Brouwerij Van Honsebrouck

Tratto da La birra nel mondo, Volume V, di Antonio Mennella-Meligrana Editore

Emelgem/Belgio
Impresa birraria, a conduzione familiare, delle Fiandre Occidentali.
Amandus van Honsebrouck, nato nel 1811, possedeva una fattoria, con caseificio, birrificio e distilleria, nel villaggio di Werken, di cui era sindaco. Alla sua morte improvvisa, nel 1865, gli succedette, sia come birraio che come sindaco, il ventunenne Emile, uno dei 10 figli.
Col trasferimento di Emile nella fattoria di famiglia, cominciarono i dissidi tra la madre e la moglie, Louise de Poorter. Alla fine la coppia, decisa ad aprire una propria birreria, lasciò il villaggio e si trasferì nella modesta fattoria alla periferia di Ingelmunster dove era nata Louise. Sorgeva così, nel 1900, la Brouwerij Sint Jozef.
Toccò quindi a due dei loro cinque figli, Paul e Ernest, il difficile compito di rimettere in piedi, nel 1922, il birrificio distrutto durante la prima guerra mondiale. Ma l’ambizione dei fratelli Van Honsebrouck andò ben oltre. Nel 1930 costruirono un nuovo birrificio di quattro piani. Nel 1939, per portare al massimo l’espansione, stipularono un vantaggiosissimo accordo con un imprenditore edile: subito, metà in contanti; il resto, “in natura” (cioè con la birra). Dopo la seconda guerra mondiale, s’impegnarono seriamente nell’ambito delle esportazioni.
Purtroppo, nel 1953, Paul si ammalò gravemente, e il fratello non aveva figli. Quindi spettava a uno dei suoi sette figli più grandi accollarsi il peso dell’azienda. Si fece avanti Luc che, prima però andò a Wuppertal, in Germania, a imparare il mestiere di birraio e a fare lo stage presso la Wicküler-Küpper-Brauerei.
Nel 1956, resosi conto che il piccolo birrificio Sint Jozef non era in grado di competere con i grandi produttori, Luc decise di abbandonare le anonime lager per concentrarsi sulla tipica ale marrone fiamminga, che chiamò Bacchus, per il sapore simile a quello del vino; mentre diede al birrificio il nuovo nome di Brouwerij Van Honsebrouck.
Contemporaneamente, firmò un accordo con la Brouwerij Krüger di Eeklo, nelle Fiandre Orientali (non più in attività dal 1992). Nei propri locali, Krüger, abrebbe venduto la Bacchus e, Van Honsebrouck, la sua pils.
Chiaramente, la Bacchus ebbe una richiesta di gran lunga maggiore. Addirittura arrivò la sua fortuna nel 1975, allorché la Rodenbach non fu più in grado di tenere il passo con la domanda esponenziale della propria oud bruin. E, nel giro di pochi anni, la produzione della Bacchus raggiunse il 25 mila ettolitri annui.
Ma facciamo un passo indietro. Il successo della Bacchus indusse, nel 1957, a creare una seconda birra speciale, la gueuze. E, poiché Imgelmunster è a circa 100 chilometri dalla prodigiosa valle della Senne, Luc comprò da Van Haelen Frères di Uccle un piccolo lotto di mosto che, in una vasca di raffreddamento, era stato “infettato” dai batteri selvatici dell’aria.
I batteri non vengono soltanto dall’aria. E, aggiungendo la piccola quantità di mosto portata da Uccle alle botti in cui stava maturando Bacchus, Luc riuscì a produrre abbastanza lambic per creare la St-Louis Gueuze e la St-Louis Kriek che, uscite sul mercato l’anno dopo, si rivelarono un vero successo. Lanciandola quindi alla spina, nel 1978, Van Honsebrouck divenne il secondo produttore nazionale della gueuze. Ancora oggi continua a produrre il mosto con la fermentazione spontanea in vasche aperte ed etichetta sempre i suoi prodotti come gueuze e lambic sebbene si trovi ben al di fuori dei confini del Pajiottenland.
