Bistrattato forse solo meno dell’udito, il tatto e le sensazioni tattili svolgono un ruolo solo all’apparenza secondario nella degustazione della birra, concorrendo con gli altri sensi “nobili”, olfatto, gusto e vista, a rendere completa e complessa l’esperienza degustativa.
Approcciandoci al nostro amato e spesso agognato bicchiere di birra, il tatto entra in gioco, secondo criteri prettamente cronologici, generalmente subito dopo la vista e prima di olfatto e gusto. E anche se spesso solo inconsciamente, è proprio in quel momento che iniziamo la vera e propria degustazione della nostra cara bevanda.
La mano, le dita che avvinghiano spesso avidamente il bicchiere non svolgono infatti solo una funzione prettamente meccanica, ma comunicano al nostro cervello e, per i più romantici, al nostro animo, determinate sensazioni, che parlano già del contenuto, di ciò che ci apprestiamo a bere.
.
.
Da questo punto di vista, la scelta del bicchiere corretto in base alla tipologia di birra assume un ruolo ancora più determinante. Immaginiamo anche solo l’impronta che dà ai nostri sensi, nella percezione pre-bevuta, un seidel tedesco o un qualsivoglia boccale con manico: impugnare siffatta tipologia di bicchiere ci porta automaticamente a pensare che non stiamo per approcciarci ad una birra fatta per essere scomposta in interminabili sorsetti alla ricerca di sfumature e richiami gustativi più o meno arditi. Quel manico robusto, quel vetro pesante, ci hanno già abbondantemente spiegato che quella che abbiamo fra le mani è birra da birre “a secchi”, birra che va apprezzata non tanto per la sua complessità, quanto per la sua schietta capacità di dissetarci.
Come per le sensazioni gustative ed olfattive, anche per le sensazioni tattili gioca ovviamente un ruolo fondamentale il retaggio culturale del bevitore così come la storia e spesso i luoghi comuni del “contenitore”: il più classico dei boccali, magari in formato extra-large, da Oktoberfest è fin troppo facilmente riconducibile a determinate tipologie di birre e contesti di bevuta. Se poi al posto del vetro impugniamo della ceramica, sentirsi catapultati indietro nel tempo di un paio di secoli, in qualche taverna dell’Europa centrale, è questione quasi naturale.
.
.
Analizzando quindi un esempio diametralmente opposto a quello appena citato, ci rendiamo conto di come cambi il nostro atteggiamento e il nostro approccio nei confronti di ciò che beviamo già solo nell’entrare in con-tatto col bicchiere: pensiamo al ballon o balloon, un bicchiere che già solo a tenerlo tra le dita può dire molto su ciò che ci approcciamo a bere. Il suo vetro leggero, quasi fragile sa di finezza e ricercatezza, così come lo stelo e il piede ci invitano non tanto ad impugnarlo, ma a sostenerlo con ossequiosa delicatezza e premura. La posizione della mano è quella che ci rammenta scene auliche di signorotti ben vestiti intenti a disquisire di geopolitica (o più semplicemente di raffinate frivolezze) mentre sorseggiano dell’ottimo brandy tra il fuoco di un immenso camino e trofei di caccia. Insomma, ci sentiamo anche noi “umili” bevitori di birra un po’ più nobili mentre avviciniamo al nostro naso un barley wine o un’imperial stout con quella posa e quel bicchiere così evocativi.
Continuando nel novero della casistica potremmo parlare delle colonne coniche, che accolgono le nostre dita con la loro fredda condensa, indispensabile preludio ad un’ottima e rinfrancante pilsner. Mentre, al contrario, ci ritrarremmo al contatto di una pinta “Nonick” grondante quella stessa condensa tanto apprezzata nell’esempio precedente, attendendoci invece un rassicurante asciutto accompagnato dalla sensazione quasi tiepida del vetro liscio, preludio tattile imprescindibile per le ales tipicamente anglosassoni. D’altra parte la giusta (o meno) temperatura di servizio di una birra la si giudica già quando il bicchiere è tra le nostre mani.
.
.
E questo solo per quanto riguarda le sensazioni del tatto relative alle nostre estremità. C’è poi il novero di tutte quelle relative alle labbra e alla bocca, certamente molto più battute dalla letteratura birraria. Dalla soffice carezza della schiuma sulle labbra, immancabile per alcuni stili (dando per scontata una giusta spillatura), alle sensazioni palatali di frizzantezza, astringenza, secchezza, morbidezza, pienezza e leggerezza, che si muovono di pari passo con gli stimoli gustativi e olfattivi, concorrendo a rendere completa e appagante (si spera) l’esperienza della bevuta.
Insomma, lungi dal voler consigliare di infilare le dita nella pinta che abbiamo ordinato al pub, il tatto rappresenta una componente tanto importante quanto spesso sottovalutata nella degustazione della birra, una componente che pur parlando sottovoce ha spesso molte e molto importanti cose da dire.