, destinata ai mercati del Belgio, della Francia, del Lussemburgo e dei Paesi Bassi.
Da ricordare che la John Martin produce anche Adam’s Apple Cider, sidro inglese (g.a. 6%). Secco e con tutta la dolcezza delle mele, è considerato “lo champagne dei pub”. Si presenta invece più leggero (g.a. 4,5%) un nuovo sidro, Douglas Celtic Dry Cider, che va ad affiancare il Magners, della stessa forza ma più secco.
Brasserie de Waterloo/Mont-Saint-Jean
Waterloo è una cittadina del Brabante Vallone. La sua fama è legata all’omonima battaglia del 18 giugno 1815, che segnò la definitiva sconfitta di Napoleone Bonaparte.
Circa tre chilometri e mezzo a sud di Waterloo, su una cresta collinare, c’era una località, chiamata Mont-Saint-Jean, che, a quell’epoca, contava una trentina di case e, come principale costruzione, un’importante fattoria, Ferme de Mont-Saint-Jean. La famosa battaglia si svolse su tale cresta e nella sottostante pianura, mentre la fattoria fu adibita a ospedale campale per le truppe britanniche che curò oltre 6 mila feriti.
Anthony Martin (è proprio vero, che buon sangue non mente) ebbe la felice idea di comprare la storica fattoria e, in una sua ala, nel 2014 impiantò un microbirrificio, sfruttando l’acqua dolce del posto, a basso contenuto di ferro e calcio. Anche l’orzo e il frumento sono di provenienza locale, mentre ha già avuto inizio la coltivazione del luppolo.
Ma c’è da precisare che, dal 1456, la birra Waterloo veniva prodotta dalla Brasserie du Marché a Braine-l’Alleud, che chiuse nel 1971.
Della gamma Waterloo segnaliamo:
Waterloo Strong Dark, belgian strong dark ale di un marrone scuro con riflessi rosso rubino e dall’aspetto opaco (g.a. 8,5%). La carbonazione quasi piatta origina una spuma color cappuccino sottile, cremosa, di sufficiente tenuta. Esteri, malti tostati, lievito, caramello, pasta di pane, noci, miele, frutta scura e gialla matura, zucchero di canna, liquirizia, uvetta, vaniglia, pepe bianco, e un soffio di alcol, allestiscono un bouquet olfattivo di elevata intensità e finezza attraente. Il corpo, medio-pieno, ha una consistenza alquanto grassa e appiccicosa. Nel gusto, l’alcol sa tenersi ben nascosto, facilitando la percezione perfetta dell’armonioso equilibrio raggiunto dalle note dolci dei cereali e amare del rampicante. Il percorso ha una durata da media a lunga, e termina alcolico e speziato, sfumando rapidamente tra le impressioni, prima, secche e aspre, poi, dolci e fruttate della notevole persistenza retrolfattiva.
Brouwerij Timmermans/Itterbeek
Il più antico produttore di lambic ancora attivo in Belgio. Si trova nel cuore del villaggio storico di Itterbeek, dal 1977 una sottomunicipalità di Dilbeek, nel Brabante Fiammingo.
Fino al 2010 si riteneva che questo birrificio fosse stato fondato nel 1781 da Hendrik Vanheyleweghen di Dilbeek; invece risulta che esso esisteva già nel 1702.
Un tempo a Itterbeek vivevano poco più di 200 anime; eppure prosperavano ben 5 birrifici. Jan Vandermeulen e Joanna Esselinckx, rivevuta in eredità una fattoria vicino alla chiesa di Sint-Pieter, non esitarono a impiantare anche loro un piccolo birrificio con annessa taverna, Brouwerij De Mol, volgarmente noto come Het Molleken. E, con quest’ultimo nome, il birrificio viene menzionato ufficialmente per la prima volta nel testamento di Jan Vandermeulen a favore della figlia Elisabeth, datato 1702 appunto.
