Brouwerij Huyghe

Tratto da La birra nel mondo, Volume II, di Antonio Mennella-Meligrana Editore

Melle/Belgio
La più antica fabbrica di birra ancora in attività nella regione delle Fiandre Orientali, e tuttora nelle mani della famiglia Huyghe.
Le prime tracce di un’attività brassicola a Melle risalgono al 1654, con la fabbrica Appelhoek. Nel 1902 Léon Huyghe, originario di Poperinge, cominciò a lavorare in quella brasserie appunto. Nel 1906 ne divenne proprietario e, insieme alla moglie, Delphina van Doorselaer (figlia di un birraio di Wolvertem), fondò la Brouweij-Mouterij Den Appel (Brasserie-Malterie La Pomme).
Nel 1913 fu eliminato il reparto malteria per fare spazio all’impianto d’imbottigliamento.
Durante la grande guerra, anche gli Huyghe andarono incontro a enormi difficoltà; ma, dopo, fecero presto a riprendersi. E, per prima cosa, sostituirono le vecchie caldaie di rame che erano state peraltro requisite.
Intorno al 1925, cominciarono a lavorare in azienda i due figli di Léon e Delphina: Albert e Marie-Louise.
Nel 1936, per mancanza di spazio, ebbe inizio la costruzione di una nuova fabbrica, inaugurata tre anni dopo.
Nel 1938 la denominazione Den Appel venne sostituita definitivamente con PVBA Brouwerij Léon Huyghe.
Nel 1945, dopo diverse ricerche, iniziò la produzione di un’ottima pilsner, chiamata Golden Kenia, dal nome di una varietà di orzo francese.
Nel 1948 l’attività si estese anche nel campo di acque e bibite, con il marchio Mell’s Drinks.
Finalmente arrivarono i primi riconoscimenti: nel 1951, diploma di eccellenza a Gand e, nel 1953, medaglia d’onore a Dortmund.
Gli anni Sessanta, col successo delle birre tedesche di tipo dort, anche la Brouwerij Huyghe elaborò una propria dort, di nome Eigerbrau.
Dal 1970 il giro d’affari cominciò a zoppicare. Ma la Huyghe non si perse d’animo. Come rimedio immediato, cambiò la tattica di vendita, destinando ovvero i suoi prodotti anche a ristoranti e alle grandi strutture private che per lo più richiedevano birra da tavolo.
Poi, dal 1980, ci pensò Jean de Laet (che aveva sposato Any Huyghe, figlia di Albert), a dare nuova vita all’azienda. Nel 1985 ristrutturò completamente la fabbrica e, l’anno dopo, nei suoi locali costituì un museo della birra, Brauerfamilie Huyghe.
Ma la svolta decisiva fu determinata dal passaggio all’alta fermentazione con prodotti a elevato contenuto alcolico.
Nel 1987 infatti, su richiesta dei clienti tedeschi, il birrificio creò la birra scura ad alta fermentazione, Artevelde Grand Cru, con rifermentazione in bottiglia.
Su richiesta dell’importatore Carlo Ceriani invece, che voleva una birra bionda forte, ma moderatamente dolce (insomma del tutto originale) per il mercato italiano, il 26 dicembre 1988 produsse per la prima volta la Delirium Tremens, lanciata l’anno dopo.
Su richiesta infine del mercato americano, nel 1990 elaborò la Blanche des Neiges.
Di questa rivoluzione si avvantaggiarono anche la Francia, con la Minty, e il mercato vallone, con la Cuvée de Namur e la Poiluchette.
A corollario, nel 1992 Jean de Laet fondò la Confrerie de l’Eléphant Rose (“Confraternita dell’Elefante Rosa”), col primo Gran Consiglio composto da 12 membri. L’obiettivo era quello di promuovere, sia a livello nazionale che internazionale, le antichissime tradizioni delle birre regionali di Melle, in particolare la Delirium Tremens, in quanto prodotti di qualità.
