Tratto da La birra nel mondo, Volume II, di Antonio Mennella-Meligrana Editore
Berkel-Enschot/Paesi Bassi
L’Abdij Onze Lieve Vrouw van Koningshoeven (dedicata a Nostra Signora) si trova nel Brabante Settentrionale, vicino a Tilburg. È costruita in stile neogotico e circondata da splendidi giardini. Koningshoeven (ossia “fattoria del re”), con alcune cascine e un recinto per le pecore, era stata in passato di proprietà del re Guglielmo II.
In tale fattoria si insediò un gruppo di monaci francesi appartenente all’ordine fondato nel 1664 dall’abate del monastero di Soligny-la-Trappe Jean Armand Bouthillier de Rancé. Dovendo raccogliere i fondi con cui erigere il complesso monastico, nel 1884 i frati sfruttarono l’ovile (schaapskooi) per impiantare un birrificio. Sicché, ultimata l’abbazia (nel 1890 ca.), l’impianto produttivo si ritrovò all’interno di essa e fu chiamato De Schaapskooi, nome che può ancora capirare di sentire localmente.
Le birre, lager elaborate da un monaco originario di Monaco di Baviera, e addirittura figlio di un mastro birraio, ottennero subito successo. E presto si cominciò a disattendere il principio monastico di produrre birra soltanto per destinarla al consumo interno (in piccola parte), alla copertura delle spese di gestione e, soprattutto, al finanziamento di opere caritatevoli. Insomma la gestione del birrificio andava prendendo una vera e propria piega commerciale.
Nel 1969 l’abbazia di Koningshoeven concesse la licenza di produzione alla Artois. Scaduto l’accordo commerciale nel 1980, i monaci ripresero in mano le redini della produzione e si concentrarono sulla fermentazione alta, che dal 1950 era stata praticata in quantità limitate. Nascevano così, nel 1987, la Dubbel e la Tripel; nel 1992, la Blond e la Quadrupel. E questa situazione si protrasse fino al 1999. Intanto, nel 1985, avevano avuto inizio le esportazioni; nel 1989, era stato modernizzata la fabbrica.
“Tunc vere monachi sunt si labore manuum suarum vivunt” (“Sono veri monaci se vivono del loro lavoro”), è quanto prescrive la regola di san Benedetto. Purtroppo, vuoi per l’età vuoi per altre occupazioni, i padri finirono per limitarsi al controllo del processo produttivo, che deve avvenire all’interno dell’abbazia e sotto la loro supervisione, perché la birra possa fregiarsi del caratteristico esagono nero con la dicitura “Authentic Trappist Product”. Nel 1999 diedere addirittura l’attività in concessione alla Bavaria, con l’obbligo naturalmente di rispettare le regole stabilite dalla International Trappist Association.
Ma le nuove metodologie di produzione, come la logica del profitto, introdotte dalla Bavaria non furono condivise dall’Associazione Internazionale Trappista, che sospese immediatamente l’autorizzazione all’utilizzo del suo logo. La Bavaria, comunque, continuò a etichettare i prodotti come Trappistenbier.
Dopo anni di dibattiti e discussioni, nel settembre del 2005 la Koningshoeven ottenne nuovamente il diritto di affiggere il logo trappista sulle birre, a condizione che i monaci riprendessero un ruolo più attivo nelle operazioni produttive.
Tali birre, con un flusso annuo di 145 mila ettolitri, sono commmercializzate col marchio La Trappe. Fino al 2010, per qualche mercato, come quello statunitense, veniva usato anche Koningshoeven.
Si tratta di birre eccezionali, forti e profumate, ciascuna col proprio carattere e un gusto distintivo. Seguono, pur con tecnologia moderna, il metodo tradizionale e interpretano le antiche ricette; utilizzano il lievito coltivato in proprio e l’acqua estratta dai cinque pozzi monastici profondi 200 metri. Vengono prodotte ad alta fermentazione e condizionate in bottiglia con zucchero e una dose di lievito puro.
Tale procedimento, chiamato “di postfermentazione”, consente alla birra di fermentare ancora, maturando compiutamente aroma e gusto. Inoltre, pur non essendo filtrate né pastorizzate, queste specialità si conservano molto a lungo, mentre la complessità si evolve nel tempo.
