Brouwerij Rodenbach

Tratto da La birra nel mondo, Volume IV, di Antonio Mennella-Meligrana Editore

Roeselare/ Belgio
Fabbrica di birra al centro di una zona agricola nelle Fiandre Occidentali. Il nome è palesemente tedesco. Infatti, sotto la dominazione austriaca, nel 1753 arrivò a Roeselare, da Andernach am Rhein (cittadina della Renania, vicino a Coblenza), il medico Pierre Ferdinand Rodenbach, che sposò una fiamminga e continuò la professione in Belgio.
Nel 1821, discendenti di tal Rodenbach, i quattro fratelli Pedro, Alexander, Ferdinand e Constantijn, acquistarono la Brasserie et Malterie Saint-Georges di Roeselare col patto di amministrare congiuntamente l’azienda per 15 anni.
Durante gli impedimenti bellici e politici dei fratelli, fu Alexander a guidare il birrificio.
Nato nel 1786 a Roeselare, Alexander fu colpito a 11 anni da una malattia rara che lo portò alla cecità permanente. Lo chiamavano infatti “il cieco Rodenbach”. Ciononostante, durante la conduzione del birrificio, si dedicò anche lui alla politica. Grande oppositore del Regno Unito, fu membro attivo della rivoluzione che nel 1830 portò all’indipendenza del Belgio dal Regno Unito dei Paesi Bassi.
Divenne membro del Congresso nazionale e fu eletto in parlamento nel 1831 rimanendovi per 36 anni. Nel 1844 fu eletto sindaco nella vicina municipalità di Rumbeke, dove ancora oggi c’è una statua a lui dedicata, in onore delle grandi opere realizzate durante il suo mandato.
Alla scadenza del vincolo, Pedro e sua moglie (Regina Wauters, la cui famiglia era titolare di una distilleria) rilevarono l’intera proprietà del birrificio, per cui la vera e propria fondazione della Brouwerij Rodenbach può essere fissata nel 1836. L’azienda passò poi, nel 1864, al figlio di Pedro e Regina, Edward, il quale, attraverso un imponente programma di rinnovamento ed espansione, diede grande lustro al birrificio.
La svolta decisiva alla Brouwerij Rodenbach, la diede però Eugene, succeduto al padre (Edward) nel 1878. Questi infatti aveva studiato la “vinificazione della birra” e si era formato in Inghilterra come birraio, apprendendo l’arte della maturazione in botte di legno e il blend tra una birra giovane e una più vecchia. Sicché, utilizzando questi criteri conferì alle birre Rodenbach il loro speciale carattere che le renderà famose. E a lui si deve la costruzione della grande sala di maturazione, la foeders room.
Eugene, morto nel 1889, non aveva figli maschi, pertanto la famiglia decise di costituire, tra figlie e nipoti, una società a responsabilità limitata cui affidare il controllo del birrificio. Purtroppo, col trascorrere degli anni, le quote dei Rodenbach andarono sempre più assottigliandosi, fin ad arrivare alla cessione alla Brasserie Palm nel 1998.
E la Brasserie Palm, diventata poi Palm Breweries, e infine Palm Belgian Craft Brewers, investì molto in questa struttura mantenendone caratteristiche, originalità, fascino e tradizioni brassicole, attraverso un complesso piano di ristrutturazione e riammodernamenti destinati a ottimizzare il processo produttivo.
Non per nulla la sala di maturazione, composta di 11 locali, è stata dichiarata “monumento d’archeologia industriale” dalla Comunità fiamminga di Roeselare. Ben 294 tini verticali alti fino al soffitto, con una capacità che oscilla tra i 100 e i 650 ettolitri. Alcuni, hanno anche 150 anni di età. Costruiti, senza usare nemmeno un chiodo, con legno di quercia proveniente dalla Slavonia e dai Vosgi. L’interno, per consentire il contatto diretto con il legno, non è ovviamente ricoperto. La manutenzione è affidata a tre bottai dipendenti.
Nel 2000 fu anche inaugurato il nuovo centro visitatori; due anni dopo, costruita una nuova sala di cottura e, nel 2006, aperto, nella vecchia malteria, un piccolo museo che racconta tutta la storia del birrificio.
