Heineken Group

Tratto da La birra nel mondo, Volume II, di Antonio Mennella-Meligrana Editore

Amsterdam/Paesi Bassi
Nel 1592 Weijintgen Elberts, vedova di un produttore di birra, fondò, nel centro di Amsterdam, una fabbrica di birra, De Hooiberg (“Il Pagliaio”). Benché la più grande della città, questa fabbrica, nel 1863, era in declino.
Nel 1863 appunto un giovane olandese di 22 anni, Gerard Adriaan Heineken, ereditata una fortuna, decise, come aveva confidato alla madre, di arginare il dilagante alcolismo proponendo, in alternativa ai superalcolici, una birra leggera e dal gusto piacevole. Comprò quindi la birreria De Hooiberg. L’anno dopo, nasceva la Heineken & Co.
Con l’acquisto della più importante azienda della città e un mercato non insensibile alla sua buona idea, Gerard Adriaan Heineken poté iniziare la propria attività a gonfie vele. E, crescendo a dismisura la richiesta di mercato, il giovane dovette pensare a un ampliamento. Nel 1869 inaugurò, appena fuori Amsterdam, un nuovo e più grande stabilimento, e non solo.
Fino ad allora la linea produttiva era rimasta ferma sulle solite birre, dalla ale alla porter, dalla oud bruin alla faro, e alla weizen. E lui decise di sviluppare una tecnica simile a quella bavarese per la fermentazione a basse temperature, per ottenere una birra più chiara e di più lunga conservazione.
Fece venire dalla Germania un esperto della bassa fermentazione, e dotò gli impianti di un laboratorio per il controllo della qualità.
Nel 1873 cambiò il nome Heineken & Co. in Heineken Bierbrouwerij Maatschappij NV (“Società Birreria Heineken”), con lui principale azionista. Mentre il marchio De Hooiberg diventava Heineken.
Nel 1874 aprì un’altra fabbrica a Rotterdam per far fronte all’aumento delle richieste e imboccò la strada dell’esportazione verso la Francia e gli altri paesi europei.
Intenzionato a lanciare una pilsner di qualità, l’ambizioso birraio di Amsterdam nel 1886 assunse addirittura un allievo di Pasteur. E il dottor H. Elion riuscì a isolare una coltura di lievito puro, noto come “lievito Heineken A”, che ancora oggi viene inviato dalla casa madre a tutte le sue fabbriche sparse nel mondo.
Alla morte di Gerard Heineken, avvenuta nel 1893, la proprietà della compagnia passò alla moglie, Marie Tindal, che la gestì fino al 1914, quando subentrò il figlio, Henry Pierre Heineken.
La forte concorrenza che si era creata nel piccolo Paese fra le tre maggiori fabbriche, Heineken, Amstel e Oranjeboom, portò, nel 1920, alla costituzione di una cooperativa, De Dreihoek (“Il Triangolo”): ciascun membro s’impegnava a non ampliare la propria clientela a danno degli altri due. Poi, durante la depressione economica mondiale degli anni Trenta, poiché la concorrenza era regolamentata da un accordo tra i produttori olandesi, Il Triangolo fu sciolto. Nel 1937 la Heineken e la Amstel, per salvaguardare la rispettiva clientela, strinsero un patto di collaborazione che porterà, prima, all’acquisto in comune della Van Vollenhoven e, infine, alla loro fusione.
Ma, già prima degli anni Venti, Henry Pierre si era reso conto che l’azienda, con lo svantaggio di avere alle spalle un modesto mercato nazionale, sarebbe potuta sopravvivere e crescere ulteriormente solo con l’espansione commerciale.
Alla fine del primo conflitto mondiale, le esportazioni presero a dirigersi in paesi sempre più lontani, come i possedimenti olandesi nelle Indie Occidentali, l’Africa, l’Estremo Oriente, i Caraibi; e, passato il periodo del proibizionismo, “approdarono” anche negli Stati Uniti. Era solo la fase iniziale di una decisa strategia di internazionalizzazione intrapresa per prima dalla Heineken. Negli anni Cinquanta Alfred Heineken consolidò le basi di questa ambiziosa struttura. A partire dagli anni Sessanta, alle esportazioni seguirono gli acquisti di birrerie anche fuori dell’Olanda e dell’Europa.