È sempre valido il consiglio dei frati su come servire i prodotti. Prima di tutto, la birra deve riposare per qualche giorno. Un gusto così ricco e un aroma altrettanto pieno vanno colti a una temperatura fra i 13 e i 16 °C. Bisogna adoperare un bicchiere ad ampia imboccatura e tenerlo inclinato mentre si versa lentamente la bevanda. In tal modo si ottiene anche il livello di schiuma desiderato. Il deposito di lievito può essere bevuto tranquillamente; esso però determina un lieve intorbidamento. Volendo invece un aspetto limpido, basta versare in modo che rimanga il piccolo fondo contenente il sedimento.
Quanto alla degustazione invece, la raccomandazione è perentoria: “Gustate questa birra come noi l’abbiamo prodotta: con tutta calma”.
La Trappe Blond, trappista di colore oro antico e dall’aspetto intorbidito (g.a. 6,5%); in perfetta sintonia con il gusto degli europei. L’effervescenza abbastanza vivace genera una schiuma abbondante, spessa, tenace. L’aroma si schiude fresco e persistente, con sentori di malto, frutta, miele, luppolo speziato, e un tocco aspro di mela acerba. Il corpo tende al leggero, in una consistenza oleosa. Il gusto fluisce squisitamente dolce e delicatamente piccante, tra note di malto, biscotti, pane, agrumi, lievito. Verso la fine di una corsa media, s’inserisce una leggera quanto rinfrescante punta di acidità. L’articolata ricchezza retrolfattiva propone, con discreta persistenza, suggestioni fruttate, di caramello e tostature.
La Trappe Enkel, trappista single malt di colore ambrato e dall’aspetto opaco (g.a. 5,5%). Era la birra per il consumo quotidiano ai pasti dei monaci, quindi con tenore alcolico inconsueto per la tipologia. Tra il 1993 e il 2000, ebbe anche una ristretta distribuzione commerciale; poi fu sostituita nella gamma dalla Blond. Presentava una morbida carbonazione; spuma fine e cremosa di media persistenza; aroma dolcemente fruttato; corpo sottile di trama oleosa; gusto fresco e secco di malto, con un pizzico di amarore; finale di lievito; retrolfatto dal forte richiamo di impressioni amare.
La Trappe Dubbel, trappista dubbel di colore bruno rossastro e dall’aspetto nebuloso (g.a. 7%). Ultimamente, è apparsa un tantino più secca e speziata al palato. Viene tuttora elaborata, secondo una ricetta del 1884, con sostenuta presenza di malto. L’effervescenza è moderata; la spuma, densa e aderente. L’olfatto ostenta una finezza attraente, con l’elevata intensità che emana profumi di malto e caramello, frutta fresca e secca, crosta di pane e zucchero candito, tostature e lievito speziato. Il corpo ha struttura consistente, armonica, pastosa, in una tessitura oleosa. Il gusto, alquanto secco e speziato, si distende tra piacevoli note dolci e amare. L’amabile malto del finale, con accento di liquirizia, sfocia in una morbida impressione amarognola di lunga persistenza nel retrolfatto.
La Trappe Tripel, trappista tripel di colore oro intenso con riflessi ramati e dall’aspetto velato (g.a. 8%). Presenta, rispetto alla Blond e alla Dubbel, un’intensità olfattiva lievemente più marcata. Con un’effervescenza abbastanza elevata, la spuma fuoriesce abbondantissima, compatta e durevole. I profumi di luppolo e coriandolo si sprigionano acuti, persistenti, lasciando poco spazio ai tenui sentori di malto, caramello, pane, lievito. Il corpo medio, di consistenza grassa, mostra una singolare fluidità. Il gusto, moderatamente amaro, reca note di agrume, erba, zenzero. Il finale pulisce alla perfezione il palato con la sua secchezza. La lunga persistenza retrolfattiva esprime suggestioni di un invitante amarognolo erbaceo.