Infine, nel 2016, la Palm Belgian Craft Brewers passò sotto il controllo dell’olandese Bavaria Brouwerij N.V. E, superfluo annotarlo, la necessità di ridurre i costi di produzione, porta inevitabilmente una multinazionale a un certo cambiamento dei prodotti. E, già col passaggio alla Palm, avevano avuto inizio pastorizzazioni, colorazioni, addolcimenti con caramello. In ogni modo, il salvabile è stato salvato.
L’azienda è specializzata nella produzione delle “vivaci birre della Rodenbach”, come vengono chiamate in fabbrica. Sono birre che rispecchiano fedelmente gli stili oud bruin e flanders (o flemish) red ale, più comunemente chiamate sour red/brown. Birre rosse dal caratteristico sapore agrodolce, prodotte anche da altri birrai delle Fiandre Occidentali; ma solo quelle della Rodenbach riescono a esprime tutta la peculiarità del loro carattere. Del resto la tipologia è stata inventata dalla birreria di Roeselare.
Utilizza varietà di luppolo, da aroma e amaro, dell’area di Poperinge; diversi tipi di malto, da orzo estivo, essiccati al forno, che influiscono sia sul colore che sul gusto della birra; il processo di fermentazione mista, ossia alta e spontanea.
Dunque la birra subisce la fermentazione alta in tank d’acciaio con il lievito della casa, comprendente Brettanomyces (principalmente lambicus e bruxellensis) e altri microrganismi (lattobacilli). A fine fermentazione, si ha la birra “giovane”.
Trasferita poi, in parte, all’interno degli enormi foeders, la birra giovane viene a contatto con la microbiologia e la flora batterica presente nel legno, restandoci per due anni e prendendone, oltre alle caratteristiche acide, anche le sfumature rosso borgogna del colore. Ogni tino ha ovviamente una propria microbiologia, per cui impartisce caratteristiche leggermente diverse alla birra che ospita. E siamo alla birra “invecchiata”.
Dal blend della birra invecchiata con la birra giovane, per ridurre l’acidità, si ottengono le prestigiose specialità Rodenbach. Chiaramente, l’amaro del luppolo è appena percettibile.
Questo sistema può essere fatto risalire al Medioevo, allorché il luppolo (ovvero il moderno ingrediente conservante della birra) era ancora sconosciuto in Belgio. Mentre i birrai avevano scoperto che la flora batterica naturale presente nel legno prolungava la conservabilità della birra.
Lo stile, molto apprezzato localmente, stenta a imporsi altrove per via del carattere aspro. Da considerare però che, una volta superato il primo impatto, magari sgradevole per i non avvezzi, la birra si rivela piena di fascino.
Come è da ricordare che la Rodenbach fornì il lievito e i batteri con il loro caratteristico profilo di gusto e asprezza a De Dolle Browers, dal 1980 al 2000 e saltuariamente, alla Brouwerij Westvleteren.
Rodenbach, sour red/brown di colore rosso rubino intenso quasi violaceo e dall’aspetto a malapena velato (g.a. 5,2%); conosciuta anche come Rodenbach Classic. È infatti la versione classica della belgian red ale, composta dal 75% di birra fresca e da un blend del 25% di birra invecchiata nei diversi tini di legno. Porta l’orgoglioso titolo di “La birra più rinfrescante del mondo”, come ebbe ad affermare nel 1984 Michael Jackson. Con una carbonazione media, la schiuma cachi, a grana molto minuta, risulta abbastanza aderene ma di scarsa resistenza. L’aroma è intenso, pungente, acetico e vinoso, con sentori oleosi di ciliegia e uva nera, anche lievi richiami di legno, malto biscotto, pasta, caramello, lievito, zucchero bruciato. Il corpo, da leggero a medio, presenta una trama alquanto acquosa. Nel gusto, l’attacco risulta acetico e di una certa astringenza; a seguire, piacevoli note legnose, fruttate, floreali, caramellate, che si mescolano armonicamente, mentre s’intromette di tanto in tanto una croccante sensazione di crosta di pane. Nel finale l’acidità si fa quasi aspra, con frutta matura, crostata, quercia, ciliegia e grano che rimangono per un po’ sulla lingua. Malto e lievito fruttato lasciano impressioni dolciastre nel discreto retrolfatto.