A loro volta, i registri delle accise parlano di una birra “bruna”. Ma alcuni indizi inducono a pensare che si trattasse di lambic: per esempio, la considerevole quantità di frumento usata per il mosto; la stagione brassicola per lo più concentrata in inverno. A loro volta, alcuni documenti fanno riferimento al koelschip (anglicizzato, coolship), la tradizionale vasca di raffreddamento del mosto, larga, aperta e piatta.
Nella seconda metà del secolo XIX Paul Jozef Walravens rilevò dai precedenti proprietari la fattoria e il birrificio, quest’ultimo ampliato al punto da risultare il secondo più grande di Itterbeek.
Unica erede di Paul Jozef Walravens era Celina Hendrika che, nel 1911, sposò Gerard Frans Timmermans, figlio di un produttore di birra di Zuun. E Paul vendette per quattro soldi fattoria e birrificio ai giovani sposini.
Nell’atto di compravendita si fa riferimento alla produzione e alla commercializzazione di lambic, geuze e kriek. I nuovi proprietari considerati gli enormi progressi fatti dal birrificio negli ultimi tempi, gradualmente abbandonarono l’agricoltura per concentrarsi sulla produzione della birra. Addirittura, nel 1920, chiusero la taverna per costruirvi un nuovo edificio annesso al birrificio.
Germaine, l’unica figlia di Gerard Frans Timmermans, sposò Paul van Custem. Alla morte, nel 1959, di Gerard Frans Timmermans, Paul van Custem ribattezzò il birrificio Brouwerij Timmermans e lo passò al figlio Raoul. Nel 1962 la società divenne un’azienda.
Diversi anni dopo, Raoul prese a lavorare con sé il fratello minore, Jacques, che aveva studiato birra. E la Timmermans divenne uno dei più grandi produttori di lambic in Belgio.
Per potersi espandere ulteriormente, nel 1984 i due fratelli strinsero una partnership con Rizla, una grande azienda produttrice di cartine per sigarette, che, acquistando il 50% più un’azione, poté rilevare la società. Mentre, lentamente, Raoul si ritirò.
Nel 1993 Rizla vendette la sua quota di maggioranza nella Timmermans a John Martin. Nel 2004, anche Jacques si ritirò, mantenendo soltanto un ruolo consultivo. Mentre il figlio, Frédéric, rimaneva direttore operativo nell’azienda.
Con l’ingresso della John Martin, la produzione della Timmermans prese a svilupparsi su due linee: Tradition e Fruitées. Alla prima appartengono prodotti a base di lambic realizzati artigianalmente, secondo la tradizione della regione, con un 30% di frumento e fatti maturare in botti di rovere. La seconda, è un arricchimento della prima, con l’introduzione di nuove specialità: birre fruttate e acidule, di ottima bevibilità, e con sempre crescente diffusione anche all’estero (circa il 40% della produzione). In realtà, si tratta di lambic “finti”, addomesticati e addolciti con zuccheri e sciroppi alla frutta.
Alla fine, la Timmermans decise di tornare alle sue radici. E, per il progetto di lambic tradizionali si accaparrò, come capo birraio, Willem van Herreweghen (già responsabile di produzione alla Palm e creatore della Geuzestekerij De Cam), assistito dal birraio Thomas Vandelanotte.
Nasceva così, nel 2009, la Timmermans Oude Gueuze. Oude (che significa “vecchio”) non punta tanto alla sua età, piuttosto indica il carattere tradizionale della birra, puro e senza additivi.
Nello stesso anno, l’azienda inaugurava al suo interno il Museo della Birra Timmermans, dedicato al mondo del lambic. Nel 2010 vedeva la luce, con le ciliege acide di Sint-Truiden, la Timmermans Oude Kriek. Da annotare infine che la Timmermans è anche membro HORAL, pertanto garantisce che i suoi metodi di produzione soddisfano gli standard dell’Unione Europea per il lambic e la gueuze.