La vecchia fabbrica nel cuore di Amsterdam nel 1988 venne chiusa e dal 2001 diventò una delle maggiori attrazioni della città, un centro dedicato al marchio birrario, Museo Heineken Experience. Già nel 1968 era stata chiusa la fabbrica di Rotterdam. La sede centrale è sempre ad Amsterdam; la produzione però si svolge in due grossi complessi, a Zoeterwoude, nel sud del Paese (il più produttivo, aperto nel 1975), e a s’Hertogenbosch, capoluogo del Brabante Settentrionale. Una terza fabbrica invece è quella di Wijlre, della controllata Brand.
Un cenno particolare merita la Amstel Brouwerij. Fondata nel 1870 da C.A. de Pesters e J.H. van Warwijk Kooy, prese il nome dal fiume, come peraltro Amsterdam che è da esso attraversata. E sorgeva proprio lungo l’Amstel, a pochissima distanza dalla Heineken. Uno scomodo concorrente cittadino dunque che dal 1956 aveva addirittura conquistato un posto di riguardo sul mercato olandese, anche se la Heineken poteva vantare una quota assai più consistente di birra venduta alla spina, a parte la più solida posizione all’estero. Nel 1962 furono avviate le trattative e sei anni dopo avvenne la fusione. Con la chiusura della fabbrica, nel 1980, il marchio Amstel sopravvive in alcune birre prodotte dalla ex grande rivale; anzi costituisce il secondo, diffuso in 85 paesi, contro i 170 in cui è comune quello della Heineken.
Quanto alle altre fabbriche olandesi chiuse, c’è da ricordare l’acquisto, nel 1919, della Griffioen di Silvolde; nel 1920, della Schaepman di Zwolle e della Rutten di Ammsterdam; nel 1932, della Marres di Maastricht; nel 1934, della De Kroon di Arnhem e della Twentsche Stoom Beiersch di Almelo; nel 1941, della Van Vollenhoven di Amsterdam; nel 1952, della St Servatius di Maastricht e della Vullinghs di Sevenum; nel 1953, della De Sleutel di Dordrecht; nel 1959, della Henquet di Eysden.
Tra esse, va ricordata in particolare la Brouwerij De Ridder di Maastricht. La denominazione (“Il Cavaliere”) è una probabile allusione a san Martino, uno dei cavalieri templari. Il birrificio infatti si trovava nella parrocchia di San Martino, nel quartiere orientale di Wyck, risalente al 1857, quando in città esistevano altre quaranta fabbriche di birra. Fu costruito sulla riva sinistra della Mosa per sfruttare appunto la sua acqua. La sala di cottura invece, di cinque piani, fu costruita nel 1929-30 dai fratelli Van Aubel, all’epoca proprietari.
Nel 1982, con l’estinzione della famiglia Van Aubel, l’azienda fu acquistata dalla Heineken perdendo, quanto meno in parte, l’identità regionale. Col successo poi della birra di frumento, la Wieckse Witte, la produzione della De Ridder, nel 2002, fu trasferita presso lo stabilimento di Zoeterwoude. Sicché, di quella produzione che aveva invaso il mercato nazionale, e non solo, oggi è rimasto ben poco.
Sbalorditivo il patrimonio aziendale al di fuori dei patri confini. Si può cominciare dal controllo delle imprese nazionali: Heineken Ireland (Murphy), Heineken Switzerland (Calanda Haldengut), Heineken Slovensko (Zlatý Bažant); a parte Heineken España, Heineken France e Heineken Italia.