Rodenbach Alexander, sour red/brown di un profondo colore rosso bordeaux e dall’aspetto lievemente torbido (g.a. 6%). È una miscela composta da 2/3 di birra invecchiata in botti di rovere e da 1/3 di birra giovane, il tutto fatto macerare con amarene prima del confezionamento in bottiglie da 750 cl recanti il ritratto di Alexander Rodenbach. Fu infatti creata nel 1986 per il suo 200° genetliaco, e rimase in produzione fino al 2000. Venne poi riproposta, a grande richiesta, proveniente soprattutto dagli Stati Uniti, nel 2016, brassata dal mastro birraio Rudi Ghequire con la gradazione alcolica ridotta al 5,6%. Con una media effervescenza, la schiuma, di un beige tendente al nocciola, si riversa fine, cremosa, ma non dura più di tanto. Il bouquet olfattivo, fresco e pungente, si articola ampiamente in sentori di caramello, vaniglia e melassa, vino rosso, aceto di mele e uva fragola, cuoio, quercia e terra; non senza qualche richiamo balsamico e di pepe nero. Il corpo pieno ha una consistenza più cremosa che acquosa. In assoluta assenza di amarore, il gusto si barcamena, in cerca di equilibrio, tra dolcezza e acidità, snodandosi in una piacevole pastosità agrodolce, leggermente piccante. Il finale si dilunga abbastanza nelle sue note fruttate e legnose dall’accento acetico. Le suggestioni del retrolfatto richiamano il retrogusto di un vino borgognone.
Rodenbach Grand Cru, sour red/brown di colore rosso borgogna scuro e dall’aspetto velato (g.a. 6%). È formato dal 34% di birra giovane e dal 66% di blend di birra invecchiata proveniente da diversi tini. Il blend è ovviamente svolto al fine di ottenere una birra il più possibile costante e “uguale” nel corso degli anni. Per la preponderanza della birra invecchiata su quella giovane, risulta una versione più pronunciata della flemish sour red ale. Una birra fin troppo complessa, con una grande quantità di legno ed esteri, vinosa e con un retrolfatto molto lungo, proprio come un grand cru. E, giustamente, Michael Jackson l’ha definì un “Classico del mondo” e “Il Borgogna del Belgio”. Fu brassata per la prima volta alla fine del 1800, sotto la direzione di Eugene Rodenbach. Dunque una birra storica di uno storico birrificio belga. La carbonazione è molto bassa; la schiuma ocra, sottile, cremosa, di buona aderenza ma di scarsa durata. L’impatto olfattivo è davvero suadente: ricco, complesso, elegante. Subito entrano in scena odori di porto e cherry, non così intensi, ma di facile percezione e distinguibilità; proseguono sentori di legno e affumicatura, in un’atmosfera fresca e acidula, quasi pungente. E, man mano che la birra si riscalda, si leva una dolce ventata di ciliegia matura e prugna secca. Il corpo medio presenta una consistenza con lieve tendenza all’oleosa. Il gusto appare come pannoso, nella sua morbidezza. Sotto l’egida di un vino dolce e, insieme, acido, emerge di tanto in tanto qualche nota di burro, per scomparire definitivamente con lo sviluppo di una connotazione pepata a bilanciare peraltro l’agrodolce iniziale. Il finale, pulito, secco e tannico, apporta un certo amarognolo legnoso. Nella lunga persistenza retrolfattiva, un discreto calore liquoroso reca impressioni di lievito fruttato, anche speziato abbastanza piccante. L’usanza, da parte di alcuni nel Belgio, di aggiungere alla Grand Cru un tocco di granatina per mitigare la tipica asprezza finì per mettere in allarme la Rodenbach che, per non far snaturare il suo fiore all’occhiello, in occasione del 150° anniversario creò una versione kriek, addolcita con essenza di ciliegia senza però che il tono secco di fondo venisse del tutto coperto. Il prodotto infine migliora con l’invecchiamento, praticamente come un vino. Lasciando quindi le bottiglie in posizione verticale, in un ambiente buio, fresco e asciutto, è assicurata la conservabilità per 24 mesi.