La Trappe Quadrupel, trappista quadrupel di colore ambra con riflessi aranciati e dall’aspetto intorbidato dai lieviti (g.a. 10%). È una birra di altissima qualità: la più celebre e la più alcolica dell’azienda, una delle più forti nei Paesi Bassi. La schiuma, fine e cremosa, risulta, per l’alto contenuto alcolico, pressoché scarsa e ancor meno stabile. L’olfatto, di elegante finezza, regala, nella propria intensità molto elevata, profumi di lievito e crosta di pane impreziositi da sentori vegetali e di erba fresca appena tagliata. Il corpo consistente, di trama oleosa, si avvicina al palato con densità vellutata e calorosa. Il gusto dolceamaro propone sensazioni di liquirizia, menta, rabarbaro. Il finale si presenta vivacemente speziato. Nel retrolfatto, ricco e lungo, risaltano il coriandolo e la cannella. Si tratta di un prodotto autunnale imbottigliato per annata, di lunga conservabilità. Col tempo il sapore si affina, e perde la dolcezza percettibile chiaramente nel retrolfatto per lo zucchero impiegato nella fermentazione secondaria.
La Trappe Witte Trappist, witbier di colore giallo pallido e dall’aspetto lattiginoso (g.a. 5,5%). L’unica witbier trappista al mondo, immessa in commercio nel 2003. Utilizza la nuova varietà di luppolo tedesco Saphir, che conferisce un armonioso e intenso aroma agrumato. Con la carbonazione abbastanza vivace, si forma una schiuma alta, cremosa, di media durata. L’aroma è molto gradevole, coi suoi profumi di grano, miele, banana, agrumi; nonché di lievito belga, chiodi di garofano, coriandolo. Il corpo, da leggero a medio, presenta una consistenza cremosa e pressoché appiccicosa. Il gusto si snoda deliziosamente fresco e fruttato, prendendo, verso il traguardo, una punta sottilmente acida. La secchezza del finale introduce un corto retrolfatto erbaceo dalle suggestioni amarognole.
Brouwerij De Kroon/Oirschot
Vecchia azienda a conduzione familiare del Brabante Settentrionale, col nome che voleva dire “la corona”. Era l’unica birreria sopravvissuta; mentre alla sua nascita, nel 1627, nel villaggio di Oirschot, ne esistevano almeno 13.
Gli edifici erano in parte quelli originari. Anche le attrezzature e i metodi produttivi combinavano bene l’artigianalità e la moderna tecnologia. L’acqua proveniente dal pozzo di proprietà era quella piovana, filtrata dal terreno sabbioso. Oltre alle caldaie di rame, venivano utilizzati alti fusti aperti per la fermentazione che conferivano al prodotto un carattere particolare. La maturazione si svolgeva invece in enormi contenitori orizzontali di acciaio.
Quanto al confezionamento, la fabbrica provvedeva solo a riempire le botti con una linea d’avanguardia. All’imbottigliamento pensava invece la Bavaria nel suo stabilimento di Lieshout.
Dal 1997 infatti la Bavaria deteneva il 50% delle azioni di questo birrificio che, non solo aveva mantenuto la totale autonomia, traeva anche tutti i vantaggi dal legame con una grossa azienda. L’immagine era così notevolmente migliorata; come si erano allargate, sia all’interno che all’estero, le promozioni del prodotto, in una nuova, attraente veste di etichettatura e confezionamento, indice di una gestione e di una logistica superiori. L’azienda organizzava anche una rilevante festa della bok primaverile.
Alla fine, nel 1999, la Brouwerij De Kroon passò sotto il controllo totale della Bavaria, che trasferì la produzione a Berkel-Enschot e, nel 2002, chiuse addirittura la fabbrica.
Kroon Pilsener, pilsener di un profondo biondo dorato (g.a. 5%). Con una morbida effervescenza media, si forma una schiuma biancastra densa, cremosa, anche un po’ appiccicosa. L’aroma è fresco di cereali, malto, paglia, luppolo erbaceo, con debole accenno di frutta tropicale. Il corpo medio presenta una tessitura tra oleosa e acquosa. Nel gusto, il delicato amarore del luppolo lascia sufficiente spazio perché possano emergere tenui sentori di malto. Il corto finale apporta un amaro alquanto pungente di luppolo. La persistenza retrolfattiva si manifesta discreta, con una debole suggestione di acidità per niente sgradevole.