In Belgio, la Heineken controlla l’Affligem; in Croazia, la Karlovačka; in Macedonia, la Skopje; in Grecia, la Athenian Brewery. In Bulgaria, ha partecipazioni nella Ariana & Zagorca. In Polonia, detiene il 51% della Elbrewery e il 50% della Żywiec; mentre ha chiuso lo stabilimento di Varsavia della ex Brau Union Polska affidando la produzione alle proprie birrerie. Nella Repubblica Ceca, oltre alla Starobrno (acquisto della Brau Union) e alla Krušovice (ottenuta recentemente dal gruppo Radeberger), possiede l’importante Drinks Union, rilevata nel 2008. Altro acquisto del 2008 è la Rodic Brewery di Novi Sad, in Serbia, terzo produttore del Paese. Di recente anche la rumena Bere Mures è entrata a far parte della multinazionale olandese.
In Austria, la Brau Union AG, essendo diventata membro del gruppo Heineken, ha permesso a quest’ultimo di estendere la presenza in altri mercati dell’Est, con la Brau Union Hungary (Komáromi, della Heineken, e Soproni, di cui la Brau Union detiene tre quarti di capitale) e la Brau Union Romania.
In Germania, la joint venture col gruppo bavarese Schörghuber Corporate (Brau Holding International) comprende: Paulaner, Hacher-Pschorr, AuerBräu, Thurn und Taxis, Kulmbacher, Fürstenberg, Hoepfner, Würzburger, Schmucker, Karlsberg.
In Russia, la filiale Heineken di San Pietroburgo, oltre ai marchi internazionali del gruppo, produce e commercializza la Bud, su licenza della Anheuser-Busch. Ma la multinazionale olandese possiede anche le birrerie Shikhan, Volga, Stephan Razin, Patra, Baikal; nonché la siberiana Sobol Beer e il gruppo Ivan Taranov. L’accordo del 2008 con la Efes Breweries International infine prevedeva la costituzione di una joint venture (col 40% di quota propria) per l’acquisto di birrerie in Uzbekistan.
In Africa settentrionale, la Heineken ha concluso accordi di compartecipazione sotto forma di joint venture con società locali. In Egitto, possiede la fabbrica principale del Paese, El Ahram Beverages Company. Ha birrifici nel Congo, nel Burundi, nel Ruanda, dove produce direttamente la propria gamma. In Nigeria, controlla la Nigerian Breweries e la Wiecse; mentre è riuscita ad aumentare la partecipazione nel gruppo Consolidated Breweries dal 24 al 50%.
In Tunisia, rilevò nel 2007 metà delle quote della compagnia S.P.D.B. programmando la costruzione di un nuovo stabilimento presso Tunisi per la produzione dei marchi propri e tunisini. L’anno dopo comprò, in Algeria, dal Mehri Group la moderna birreria Tango di Rouiba, leader sul mercato nazionale e che, oltre a produrre su licenza alcune etichette primarie del gruppo InBev (Stella Artois, Beck’s), adesso fabbrica anche la Heineken prima importata. Sempre sul territorio africano, il gruppo di Amsterdam ha la maggioranza delle azioni nella fabbrica di birra della Sierra Leone, con soci di minoranza la Guinnes e alcuni investitori locali. Costituì una joint venture (Brandhouse) con la Guinness e la Namibia Breweries (della Namibia) allo scopo di commercializzare in comune i propri marchi nel Sudafrica dominato dalla SAB. Ancora con la Guinness ha raggiunto un accordo cooperativo per la distribuzione in Ghana del proprio marchio.
In Indonesia, controlla la BT Multi Bintang. A Singapore, possiede un terzo di capitale della Asia Pacific Breweries, contro la maggioranza della neozelandese Dominion Breweries; ma il servizio tecnico della Heineken svolge un ruolo determinante in tale azienda. In Cina, ha la proprietà della Shanghai Asia Pacific Brewery che produce la birra Heineken per il mercato nazionale. Opera inoltre attraverso la HAPBC: Heineken Asia Pacific Brewers China. Questa nuova società, in partecipazione paritetica con la finanziaria Fraser & Neave di Singapore, detiene il 40% del gruppo Jiangsu DaFuHao (con quattro birrerie nella provincia di Jiangsu) e partecipa anche al 21% la Kingway Brewery nella provincia di Guangdong. In Israele, già da 15 anni il brand Heineken veniva distribuito da Tempo Beer Industries. Adesso la stessa azienda lo produce su licenza, grazie a una joint venture partecipata per il 40% dal colosso olandese.