Nello stesso anno, la Huyghe si accaparrò la produzione su licenza delle birre d’abbazia St. Idesbald e Villers. Nel 1993 rilevò la Bierbrouwerij Biertoren di Kampenhout che, a sua volta aveva acquisito, nel 1990, la Brouwerij Verlinden di Lubbeek. Nel 1994 fu la volta della Brouwerij Damy di Olsene. Alla fine degli anni Novanta, circa i due terzi di birra prodotta prendevano la strada per l’estero.
Dal 2004, sull’onda del successo ottenuto con la Delirium Tremens, l’azienda iniziò a sviluppare, a livello internazionale, un ambizioso progetto commerciale nel campo della ristorazione, Delirium Café, sotto il simbolo del celebre elefantino rosa appunto che compare sull’etichetta della birra. Il primo, fu aperto a Bruxelles, all’interno di una struttura del secolo XVIII. Gestiti da vari esperti, questi locali offrono, in un ambiente caldo e accogliente, oltre 2500 tipologie di birre provenienti da più di 60 paesi di tutto il mondo.
Nel 2005 la Brouwerij Huyghe festeggiò il 350° compleanno, i 100 anni di birrificio a conduzione familiare e il 15° compleanno della Delirium Tremens. Nel 2008 raggiunse una produzione complessiva di 100 mila ettolitri di birra. Nel 2012 inaugurò la nuova fabbrica, nella cui costruzione erano stati impiegati, in maniera attenta e scrupolosa, tutti i criteri per ottenere il massimo risparmio energetico e generare il minor impatto ambientale possibile. Nello stesso anno fu insignita del riconoscimento “Eastern Flanders” assegnato ai birrifici belgi per meriti speciali.
Oggi, alla quarta generazione con il figlio di Jean, Alain de Laet, la Brouwerij Huyghe può contare su uno stabilimento ultramoderno dalle tecnologie avanzate e su un personale altamente qualificato nonché dalla mentalità aperta alla continua evoluzione.
Ha una capacità produttiva di 350 mila ettolitri di birra l’anno, mentre l’export assorbe il 70% complessivo. Produce inoltre e commercializza anche per conto terzi birre, bibite e acqua.
Le numerose espansioni, anche in termini di birrifici acquisiti e poi chiusi, nonché il continuo impegno nel rinnovare impianti e tecnologie per proporre sempre qualcosa di nuovo (specie nei riguardi dell’estero, che richiede sempre più prodotti originali e differenziati), hanno consentito la produzione di una vastissima gamma di prodotti e di marchi. Un catalogo che rappresenta quasi tutta la tradizione brassicola del Belgio, interpretata secondo le esigenze del moderno consumatore.
Una strabiliante varietà di offerte supportata dalla vincente strategia di marketing basata, non solo sulle confezioni particolarmente accattivanti, anche su una pubblicità innovativa e molto aggressiva.
Spesso però ci troviamo di fronte a leggerissime varianti di poche birre “base”, dal gusto identico. Ciò avviene, in particolare, con le fruit beer Floris, Belville, Mongozo, Dju Dju, Früli. Senza considerare la Delirium natalizia, alternativamente commercializzata come Delirium Christmas o Delirium Noël, e affiancata dalla più leggera La Mère Noël.
La Brouwerij Huyghe infine è membro della Belgian Family Brewers (BFB), un’organizzazione non profit di birrerie indipendenti e tradizionali di famiglia belga, nata nel 2007 e che oggi conta 22 fabbriche sparse nelle Fiandre e nella Vallonia, a riprova che è un autentico birrificio belga a conduzione familiare dalla forte identità.
Blanche des Neiges, witbier di colore giallo paglierino e dal tipico aspetto opalescente (g.a. 5%); tradizionale bianca vallone. Con una carbonazione molto contenuta, la spuma bianca emerge sottile, cremosa, persistente. L’aroma si schiude intenso, con sentori di miele, agrumi, pane, frumento, caramello, banana, lievito, chiodi di garofano. Il corpo è sottile e di consistenza acquosa. Il gusto, che sa di cereali e lievito fresco, riceve dal luppolo quel tocco “sapiente” per poter rendersi piacevole e rinfrescante. Il finale reca una punta di acidità. Il retrolfatto è ricco di lievito, scorze di agrumi, coriandolo; e non nasconde qualche leggera suggestione citrica, anche floreale dolce.
