Tratto da La birra nel mondo, Volume III, di Antonio Mennella-Meligrana Editore
Buggenhout/Belgio
Birrificio delle Fiandre Orientali, in precedenza denominato Brouwerij De Landtsheer.
Emmanuel de Landtsheer era nipote di quel Balthazar de Landtsheer che nel 1773 aveva fondato a Baasrode il birrificio De Halve Maan, rilevato poi dal figlio Edward.
Nel 1839 Emmanuel si trasferì a Buggenhout per sposare la figlia del birraio Marie-Anne Sarens e, trasformando lo stabile adibito a Taverna (attiva già nel secolo XVI), creò la Brouwerij De Zon, che ebbe un grande successo. Alla sua morte, nel 1879, subentrò il figlio Charles che, a sua volta, passò il testimone al figlio Emmanuel.
Dopo la seconda guerra mondiale, Emmanuel cessò la produzione di birra e prese a commercializzarla, importatore della Pilsner Urquell, nonché fiduciario dei trappisti di Westmalle e dell’ex birrificio Lamot di Mechelen. Gli succedette il figlio Adolf, peraltro sindaco di Bugghenout per 33 anni.
Scomparso nel 1991 Adolf de Landtsheer, il figlio Emmanuel “Manu” volle riprendere, in suo onore, la produzione di birra. Mise completamente a nuovo la fabbrica, chiamando a consulente colui che negli Stati Uniti aveva sostenuto Pierre Celis nella costituzione della nuova impresa, ovvero Jan van Gijsegem. E, nel 1997, aprì la Brouwerij Malheur. Malheur, in fiammingo, significa “malefico”, e la leggenda racconta che un vecchio abitante di Buggenhout, assaggiando la birra dei De Landtsheer, dicesse che era “malefica per quanto buona”. Mentre la direzione tecnica veniva affidata a Luc Vehaegen, della fallita Van Roy di Wieze.
Comunque la svolta decisiva avvenne a partire dal 2002, con la tormentata applicazione alla birra della méthode champenoise.
Benché il birrificio non avesse mai usato il termine “champagne” né in etichetta né in comunicazioni pubblicitarie, la lobby dei produttori francesi, per impedire alla stampa di contunuare a parlare di “birra champagne”, intimò a De Landtsheer di evitare l’utilizzo di qualsiasi termine che potesse in qualche modo ricondurre allo champagne. La discussione per vie legali si protrasse per cinque anni, finché alla Brouwerij Malheur fu accordato il permesso di utilizzare solo l’aggettivo “Brut”. A quel punto, il birrificio introdusse la dizione “méthode originale” per le Bières Brut, come le classificò Michael Jackson.
Anche se ne ha la capacità di 10 mila, lo stabilimento produce ancora sui 5 mila ettolitri l’anno. Mentre il marchio principale è Malheur, con rifermentazione in bottiglia e in botte.
Malheur 6, belgian ale di colore biondo oro e dall’aspetto leggermente velato (g.a. 6%); aromatizzata con luppolo Saaz. È una piacevole birra d’occasione, e da esportazione, destinata al grande pubblico quale raffinata alternativa alla pilsner. Fu elaborata dopo lunghe e accurate ricerche di mercato condotte dal solito Jan van Gijsegem. Con un’effervescenza abbastanza spinta, la spuma bianca sbocca sottile, cremosa e di lenta dissoluzione. L’intensità olfattiva appare normale, nella sua gradevole finezza: dopo una ventata di malto, alcuni esteri di frutta mista si mescolano con lieviti e spezie. Il corpo, alquanto sottile, presenta una consistenza untuosa. Supportato da un fondo ben luppolizzato, il gusto si snoda fresco e con lieve tendenza alla dolcezza. Nella seconda parte del percorso, note floreali, di coriandolo e arancia amara preludono a un delicato tocco di acidità. Il finale, molto lungo, apporta una secchezza diffusa, introducendo l’evanescente retrolfatto agrumato.
Tra le birre “à la méthode originale”:
Malheur Dark Brut, bière brut di un attraente colore mogano rossastro (g.a. 12%). Per gli Stati Uniti prende il nome di Black Chocolate. Nella prima maturazione, le bottiglie vengono tenute inclinate con la testa verso il basso; i lieviti confluiti nel loro collo vengono fatti uscire con il metodo del dégorgement (“sboccatura”). L’invecchiamento avviene invece in botti di rovere affumicate fatte costruire appositamente negli Stati Uniti. Con una carbonazione piuttosto sostenuta, la spuma beige erompe ricca e cremosa, ma alquanto grossolana e di scarsa persistenza. L’aroma, pulitissimo, si esprime con un’attraente finezza nella sua elevata intensità: caffè e cioccolato, prugna e uva passa, caramello e tostature, frutta secca e frutti di bosco scuri, legno e vaniglia, sherry e madera. Il corpo, medio-pieno, presenta una trama liquorosa pressoché appiccicosa. Il gusto, croccante e asciutto, propone malto biscotto, cioccolato amaro, liquirizia, rovere, vino liquoroso, zucchero candito, bacche scure: una miscela organica equilibrata dal tannino del legno, da una parte e dall’altra, dalla dolcezza dell’alcol. Il finale è caldo, ricco di frutta sotto spirito. Il retrolfatto si dissolve lentamente tra suggestioni delicate di cioccolato al latte, vaniglia, caramello.