Nei Caraibi, la Heineken aprì la sua prima fabbrica, Windward & Leeward Brewery, nello stato di Saint Lucia. L’impianto partì con la produzione della Heineken per il mercato caraibico nel 1975; nel 1992 lanciò la locale Piton. Oggi fabbrica, su licenza, anche la Guinness Foreign Extra Stout. Sempre nei Caraibi, la casa di Amsterdam produce molti tipi di pilsner convenzionali; oltre a possedere, in Giamaica, una piccola quota azionaria nella Desnoes & Geddes. Altre partecipazioni riguardano la più grande birreria cilena, Compañía Cervecerías Unidas.
Con la nascita del gruppo InBev, la FEMSA interruppe i rapporti con la Interbrew e strinse una partnership con Heineken USA. Pertanto il gruppo olandese, ai tradizionali brand Heineken e Amstel Light, poté aggiungere quelli messicani Tecate, Dos Equis, Sol, Carta Blanca e Bohemia, potenziando notevolmente il portafoglio marche e arrivando a controllare il 26% dell’import complessivo negli Stati Uniti.
Nel 2004 la Heineken costituì una joint venture con Lion Australia per la distribuzione in Australia appunto del marchio olandese in vista di una futura licenza. Lo stesso modello cooperativo, lo aveva sperimentato con successo in Nuova Zelanda tramite la Dominion Breweries.
Infine, nel febbraio del 2008, il colpo grosso: unitamente alla Carlsberg, comprò la Scottish & Newcastle, addossandosi per il 45,5% il costo della transazione e ottenendo le attività, in Gran Bretagna, Irlanda, Portogallo, Finlandia, Belgio, India e negli Stati Uniti, del gruppo britannico. Sempre nel 2008 rilevò la svizzera Eichhof Brauerei di Lucerna.
Oggi l’articolata diffusione territoriale prevede, a seconda dei casi, il controllo di imprese nazionali, joint venture produttive con birrifici locali, l’esportazione diretta delle proprie marche, anche licenze di fabbricazione.
Il gruppo è organizzato in cinque territori che vengono poi suddivisi in operazioni regionali. Le regioni sono: Europa occidentale, Europa centrale e orientale, Americhe, Africa e Medio Oriente, e Asia Pacifico. Questi settori contengono 115 impianti di produzione di birra in più di 65 paesi.
Al di là di tutte le campagne pubblicitarie (iniziate dalla Heineken nel 1950) e promozionali in cui oggi si accaniscono specialmente i grandi produttori, è doveroso ricodare la serie di premi, peraltro piuttosto sostanziosi, istituiti da Alfred Heineken in linea col ruolo principale che animò la nascita dell’azienda. Il primo, a partire dal 1964, per la biochimica e la biofisica, divenuto poi il premio per la ricerca scientifica più rilevante nei Paesi Bassi. Quelli per le scienze ambientali e la medicina, nati nel 1989; e per la storia, del 1990. Successivamente venne aggiunto il premio per l’arte, riservato però agli olandesi. Non va comunque dimenticata, in ambito sportivo, l’importante sponsorizzazione della Champions League.
Quanto invece alla produzione, uno dei vanti dell’azienda è la Heineken Technical Services. Un consorzio di tecnici ha il compito di garantire che la Heineken rimanga sempre uguale a se stessa, indipendentemente dal luogo di produzione (eccetto una licenza per il Regno Unito). Tale consorzio sovrintende anche all’installazione di nuovi impianti e stabilimenti.