Delirium Tremens, belgian strong golden ale di colore giallo oro e dall’aspetto leggermente velato (g.a. 8,5%); a tripla fermentazione, la terza in botttiglia. Le tre fermentazioni sono provocate da altrettanti ceppi di lievito. La gradazione alcoloica originale invece, del 9%, fu ridotta nel 2003. La caratteristica bottiglia di vetro ricorda le ceramiche di Colonia. L’etichetta raffigura con originalità i tre stadi attraverso i quali si manifesterebbe la malattia del delirium tremens: prima si vedono elefanti, poi coccodrilli, infine mostri. Cavallo di battaglia dell’azienda, la Delirium Tremens nel 1997 fu proclamata “migliore birra del mondo” dal beer hunter americano Stuart A Kallen. Titolo, confermato l’anno successivo dalla medaglia d’oro per la categoria “strong belgian ale” al World Beer Championship di Chicago. E oggi questo prodotto arriva negli Stati Uniti con più di 5 mila ettolitri l’anno. Con un’effervescenza medioalta, la spuma prorompe sottile, fitta, cremosa, e di buona stabilità e aderenza. L’olfatto, di gradevole finezza, si esprime con un’intensità molto elevata. Il fruttato sprigiona sentori di lievito e di malto dalle tenui marcature di coriandolo e arancia amara. Il corpo consistente palesa una scorrevole sofficità, in una trama leggermente acquosa. Il gusto è dolciastro e destinato a maturare nel tempo: si snoda, comunque, tra note fruttate e di orzo su fondo luppolizzato che esala un amaro sottilmente speziato. L’alcol svolge un ruolo importante, con forti sensazioni di calore che avvolgono il palato. Il finale, abbastanza pulito, apporta una ventata di luppolo che conferisce piacevolmente secchezza e amarore leggero. La lunga persistenza retrolfattiva esala un mix di coriandolo e arancia amara, ostinato ma senza aggressività. Questa classica birra da meditazione viene servita in bicchieri decorati con elefanti rosa, gli stessi che compaiono disegnati sull’etichetta e che fanno parte dei soggetti ricorrenti negli incubi a occhi aperti degli alcolisti.
Delirium Nocturnum, belgian strong dark ale di colore rosso-marrone scuro e dall’aspetto nebuloso (g.a. 8,5%); variante scura della Delirium Tremens, lanciata nel 1999 per celebrare il suo decennale. L’effervescenza è da media ad alta; la schiuma, fine, spessa e duratura. L’aroma, forte e insistente, regala attraenti profumi floreali, di liquirizia, coriandolo, vaniglia, caramello, cioccolato, lievito piccante, zucchero candito. Il corpo possiede un’ampia struttura, calda, armoniosa, leggermente sciropposa. Il gusto si distende fresco, rotondo, fragrante, nella sua amabilità moderatamente caramellata, e infervorato da una punta di cannella. Il finale vigoroso scivola in un amaro dall’accento acidulo e sfocia bruscamente nella lunga persistenza retrolfattiva all’insegna di suggestioni asciutte e cordiali.
Delirium Noël, belgian stron dark ale di colore ambra intenso con riflessi ramati (g.a. 10%); versione natalizia, più alcolica, della Delirium Tremens, conosciuta anche come Delirium Christmas. La schiuma ocra, cremosa e stabile, è gestita da un’effervescenza decisa. L’aroma appare piuttosto tenue, nei suoi dolci sentori floreali, di caramello, biscotto, frutta secca, lievito, spezie. Il corpo, da medio a pieno, presenta una consistenza oleosa pressoché appiccicosa. Il gusto, dopo l’inizio abboccato, prende succose note fruttate, pervenendo al traguardo morbido, caldo, speziato. Il finale arriva secco e con una punta fresca di acidità. Nell’articolata ricchezza retrolfattiva si esaltano, in un mix armonico, impressioni calde di un alcol quasi inebriante, dolci di frutta matura, amarognole floreali e speziate di lievito.