Rodenbach Vintage, sour red/brown di un intenso colore ambrato con riflessi oscillanti tra il rossastro e il ramato e dall’aspetto velato (g.a. 7%); introdotta a partire dal 2009. Non si tratta, in questo caso, di blend, bensì della sola birra proveniente dal “miglior barile dell’anno”, cioè dal foeder che, dopo due anni di stagionatura, ha prodotto la birra migliore. L’etichetta riporta il numero del tino e l’anno in cui ha avuto inizio la maturazione. La carbonazione è abbastanza contenuta; la schiuma, tra il beige e l’ocra, fine, cremosa, sufficientemente stabile. All’olfatto, si mette subito in evidenza l’asprezza della mela verde, delle visciole, dell’aceto di meta; in allegra compagnia di un bouquet dolce, costituito da caramello, miele, ciliege, vaniglia, fragolina di bosco; a seguire, sentori di quercia, aceto balsamico, vino di uva fragola. Il corpo medio ha una consistenza oleosa di buona scorrevolezza. Il gusto ostenta tutta la sua complessità rinfrescante, in un intenso sviluppo acido, fruttato di mela verde, vinoso, acetico, con ben distinguibili note di legno, in combinazione con caramello e miele selvatico supportati da un fondo di vaniglia e liquirizia. Un equilibrio sorprendente, per una birra così acida. Il finale, alquanto tannico, molto asciutto e compiutamente pulito, reca tutti gli effetti della lunga permanenza in botte. A sua volta, il retrolfatto si rivela quello di una grand cru: lungo, fruttato, morbido, perfettamente bilanciato.
Collaborazione
Rodenbach Caractère Rouge, sour red/brown di colore rosso ciliegia intenso con riflessi rosati e dall’aspetto intorbidato dai sedimenti di lievito (g.a. 7%). Si tratta di una collaborazione con lo chef Viki Geunes (2 stelle Michelin) del ristorante ‘t Zilte, al nono piano del museo MAS di Anversa. In questo caso, la birra, dopo la maturazione di due anni nei foeders, viene sottoposta a un’ulteriore fermentazione e maturazione di sei mesi insieme a ciliege, lamponi e mirtilli rossi e, infine, rifermentata in bottiglia. Ne risulta una birra unica ed esclusiva, connubio di forza e delicatezza, che ricorda un vino borgognone. Le prime 900 bottiglie da 750 cl, prodotte nel 2011, furono destinate al ristorante di Viki appunto. Per i grandi apprezzamenti ottenuti, l’anno successivo ne furono “sfornate” ben 10 mila bottiglie, di cui la metà esportata, in particolare nei soliti Stati Uniti. Legato con lo spago al collo delle bottiglie, il foglietto pieghevole dall’effetto “vintage” reca un adesivo in rilievo con il logo Rodenbach a simulazione di un sigillo di ceralacca. Con una carbonazione moderata, la schiuma, vagamente tendente al rosa, risulta piuttosto scarsa, grossolana ed evanescente. Al naso, intensi profumi fruttati, in particolare di ciliegia e lampone, spirano in armonia con quelli, più in sottotono ma per nulla remissivi, di legno e caramello; intanto che dal sottofondo rammentano la loro esistenza sentori di violetta, pelle, tabacco, aceto di mela, “conditi” da una punta di acido lattico. Il corpo medio tende al pieno, in una tessitura più grassa che oleosa. L’acidità, con la sua presenza costante durante tutto il percoso gustativo, conferisce gradevolezza ai sapori dei frutti rossi che si snodano relativamente secchi e sottilmente legnosi. Nel finale, si armonizzano magnificamente note lattiche, vinose e acetiche. Dal retrolfatto agrodolce si levano lunghe, rinfrescanti, suggestioni di frutta acerba e aceto balsamico.