Timmermans Oude Gueuze, gueuze dal classico colore oro antico e di aspetto intorbidato dai sedimenti di lievito (g.a. 5,5%). È considerata “lo champagne delle birre”, anche in considerazione della disponibilità in edizione limitata. La bassa carbonazione origina bolle bianchicce piccole e persistenti. L’aroma si schiude rude e agreste, portando subito in primo piano sentori di cuoio, terra, stallatico, sudore animale, fieno, muffa; ma non mancano timide infiltrazioni di legno, miele, sottobosco, pompelmo, mela verde, rabarbaro. Il corpo, da leggero a medio, ha una consistenza tra oleosa e acquosa. Nel gusto, non latita certo la tipica componente funky; esso comunque si rivela morbido e vellutato, raggiungendo un delicato equilibrio tra acido, aspro e una sottile dolcezza di supporto. Il finale ricorda, col suo amarore, la menta, anche la salvia; nello stesso tempo, risulta estremamente secco quasi quanto una grappa. Il retrolfatto si dilunga abbastanza per erogare fresche, acri, invitanti, suggestioni di scorza d’agrumi.
Timmermans Oude Kriek, kriek di colore rosso vivo e dall’aspetto confuso (g.a. 5,5%); disponibile, come la Oude Gueuze, solo in edizione limitata. Rispetto agli altri prodotti nello stesso stile, presenta un carattere di lambic più spiccato. Con una carbonazione abbastanza vivace, la spuma rosa trabocca copiosa, densa, ma non così resistente. L’aroma mette subito in evidenza una ciliegia leggermente acida, seguita a ruota dai caratteristici sentori del lambic. Il corpo tende al sottile, in una consistenza tra grassa e oleosa. Il gusto, dopo l’imbocco dolciastro, diventa via via aspro, piccante, acido, con note di legno e di cuoio. Nel finale l’acidità s’intensifica, diventando quasi astringente in un amarore persistente. Il retrolfatto riesce a combinare un buon equilibrio tra dolce e acido; mentre permane qualche impressione secca e aspra. Da annotare che questo prodotto si conserva fino a 12 anni.
Timmermans Faro Lambic, faro di colore bronzo chiaro e dall’aspetto nebuloso (g.a. 4%); con aggiunta di zucchero candito. Ha una carbonazione moderatamente bassa ma pungente; schiuma giallastra fine, cremosa, piuttosto solida; aroma di intensità elevata e sufficiente persistenza, con sentori di agrumi, quercia, vinaccioli, gesso, mele, rabarbaro, zucchero di canna, aceto, e l’immancabile componente funky anche se alquanto contenuta; corpo da leggero a medio, e di trama sciropposa e appiccicosa; gusto molto fresco, con una certa dolcezza stemperata via via da note rustiche, vinose, aspre, acide; finitura secca, e un po’ astringente; retrolfatto abbastanza lungo, un miscuglio di impressioni fruttate, citriche, legnose, zuccherine, lattiche.
Timmermans Framboise Lambic, framboise di colore rosso ambrato e dall’aspetto intorbidito (g.a. 4%). Presenta una carbonazione da media a vivace; schiuma rosa fitta e duratura; aroma intensamente fruttato, con ben distinti profumi di lampone fresco e sentori di lievito, nonché qualche accenno lattico; corpo da leggero a medio, e di consistenza oleosa alquanto appiccicosa; gusto con il lampone circoscritto nel ruolo di fondo per le sottili note agrodolci; finitura asciutta con un tocco di amarezza acida; robusto, ma corto, retrolfatto dalle suggestioni asprigne di marmellata di lamponi.