La Guillotine, belgian strong golden ale di colore dorato e dall’aspetto alquanto torbido (g.a. 8,5%); a tripla fermentazione, la terza in bottiglia. Fu lanciata nel 1989, in occasione del 200° anniversario della rivoluzione francese. La ricetta prevede tre tipi di cereali e altrettante varietà di luppolo. Viene commercializzata in una caratteristica bottiglia a effetto, simile a quella della Delirium Tremens. Con una carbonazione quasi pungente, la schiuma erompe generosa, spessa, tenace. L’aroma, forte e persistente, è alimentato da sentori di albicocca, uvetta, anice, canditi, lievito belga, chiodi di garofano, scorza di arancia amara. Il corpo, da sottile a medio e di trama leggermente oleosa, infervora la bocca con la propria forza alcolica. Il gusto di malto, orientato al dolce, è tenuto ben in equilibrio dal fondo solidamente luppolizzato. Il finale appare piuttosto secco, caldo, dolcemente piccante. L’interminabile retrolfatto delizia con una singolare suggestione amarognola, vegetale e di lievito. Il sapore matura nel tempo, per cui il prodotto si presta a una conservazione abbastanza lunga.
Red Fox, belgian ale di colore ambrato carico con riflessi bruni e dall’aspetto un po’ nebuloso (g.a. 7%). Viene lavorata con malto d’orzo tostato. La vivace effervescenza produce una schiuma beige densa, cremosa, tenace. L’olfatto ha una finezza attraente, con l’elevata intensità che propone aromi di frutta rossa, nonché toni caldi (dal tostato all’affumicato e allo speziato, dal miele al caffè). Il corpo medio, di tessitura acquosa, attacca il palato con una forza alcolica che si fa ben notare senza però mostrarsi aggressiva. Il gusto scivola vellutato, elargendo una ricca gamma di impressioni, con netta prevalenza del caramello. Il finale arriva asciutto, pulito, e passa il testimone a un retrolfatto labilmente piccante.
Trap 40 Grand Cru, belgian strong golden ale di colore giallo paglierino scarico e dall’aspetto intorbidato dai lieviti in sospensione (g.a. 8%); rifermentata in bottiglia. Il condizionamento avviene con lieviti e zucchero. L’effervescenza media sviluppa una schiuma finissima, cremosa, persistente. L’aroma, alquanto piatto, è a base di malto, limone, pane, luppolo resinoso, caramello tostato, mela, albicocca, lievito fruttato, sciroppo di glucosio. Il corpo, da medio a pieno, ha una consistenza relativamente acquosa. Nel gusto, solido, alcolico, scorrevole, il luppolo attacca piuttosto pungente; ma il poderoso fondo di malto fruttato ristabilisce presto il giusto equilibrio. Il finale sopraggiunge asciutto e morbido, precedendo un ottimo retrolfatto luppolizzato.
Huyghe Artevelde, belgian ale di colore ambrato brillante (g.a. 5,7%); una speciale, della serie delle birre ambrate belghe, leggere e rinfrescanti. Il nome è in onore di Jacob van Artevelde, possidente agricolo, mastro birraio e commerciante del secolo XIV, molto importante nella storia di Ghent, tanto che la sua statua si trova al mercato centrale cittadino. Con una carbonazione piuttosto bassa, la schiuma, di un bianco sporco, fuoriesce scarsa e di rapida scomparsa. L’aroma è gradevole ma abbastanza debole, con richiami di malto, cereali, caramello, fieno, erba, frutta, foglie, chiodi di garofano. Il corpo, pressoché sottile, ha anche una consistenza alquanto oleosa. Il gusto si propone con note floreali, pane, noci, caramello, scorza di agrumi, lievito. Il finale sa tanto di verdure cotte e di terra. Il corto retrolfatto presenta un amarore un po’ astringente.