La Heineken infine, pur proseguendo nella politica di elaborare prodotti in grado di soddisfare i gusti del maggior numero possibile di consumatori, dall’inizio degli anni ’90 del secolo XX cominciò a elaborare birre di puro malto, bandendo le aggiunte meno costose (come il granturco) e ampliando notevolmente la gamma. Nel 2006 immise nel mercato un fustino da 5 litri con sistema di spillatura a pressione ad anidride carbonica. Nel 2015 lanciò il sistema Extra Cold, per ottenere, sia alla spina che in bottiglia, una birra alla temperatura di 0 °C, tramite, rispettivamente la colonna congelata o una bottiglia speciale per il congelatore. Una felice trovata che consente la sensazione di freschezza a lunga durata.
In seguito all’acquisizione della SABMiller da parte della AB InBev, nell’ottobre del 2016, la Heineken, primo produttore europeo, è diventata il secondo più grande produttore di birra al mondo, con una quota di mercato del 10,2%. Mentre, all’inizio del 2017, ha rafforzato ulteriormente la sua posizione nel continente americano con la Kirin Brasil, il secondo produttore del Paese.
La produzione complessiva supera i 191 milioni di ettolitri annui. Metà della produzione in patria va oltremare, in gran parte negli Stati Uniti; e quella che avviene fuori dell’Olanda interessa 70 paesi, con 165 stabilimenti. Praticamente la Heineken è reperibile quasi ovunque, venduta in 170 paesi. A parte un portafoglio di 250 marchi, tra birre internazionali, regionali, locali e speciali.
Per quanto riguarda la Amstel, la Heineken ne sfrutta il marchio ai fini commerciali, come arma anticoncorrenziale. Superfluo sottolineare che la qualità non viene minimamente scalfita: è solo una questione di immagine, e la Heineken ci tiene, a non coinvolgere la sua in un mercato, come quello birrario, senza esclusione di colpi.
Heineken, premium lager di colore giallo oro (g.a. 5%). È comunemente così conosciuta la Heineken Lager Beer, nota nel mondo per la sua tradizionale bottiglia di vetro verde e per il logo rappresentato da una stella rossa. In Olanda, in Italia e in qualche altro paese viene commercializzata come pilsner; ma in genere reca, più correttamente, la dicitura “lager”. È un prodotto dal carattere non troppo marcato, internazionale insomma, in pratica presente dappertutto nel mondo. Fu la prima a mettere piede negli Stati Uniti dopo il proibizionismo. Più leggera rispetto alla maggior parte delle lager tedesche, è senz’altro più piena di tante altre marche internazionali. Una versione meno alcolica viene prodotta nelle isole britanniche e in alcuni paesi nordici. La confezione magnum, in bottiglia con tappo a fungo e gabbietta, contiene 1,5 litri; la jeroboam, 3 litri. La media effervescenza sviluppa una schiuma fine, compatta, resistente. La finezza olfattiva risulta gradevole e lievemente fresca, con profumi vegetali in cui eccelle il luppolo. Il corpo leggero, fluido, di trama un po’ grassa, si accosta al palato con garbata vivacità. Il gusto di luppolo, molto equilibrato, defluisce secco e pulito. Il finale sopraggiunge amaro, ma dura poco. Corta è anche la persistenza retrolfattiva: il tempo di espandere le suggestioni floreali, di lievito e di luppolo.
Heineken Oud Bruin, oud bruin di colore marrone profondo (g.a. 2,5%); a fermentazione bassa, secondo la tradizione olandese. La sua realizzazione risale a più di 50 anni fa. Viene elaborata con aggiunta di caramello e zucchero. Per il mercato interno tende decisamente al dolce; mentre la versione destinata all’esportazione, specie negli Stati Uniti, è abbastanza secca. Con una media effervescenza, la schiuma beige emerge bassa, sottile e di rapida scomparsa. La scarsa luppolizzazione, si nota già dalle note dolci dell’aroma, conferite da caramello, uva passa, toffee, noci, malto, zucchero. Il corpo, medio-sottile, presenta una consistenza leggermente cremosa, nonché appiccicosa. Il gusto, amabile e delicato, si dipana tra note di cioccolato al latte, caramello, pane, arancia, prugne. Nel finale compare qualche impressione di terra. Il retrolfatto è lungo, sciropposo: in bocca rimane una netta impressione di dolcezza, per nulla stucchevole, anzi. Si tratta di una bevanda leggera da tavola, adatta a un consumo non impegnativo.