Timmermans Pêche Lambic, lambic alla pesca di colore giallo dorato intenso e dall’aspetto piuttosto confuso (g.a. 4%). Si propone con un’effervescenza alquanto vivace; schiuma bianca sottile, cremosa, di sufficiente tenuta; aroma dolce di pesca con un solo accenno di lievito terroso; corpo sottile tendente al medio, e di trama alquanto grassa e appiccicosa; notevole equilibrio gustativo tra il fruttato e l’acido, con una punta di amaro derivante dal nocciolo e dalla buccia della pesca; lungo finale secco e aspro; dolce retrolfatto con persistenti impressioni di frutta gialla sciroppata.
Timmermans Tradition Blanche Lambicus, witbier di colore oro sfocato e dall’aspetto opalescente (g.a. 4,5%). Si tratta di un prodotto particolarissimo, senz’altro unico al mondo: un lambic assoggettato al brassaggio tipico della bière blanche. La carbonazione, da moderata ad alta, determina una spuma bianca, fine, vaporosa, di rapida dissoluzione, e con segni residuali di labile allacciatura. All’olfatto, la buccia di arancia amara e i semi di coriandolo si fanno ben valere, a scapito dei sentori floreali e stallatici, di mango e ananas, di grano ed erba appena tagliata. Il corpo, da leggero a medio, presenta una sottile consistenza oleosa. Il gusto fruttato scivola in bocca fresco, vivace, con singolari venature di agrumi e di zenzero. Il finale si rivela lungo e pulito, con qualche nota piccante e di mela acida. Da parte sua, il retrolfatto appare un po’ aspro, ma non dura molto. Questa birra va bevuta in un tradizionale boccale di gres.
Bourgogne des Flandres Brewery/Brugge
Già nel 1765 esisteva a Loppem (Fiandre Occidentali) una fattoria-birrificio di proprietà di Pierre-Jacques van Houtryve. Nel 1825 il figlio fondò, a Bruges, il birrificio Den Os.
Poco prima della grande guerra, dei 34 birrifici di Bruges, tre (Den Os, La Marine e Ten Ezele) erano gestiti da altrettanti membri della famiglia Van Houtryve.
Nel 1911 il birrificio Den Os lanciò la Bourgogne des Flandres, autentica birra rosso-bruna delle Fiandre Occidentali. Questa birra sopravvisse alla popolarità delle pilsner e ai disastri della seconda guerra mondiale; ma nel 1957 il birrificio Den Os chiuse definitivamente i battenti.
La ricetta della Bourgogne des Flandres, dagli altri birrifici della famiglia Van Houtryve, nel 1980 finì alla Timmermans, rilevata da John Marti nel 1993. Con Anthony Martin, la Bourgogne des Flandres entrò nella Finest Beer Selection e, in prossimità dell’ex Den Os, nel 2015 fu costruito un nuovo microbirrificio. Fu così che questa prestigiosa birra ritornò nel centro storico di Brugge con un proprio opificio.
Bourgogne des Flandres, sour red/brown di colore bruno con riflessi rossi e dall’aspetto quasi opaco (g.a. 5%); conosciuta anche come Bourgogne des Flandres Bière Brune. È la specialità di Brugge, la cui celebre torre è riportata in etichetta. Si ottiene a fermentazione mista, miscelando lambic e birra marrone di fermentazione alta, con imbottigliamento dopo oltre otto mesi d’invecchiamento in botti di rovere. Con una moderata effervescenza, la schiuma, da bianco sporco a beige, fuoriesce sottile, cremosa, ma non dura più di tanto. L’aroma, ricco e intenso, sprigiona una freschezza acidula, anche una lieve asprezza di frutti rossi. Il corpo, medio-pieno, ha una consistenza sciropposa. Il gusto è granuloso, agrodolce, con note di torrefazione e caramello; nella seconda parte del percoso però si percepisce nettamente il ritorno olfattivo dei frutti rossi con la loro acidità presto fagocitata da un amarore legnoso. Nel finale una secchezza semidolce prende il posto dell’acidità. Deliziose sensazioni di fragola, lampone e amarena segnano la lunga persistenza del retrolfatto che si rifugia infine in un evanescente suggerimento di quercia.