La Mère Noël, belgian strong dark ale di colore ambrato e dall’aspetto nebuloso (g.a. 8,4%). Il nome vuol dire “Mamma Natale”, si tratta dunque di un’offerta natalizia. L’effervescenza è piuttosto alta; la schiuma bianca, generosa, compatta e di buona durata. L’olfatto si propone con elevata intensità, a base di malto, lievito belga, banana, fieno, mandorla, grano, erbe, albicocca, sciroppo di zucchero: il tutto in un intrigante alone alcolico, supportato da sentori di coriandolo, cannella, erbe aromatiche, chiodi di garofano. Il corpo medio tende al sottile, in una trama cremosa. L’imbocco amarognolo, e pressoché astringente, si stempera via via in note di malto, frutta, miele, pane bianco, melassa, liquirizia. Il finale appporta una ventata di esteri fruttati. La ricchezza retrolfattiva appare raffazzonata, con sensazioni di alcol, cereali, lievito, erbe aromatiche, confuse ma incisive.
Delle birre abbaziali, segnaliamo le più interessanti.
Abbaye des Dunes (Abdij ten Duinen)
Fu fondata nel 1107 a Koksijde (nelle Fiandre Occidentali), sulla base di una piccola chiesa eretta dall’eremita benedettino Ligerius; divenne abbazia cistercense nel 1138. Nel suo periodo di massimo splendore (secolo XIV), sotto la guida dell’abate Elias van Koksijde, era una delle principali abbazie dell’Europa occidentale.
Fu distrutta la prima volta nel 1566, durante la riforma protestante, anche per accaparrarsi il patrimonio di conoscenze e fabbricazione di inconsuete birre dal palato acidulo, in cui questa abbazia eccelleva. Abbandonata a se stessa e saccheggiata più volte, fu definitivamente abolita nel 1798, con la rivoluzione francese.
Nel 1819 venne consacrata dal papa una piccola cappella intitolata a St. Idesbald, un abate di Duinen. L’Abdijmuseum Ten Duinen 1138, sul sito dell’ex cortile dell’abbazia, ospita i reperti degli scavi eseguiti a partire dal 1949, un modello dell’abbazia medievale e collezioni sulla storia, la fauna, la flora.
St Idesbald Blonde, belgian ale di colore biondo oro e dall’aspetto intorbidato dai lieviti in sospensione (g.a. 6,2%); rifermentata in bottiglia. È conosciuta anche come L’Abbaye des Dunes. Con un’elevata carbonazione, la spuma erompe ricca, cremosa, aderente. Al naso, sotto i penetranti aromi fruttati si levano armonicamente lievi sentori di malto, con accenni di lievito belga, luppolo floreale, ginepro, limetta, coriandolo. Il corpo, da leggero a medio, ha una tessitura tra oleosa e acquosa. Il gusto inizia la corsa con un dolce misurato e, prima del traguardo, richiama la secchezza del luppolo che, nel retrolfatto, diventa grata impressione amarognola. Il finale ha breve durata nella sua morbida consistenza di frutta matura.
Abbaye de Villers
Antica abbazia cistercense situata vicino a Villers-la-Ville (Brabante Vallone). Fondata nel 1146, fu soppressa nel 1796 dai rivoluzionari francesi e venduta a un privato. La maggior parte del sito da allora è caduto in rovina.
Vieille Villers (Oud) Bruin, belgian ale di colore marrone scuro con riflessi mogano e dall’aspetto torbido (g.a. 7%); originariamente, chiamata Vieille Villers Dubbel. La bella schiuma color crema, soffice e di buona ritenzione, è gestita da un’effervescenza moderata. Malto tostato, caramello, frutta scura, legno vecchio, bacche nere, cioccolato, spezie, allestiscono un bouquet di elevata intensità e di finezza attraente. Il corpo medio si propone in una consistenza oleosa alquanto appiccicosa. Il gusto scorre piacevolmente tra note di pane, lievito, malto, caramello, agrumi, cacao in polvere, zucchero di canna, mela acerba, chiodi di garofano, in un mix armonico di dolcezza, amarore, acido lattico. La corsa, di media durata, si conclude con un richiamo di sherry. Il retrolfatto, poco percettibile, accenna a un certo amarognolo.
Marchio Belville
Sono tre birre artigianali, dal gusto fresco e piacevole, adatte a ogni occasione. Si ottengono aggiungendo succhi di frutta a una base di bière blanche:
Belville Framboise, al lampone, vedi Floris Framboise;
Belville Kriek, alla ciliegia, vedi Florisgaarden Griotte;
Belville Passion Fruit, al frutto della passione, vedi Florisgaarden Passion.