Heineken Buckler, lager analcolica di colore giallo paglierino chiaro e dall’aspetto scintillante (g.a. 0,5%). Benché moderata, la carbonazione sviluppa una spuma di notevole durata e aderenza. L’olfatto accusa una leggera luppolizzazione, supportata da richiami di fieno, pesche, miele. Il corpo è scarno, ma defluisce abbastanza morbido nella sua tessitura acquosa. Il gusto, dopo l’imbocco amabile, si rivela lievemente amaro, con un certo orientamento all’acido. Il finale, corto, secco, alquanto astringente, si perde presto in un retrolfatto altrettanto breve e quasi neutro, ma perfettamente pulito.
Heineken Premier Light, light lager di colore oro chiaro (g.a. 3,3%); con aggiunta di riso e mais. Fu lanciata, a partire da giugno 2005, negli Stati Uniti, dove le lager a ridotta gradazione alcolica coprono ormai circa metà delle vendite. L’effervescenza è quasi tagliente, ma piacevole; e gestisce una spuma minuta e di buona stabilità. L’aroma di malto reca una punta di lievito e di luppolo floreale. Il corpo appare sottile, e di trama acquosa. Anche il gusto è segnato dal malto, mentre il rampicante sembra del tutto assente. Il finale arriva secco, pulito, e non senza un tocco di acidità. Un certo amarore da luppolo, non poi sgradevole, anima il corto retrolfatto.
Lingens Blond, light lager di colore paglierino pallido (g.a. 2%). Elaborata con aggiunta di cereali crudi, si pone a metà strada fra le analcoliche e le comuni lager. L’effervescenza è moderata; la spuma bianca, scarsa ed evanescente. L’aroma ricorda vagamente il mosto di malto. Il corpo, non proprio scarno, presenta una trama fra sciropposa e acquosa. Il gusto appare quasi neutro, con appena qualche accenno di cereali, luppolo, erbe. Il finale, delicato e fruttato, prelude a un corto retrolfatto a malapena luppolizzato. Questo prodotto si è rivelato un’interessante bevanda da tavola, leggera e rinfrescante.
Heineken Tarwebok, bok di frumento di colore marrone scuro (g.a. 6,5%); a fermentazione bassa. Da tarve, in olandese “frumento”. Per gli Stati Uniti prende il nome di Special. In bottiglia è pastorizzata; in keg, filtrata. Creata nel 1992, si è rivelata uno dei prodotti più interessanti. Si avvicina alla weizenbock tedesca, senza però recarne le note caratteristiche, come quelle affumicate. È una birra autunnale, complessa e dal carattere deciso; lavorata con almeno quattro tipi di malto e un 17% di frumento sottoposto a maltaggio. Con una media effervescenza, la spuma, dal tipico colore della mandorla, non abbonda tanto meno mostra lunga durata. L’aroma si libera gradevolmente fruttato, con sentori, in secondo piano, di cioccolato, malto tostato, caramello, zucchero di canna, segale. Il corpo medio ha una consistenza un po’ appiccicosa. Il gusto ha una singolare dolcezza di malto, con qualche accenno di frutti rossi maturi, melassa, e un tocco di chiodi di garofano. Il finale arriva sotto l’egida di erbe aromatiche. Nel retrolfatto rimangono lunghe impressioni secche di legno bruciato.
Wieckse Witte, witbier di colore oro e dal tipico aspetto leggermente velato (g.a. 5%). Era la specialità della Brouwerij De Ridder, che impegnava in gran parte il potenziale produttivo. Il nome è quello dialettale di Wyck, il quartiere di Maastricht dove aveva sede il birrificio. Con una carbonazione abbastanza spinta, la schiuma prorompe copiosa e durevole. L’aroma fruttato porta i segni di un raffinato speziato. Il corpo, quantunque poco morbido, si dimostra leggero, in una tessitura piuttosto acquosa, supportata dall’effervescenza decisa quanto gradevole. Nel gusto fruttato la nota acida conferisce bevibilità e freschezza. Il finale asciutto, e piuttosto aspro, anticipa la discreta persistenza retrolfattiva dalle suggestioni fruttate e di lieviti un po’ piccanti.