Le birre speciali guadagnavano ormai popolarità in tutto il Paese, e Luc non rimase certo a guardare. Nel 1983 lanciò quindi una nuova birra, la Brigand Belgian Ale.
Gli affari andavano così bene che la famiglia Van Honsebrouck, nel 1986, poté permettersi il lusso di acquistare il castello di Ingelmunster. Edificato come roccaforte nel 1075 da Robrecht de Fries, conte delle Fiandre, sulle rovine di un vecchio monastero di monaci inglesi, nel corso dei secoli il castello era passato attraverso molte nobili famiglie tedesche, francesi, belghe e olandesi, finché, nel 1736, era stato trasformato in una lussuosa dimora di campagna.
Tre anni dopo compariva sul mercato una nuova gamma di birre (Kasteel, d’ispirazione abbaziale), a celebrare l’acquisizione dell’imponente immobile, le cui cantine vengono tuttora adoperate per la maturazione dei fusti.
Nel 2009 le redini del birrificio passarono nelle mani di Xavier (della quinta generazione Van Honsebrouck), subito rivelatosi non men ambizioso del padre. Nel 2016, nel vicino villaggio di Emelgem (comune indipendente fin al 1964, quando divenne frazione di Izegem) veniva inaugurato un nuovissimo birrificio con la capacità produttiva di 250 mila ettolitri. Praticamente, una serie di birrerie, dotate di tecnologia all’avanguardia per la produzione di birre ad alta fermentazione, a fermentazione spontanea e a fermentazione mista. E non solo. C’è un ristorante coi piatti a base di birra; c’è il pub Michelle con gli spuntini in combinazione con tutte le birre; c’è la boutique della birra, per l’acquisto di birre, gadget e praline di birra; c’è perfino il locale per eventi aziendali o matrimoni.
Mentre Van Honsebrouck fa parte della Belgian Family Brewers, l’associazione noprofit che riunisce le 20 storiche brasserie belghe con un’operatività di almeno 50 anni.
Bacchus Vlaams Oud Bruin, oud bruin di colore marrone con lievi riflessi rossastri e dall’aspetto opaco (g.a. 4,5%). La carbonazione è piuttosto bassa; la schiuma beige, enorme, fine, compatta, cremosa, di notevole stabilità. L’aroma si apre, con moderazione ma straordinaria pulizia, all’insegna dell’affumicatura; seguono, intensificandosi progressivamente, sentori di malto tostato, biscotto, lievito, caramello, banana, zucchero di canna, mandorla, frutti di bosco; chiude il percorso la stessa affumicatura, con un ritorno ben deciso e vibrante, peraltro spalleggiata da richiami di legno e vaniglia, da una sottile traccia di liquore, da qualche tocco acetico e di luppolo. Il corpo leggero dispone anche di una buona consistenza acquosa. L’accentuata acidità del gusto viene sufficientemente compensata dalla dolcezza del malto e della frutta, portando a un brioso finale agrodolce. Persistenti sensazioni aspre esalano da un retrolfatto fruttato e legnoso.
St. Louis Kriek, kriek di colore rosso rubino scuro, quasi marrone, e dall’aspetto confuso (g.a. 4%, in precedenza 4,5%, all’origine 5%). Prodotta con l’aggiunta del 15% di ciliege e successiva maturazione per almeno 6 mesi in botti di rovere. Con una morbida effervescenza, la schiuma, di un rosa pallido, fuoriesce alta, soffice, cremosa, ma scarsa in quantità e durata. L’olfatto è caratterizzato dal profumo netto e insistente di ciliegia, con toni agrodolci fomentati da indizi di vaniglia e nocciolo di mandorla che spirano dal sottofondo. Il corpo medio tende al leggero, in una consistenza un po’ acquosa. Il gusto, frizzantino, armonioso e acidulo, scorre ritmicamente tra note aromatiche di ciliegia e zucchero candito. La secchezza del finale ripulisce il palato dei residui dolci della frutta, e lascia alle sensazioni aspre e amarognole del retrolfatto il compito di un commiato indimenticabile.