In realtà, come abbiamo accennato in precedenza, si tratta di una diversa denominazione di birre della linea Floris, come vedremo tra poco.
Linea Floris
Comprende prodotti fruttati meno complessi, a base di frumento e variamente aromatizzati con essenze o estratti.
Florisgaarden Witbier, witbier di colore giallo paglierino sbiadito e dall’aspetto opalescente (g.a. 4,8%, in precedenza, 3,6 e 5%). Costituisce la base per tutta la serie. Con una vivace effervescenza, la schiuma si solleva generosa, sottile, di buona ritenzione. L’aroma è di un gradevole fruttato, con accenni di cereali, chiodi di garofano, buccia di arancia amara, pepe nero. Il corpo appare da leggero a medio, in una consistenza un po’ acquosa. L’equilibrio gustativo risulta notevole, in un armonico mix di note dolci e amare, aspre e speziate. L’acidità è presente, ma non disturba, anzi apporta una ventata di freschezza. Il corto finale si rivela secco, piuttosto appiccicoso, anche di un amarore pressoché astringente. Una genuina asprezza dà vita a un lieve ma persistente retrolfatto, in cui si esaltano impressioni fruttate, floreali e di lievito belga secco.
Floris Framboise, fruit beer di colore rossastro scuro e dall’aspetto piuttosto velato (g.a. 3,7%); conosciuta anche come Belville Framboise. Viene prodotta con spezie e succo di lamponi. L’effervescenza è piuttosto alta; la spuma rosa, soffice e di lunga durata. L’aroma si libera con sentori di lamponi, in particolare, anche, a seguire, di agrumi, pane di grano, caramello, legno, ribes nero. Il corpo, da leggero a medio, presenta una consistenza acquosa. Il gusto defluisce in una mite dolcezza di sciroppo di lampone, con accenni di cannella e chiodi di garofano, per chiudere la corsa con una rinfrescante punta di acidità. Il finale si dilunga nelle sue note secche di frumento. Evanescenti suggestioni di bacche segnano il breve retrolfatto.
Florisgaarden Griotte, fruit beer di colore rosso scuro e dall’aspetto nebuloso (g.a. 3%); conosciuta anche come Belville Kriek. L’effervescenza è piacevolmente morbida; la schiuma, non così abbondante ma di lunga durata. L’aroma sa tanto di ciliege; non si tengono comunque in disparte sentori di caramello, lievito, zucchero, e agrumi dall’accento acido. Il corpo appare piuttosto sottile, in una trama acquosa. Anche il gusto è dominato dalla dolcezza delle ciliege; fino a quando però, nella seconda parte della corsa, non s’inseriscano insistenti note amarognole. Il finale, di una moderata astringenza e, insieme, delicatezza alcolica, introduce un discreto retrolfatto lievemente secco, acido, rinfrescante pur nella sua granulosità.
Florisgaarden Passion, fruit beer di colore giallo pallido e dall’aspetto velato (g.a. 3,6%); conosciuta anche come Belville Passion Fruit. Contiene succo di frutto della passione (30%) e sedano. L’effervescenza è da bassa a media; la schiuma bianca, densa, solida, abbastanza generosa. L’aroma si apre con sentori del frutto della passione, che lasciano spazio anche per il limone, il caramello, il pane di grano, un tocco di luppolo. Il corpo tende decisamente al sottile, in una trama fra grassa e acquosa. Il sapore tende invece alla dolcezza, con note sovrastanti del frutto della passione. Il percorso gustativo termina con una rinfrescante nota acida, e introduce un corto retrolfatto leggermente asciutto.
Florisgaarden Ninkeberry, fruit beer di colore biondo e dall’aspetto lievemente velato (g.a. 3,6%). Porta il nome dei due figli dell’amministratore dell’azienda (Floris e Ninke). Si tratta di una bière blanche anomala, vuoi per la bassa gradazione alcolica, vuoi per le sue note di gusto particolari, evidenti fin dal primo assaggio. Si presenta comunque leggera e molto snella, beverina e rinfrescante. Con una vivace carbonazione, la spuma erompe fine, cremosa, duratura. L’aroma si libera decisamente fruttato, con qualche richiamo floreale, di luppolo, malto, lievito. Il corpo tende al sottile, in una consistenza tra sciropposa e acquosa. Il sapore dolciastro che richiama la pesca, l’albicocca e, soprattutto, il mango, riceve il giusto equilibrio dal moderato sottofondo di menta, vaniglia, noce moscata. Il finale apporta un tocco di acido citrico. Nel corto retrolfatto compaiono delicate sensazioni di frutta tropicale.