Amstel Lager, lager di colore giallo dorato (g.a. 5%). Rispetto alla Heineken, ha una tonalità più intensa, olfatto più fine, corpo più solido, sapore di luppolo più marcato. Parecchie versioni prodotte oltremare si rivelano più leggere e con una certa tendenza all’asprezza. Con una carbonazione medioalta, la schiuma si presenta omogenea e compatta. L’aroma, pulito ed elegante, regala la freschezza del lievito e i sentori fruttati del luppolo. Il corpo è piuttosto leggero, in una trama fra grassa e acquosa. Il gusto appare neutro, ma possiede una sufficiente dose di malto, insufflata di un delicato amarore erbaceo. Alla discreta persistenza del finale secco e ruvido, non fa riscontro il retrolfatto, amarognolo, ma di brevissima durata.
Amstel Gold, strong lager di colore biondo dorato (g.a. 7%). Con una morbida carbonazione, la schiuma bianca si leva di medie dimensioni e di sufficiente tenuta. L’aroma granuloso, di malto, paglia, cereali, lievito, non soffoca i tenui sentori di luppolo fruttato. Il corpo, da leggero a medio, presenta una trama fra grassa e oleosa che lascia libere le asciutte note alcoliche. Il gusto, inizialmente dolciastro, viene poi segnato nella propria pienezza dall’amarore del luppolo che si trasferisce nel retrolfatto, dopo un corto finale timidamente speziato dal pepe di Caienna.
Amstel Light, light lager di colore biondo chiaro (g.a. 3,5%). Contiene circa il 35% di calorie in meno rispetto alle comuni lager. Dagli anni ’80 del secolo XX viene esportata negli USA con una gradazione alcolica diversa a seconda dello stato di destinazione. La carbonazione appare un po’ aggressiva; la spuma bianca si alza vaporosa ma si dilegua in fretta. Anche l’aroma è evanescente, con sentori di cereali, agrumi, pane, a malapena percettibili. Il corpo, molto leggero, ha una consistenza acquosa. Il gusto si dipana all’insegna di un tenue malto dolce, con il luppolo praticamente nascosto. Il finale reca un secco amarore floreale. Nel corto retrolfatto compare finalmente il rampicante, ma si tratta di qualche labile suggestione.
Amstel Herfstbock, bock autunnale di un bel rosso rubino (g.a. 7%); conosciuta anche come Amstel Bock. In neerlandese, herfst significa “autunno”. Con un’effervescenza piuttosto bassa, la schiuma, di colore crema chiaro, si alza minuta, ruvida e si dilegua lentamente. L’aroma, leggermente dolce, sa tanto di caramella morbida, magari di liquirizia. Il corpo è strutturato, più che rotondo, con una trama acquosa ma non densa. Nel gusto, le note di malto tostato risentono del sottofondo ben luppolizzato. Il finale aromatico si smorza nell’amarore di zucchero bruciato di un piacevole retrolfatto.
Amstel 1870, pilsner di colore dorato più scuro rispetto alla media (g.a. 5%). Il 1870 è l’anno di fondazione della Amstel Brouwerij. E la birra, che intende commemorare l’evento, rappresenta la versione più robusta e luppolizzata dell’ex azienda. Con una media effervescenza, la spuma prorompe sottile e tenace. L’aroma esala un malto deciso, contornato da richiami di luppolo, lievito, cereali, paglia, mela. Il corpo medio tende al sottile, in una tessitura acquosa. Il gusto, amarognolo di luppolo, si snoda diffuso e consistente; mentre il malto si limita a restare in sottofondo. Il finale, secco e relativamente amaro, introduce un discreto retrolfatto di luppolo agrumato.