Brigand Belgian Ale, belgian strong golden ale di colore biondo dorato e dall’aspetto leggermente velato (g.a. 9%); rifermentata in bottiglia. Il nome è un riferimento alla rivolta dei contadini di Ingelmunster contro i sans culottes francesi del 1798 nella vicina Hulste. Fu lanciata, facendosi presto un seguito di cultori, nel 1980 per soddisfare la crescente richiesta di mercato delle birre chiare e dall’alta gradazione alcolica. Nacque però ambrata, schiarendosi successivamente per l’utilizzo di malti pale e grano non maltato. Il luppolo Saaz invece interviene anche in dry hopping. La commercializzazione avviene dopo sei mesi di maturazione. Con una vivace effervescenza, la cremosa schiuma bianca prorompe a grana minuta e di buona stabilità, ma non così generosa. L’elevato grado alcolico, si avverte già al primo impatto olfattivo. Il luppolo Saaz emette un aroma alquanto pungente; mentre le note acide che lo accompagnano ricordano la gueuze. Il corpo medio ha una consistenza un po’ appiccicosa. Il gusto, che peraltro matura con l’invecchiamento, si mostra morbido e parecchio marcato dal malto che trova nell’etanolo un valido supporto. Un forte amaro segna il lungo finale, già preannunciato da note piccanti. Suggestioni fruttate caratterizzano la ricchezza retrolfattiva di sufficiente persistenza. La scadenza indicata in etichetta è di due anni. Del resto non è una birra prodotta per essere conservata in cantina.
Kasteel Tripel, tripel di colore giallo dorato cristallino (g.a. 11%); rifermentata in bottiglia, pastorizzata, centrifugata e filtrata. Nata come Kasteel Blond, venne ribattezzata Tripel con la produzione della Blond dal tenore alcolico inferiore. La carbonazione è piuttosto sostenuta; la schiuma bianca, enorme, sottile, cremosa, di lunga durata. L’aroma si estrinseca leggermente dolce e in maniera, più che tenue, delicata, con profumi di malto, frutta sotto spirito, miele, lievito speziato, sospinti da un discreto sherry. Il corpo medio ha una consistenza morbida, quasi cremosa. Gli stessi elementi avvertiti al naso ritornano nel gusto, infervorati sempre più dall’alcol con l’innalzamento della temperatura della birra; mentre, tra le ondate di vaniglia, comincia a emergere qualche nota floreale. Il finale asciuga compiutamente il palato, preparandolo a una lunga persistenza retrolfattiva calda, amabile, speziata. Grazie all’elevata gradazione alcolica, questo prodotto può essere conservato per un tempo considerevole, mentre la casa lo promuove come birra da degustazione.
Kasteel Cuvée du Château, belgian strong dark ale color tonaca di frate e dall’aspetto molto torbido (g.a. 11%). La Kasteel Donker, altra strong ale della stessa gradazione alcolica, dopo 10 anni d’invecchiamento nelle cantine sotterranee del castello di Ingelmunster, manifestava straordinarie note di vino liquoroso. Con la sua maestria, nel 2010 il birraio Hans Mehuys riuscì a ottenere, con un processo di fermentazione standard, lo stesso aroma e l’identico gusto senza dover attendere tanto tempo. Con una moderata effervescenza, la schiuma, di un moca sbiadito, mostra tutti i suoi limiti: scarsa, grossolana, evanescente. L’aroma dolciastro sa tanto di malto, frutta candita, prugne secche, biscotto, uva passa, banana, caramello bruciato e, soprattutto, di alcol. Il corpo medio ha una decisa consistenza oleosa. Gli elementi avvertiti al naso ritornano prepotentemente nel gusto, che si rivela subito pieno, forte, dolce, liquoroso, asciugato però, a ogni sorso, dal calore etilico e da qualche segno di ossidazione. Nel finale si avverte una certa astringenza, che si scioglie presto tra le sensazioni amarognole della “sapiente” luppolizzazione. Il produttore ne consiglia il consumo immediato, trattandosi di una birra già più che matura.