Florisgaarden Chocolat Gardenbeer, spiced ale di colore marrone e dall’aspetto opaco per i sedimenti di lievito galleggianti (g.a. 4,2%); aromatizzata al cioccolato. L’effervescenza media produce una spuma beige copiosa, soffice, di sufficiente durata. L’aroma è fortissimo, e dolce, di cioccolato, con accenni di malto, frutta secca, melassa, vaniglia, pasta di croissant. Il corpo, da leggero a medio, esibisce una trama sciropposa alquanto appiccicosa. Il gusto, morbido e delicato, attacca con dolce malto granuloso; volge in note fruttate, di lievito e nocciola; chiude la discreta corsa con un mite amarore medicinale. Il finale apporta una ventata di fresca acidità. Il retrolfatto non indugia più di tanto nelle sue impressioni cioccolatose.
Marchio Mongozo
Nella lingua dell’etnia africana Chokwe (sparsa in Angola, Zambia e Repubblica Democratica del Congo), mongozo vuol dire “salute”. E, con tale marchio, vengono indicate birre che rievocano antiche ricette di questi popoli. Ovvero antiche tradizioni e nuovi metodi di produzione sono stati combinati per produrre birre nuove ed esotiche utilizzando ingredienti che provengono in gran parte dal circuito equo e solidale.
Quando, nel 1993, arrivò in Olanda, da rifugiato angolano, Henrique Kabia aveva con sé la ricetta di una sua antenata del secolo XVIII che aveva cominciato a preparare, con le noci di palma, la birra al posto del vino. E, dall’incontro con Jan Fleurkens, nel 1998 nacque la prima birra esotica, Mongozo Palmnut, presentata l’anno successivo alla Fiera Horeca di Maastricht. Seguì, nel 2001, la Mongozo Banana. Nello stesso anno, iniziò la produzione presso la Huyghe.
Nel 2003, fu la volta della Mongozo Quinua. Ma, a giugno, Henrique Kabia perse la vita in un incidente.
Mongozo Palmnut, fruit beer di colore ambra-marrone e dall’aspetto torbido per le particelle di lievito galleggianti (g.a. 7%). Viene prodotta, sulla base di una birra tradizionale dell’Angola, con malti tostati e noci di palma africana, acquistate dai contadini del Ghana attraverso l’organizzazione di commercio equo olandese De Evenaar. Con una carbonazione da bassa a media, la spuma, di un beige pallido, emerge un po’ ruvida, spessa, di media durata. L’aroma appare leggermente legnoso ed erbaceo, anche un po’ speziato. Il corpo, solo relativamente sottile, presenta una tessitura tra cremosa e oleosa. Il gusto è abbastanza piacevole, con quelle sue lievi note di nocciola, agrumi, lievito, malto, fichi dolci, olio di palma. Il finale reca sentori di alcol in un’amabile secchezza. Dal corto retrolfatto esalano suggestioni erbacee di un non certo sgradevole amarognolo.
Mongozo Banana, fruit beer di colore giallo dorato piuttosto scuro e dal lieve aspetto opalescente (g.a. 3,6%, in precedenza 4,8, poi 4,5%). Sulla base della birra tradizionale delle tribù Masai del Kenya e della Tanzania, viene prodotta con banane provenienti dalla piantagione di VREL, in Ghana, l’unica piantagione africana certificata dal marchio del commercio equo olandese Max Havelaar. La spuma bianca, scarsa ed evanescente, non trova riscontro nell’elevata carbonazione. Una banana quasi pungente infervora l’aroma tra esteri e lievito. Il corpo, medio-leggero, presenta una consistenza grassa pressoché appiccicosa. Il sapore di banana, forte e dolce, viene man mano attenuato dall’asprezza del limone e dall’acidulo della frutta fermentata. Il finale si mostra morbido, fresco, pulito. Nel retrolfatto ritorna la banana, sostenuta da lunghe suggestioni di grano speziato.
Mongozo Quinua, spice herb di colore giallo scuro e dall’aspetto alquanto torbido (g.a. 5,9%). Sulla base della tradizionale birra boliviana, viene realizzata con la quinoa, proveniente dall’Associazione nazionale dei produttori di quinoa in Bolivia e importata da Solidar’Monde, organizzazione commercio equo francese. La quinoa è una pianta erbacea annuale delle Chenopodiacee i cui semi, macinati, forniscono una farina contenente prevalentemente amido. Pertanto, pur non essendo una graminacea, viene classificata merceologicamente come cereale. E si distingue dagli altri pseudocereali per l’alto contenuto proteico e la totale assenza di glutine. Con una media effervescenza, la spuma biancastra emerge soffice ma di scarsa durata. L’aroma si libera quasi in sordina, con accenni di malto, frutta matura, cereali, lievito, pane, luppolo, anche un tocco di vaniglia. Il corpo, da leggero a medio, presenta una trama decisamente acquosa. Il gusto defluisce quasi granuloso, tra note di malto, lievito, frumento, vivacizzate dall’apporto aspro delle scorze di agrumi e aromatico dei semi di coriandolo. Il finale risulta secco, acidulo e amarognolo. Il corto retrolfatto s’ispira invece a suggestioni legnose.
Dopo la morte di Henrique Kabia, Jan Fleurkens continuò la produzione del marchio Mongozo.
Nella primavera del 2005 nacque la Mongozo Coconut 3,5 %, una fruit beer di colore giallastro (g.a. 3,6%); realizzata con succo di cocco (15%) e quinua biologica. Per questa birra è stata progettata una tazza speciale a forma di mezza noce di cocco.
Nel 2008 fu lanciata la Mongozo Mango, fruit beer di colore giallo scuro (g.a. 3,6%); con utilizzo di mango.
A settembre del 1010, vide la luce la Mongozo Premium Pilsener, premium lager di colore biondo chiaro (g.a. 5%). Si tratta di una birra biologica e senza glutine, che porta sia il logo biologico UE che il marchio Fairtrade/Max Havelaar.
E non poteva certo mancare una birra di frumento biologica e senza glutine, la Mongozo Buckwheat White Birra, di colore giallo pallido (g.a. 4,8 %).
Secondo la tradizione, la birra Mongozo viene bevuta dal calabash (nome inglese della Lagenaria siceraria), tradotto in “zucca”, “zucca bottiglia” e in tanti altri termini. Si tratta ovvero di un vitigno tropicale africano coltivato per i suoi frutti che, raccolti giovani, vengono utilizzati come vegetale, raccolti invece maturi, vengono svuotati della polpa e il guscio, essiccato al sole, viene utilizzato come una bottiglia, un utensile, un tubo. È importante lavare il calabash subito dopo l’uso con acqua calda, senza sapone e lasciarlo asciugare in un ambiente secco.
Conto terzi
Per l’abbazia norbertina Averbode, vicino a Diest (Brabante Fiammingo).
Abdij Averbode, belgian strong golden ale di colore dorato pallido e dall’aspetto intorbidato dalle particelle di lievito galleggianti (g.a. 7,5%). La carbonazione è quasi tagliente; la schiuma bianca, soffice, enorme, tenace. L’aroma appare piuttosto piccante di lievito belga e coriandolo; viene comunque stemperato da sentori di agrumi, malto, erbe, grano, pesca, banana. Il corpo, medio-leggero, ha una tessitura alquanto oleosa. Anche la dolcezza appiccicosa del caramello e della frutta, nel gusto, è tenuta sotto controllo da note di vino bianco, agrumi, spezie leggere, acidità da mela verde. Il finale dura poco, il tempo sufficiente per erogare una punta di secco amarore. Non si rivela tanto più lungo il retrolfatto, con sensazioni di chiodi di garofano pressoché astringenti.