Unibroue

Tratto da La birra nel mondo, Volume IV, di Antonio Mennella-Meligrana Editore

Chambly/Canada
André Dion, un entusiasta delle birre belghe che aveva subodorato la potenzialità nel mercato canadese dei prodotti artigianali, decise di aprire un “birrificio da cottage”, di quelli ovvero che in Canada venivano così chiamati per l’esiguo spazio riservato ai macchinari. Come socio, scelse Serge Racine, proprietario di Shermag (azienda produttrice e importatrice leader in Nord America di mobili per la casa di qualità).
All’epoca, purtroppo, nel Québec era molto difficile ottenere il permesso di produrre birra. Allora, approfittando delle difficoltà finanziarie de La Brasserie Massawippi Inc. di Lennoxville, i due soci ne rilevarono, il 75%, nel 1990 e, il resto, alla fine dell’anno successivo, trasferendo la loro partecipazione in essa a Unibroue.
Nel 1992 La Brasserie Massawippi Inc. divenne una consociata interamente di proprietà di Unibroue. Successivamente, cambiò la ragione sociale in Brasserie Broubec Inc. e a luglio del 1993 si fuse con Unibroue sotto il suo nome.
Intanto, nel 1992, Unibroue aveva fatto venire dal Belgio Gino Vantieghem e, con lui a direttore tecnico, non le risultò difficile, durante la prima fase di attività, ottenere la preziosa collaborazione della Riva. Ebbe così inizio la produzione di birre speciali in stile belga di notevole spessore.
Già con la prima, la Blanche de Chambly, nata appunto nel 1992, attirò le attenzioni del cantante e attore canadese Robert Charlebois. Risultato: in cambio di pubblicità fatta in occasione dei suoi spettacoli, Robert otteneva il 20% delle azioni dell’impresa.
L’investimento consentì a Unibroue il trasferimento, nel 1993, da Lennoxville, a Chambly, il trampolino di lancio, prima, per imporsi come leader nello sviluppo e nella commercializzazione di birre speciali nel Québec, poi, per l’esportazione verso la Francia e gli Stati Uniti.
Tra il 1995 e il 1996 fu sestuplicata la capacità produttiva, arrivando a 180 mila ettolitri annui. Nel 1996 le esportazioni in Europa si spostarono, dalla Francia, in Belgio, Germania, Svizzera.
Nel 1999, al posto di Gino Vantieghem, arrivò come consulente Paul Arnott, che aveva collaborato coi trappisti di Chimay. Nel 2003 fu assunto anche Jerry Vietz per iniziare la produzione di distillati.
Il progressivo ma regolare piano di espansione aveva portato anche all’apertura di un ufficio ad Alberta e alla creazione di filiali commerciali sia in Europa che negli Stati Uniti. Insomma Unibroue era arrivata a essere la più grande microbirreria del Quéec, e una delle prime 20 del Nordamerica. Inevitabile quindi che, nel 2004, finisse tra le “grinfie” della Sleeman Breweries, il terzo più grande produttore canadese. Ma, due anni dopo, la Sleeman veniva, a sua volta, acquistata dalla giapponese Sapporo. Nel frattempo, il programma di distillati era stato soppresso, col passaggio di Jerry Vietz a head brewer.
Nel contesto dei birrifici artigianali canadesi, la Unibroue si esalta per la proposta di ale che combinano a meraviglia l’arte brassicola del Continente Antico con stili del tutto singolari. Mentre alcuni metodi di fabbricazione, nonché nomi di birre, si rifanno alle leggende e all’eredità culturale del Paese.
Condizionate in bottiglia, le birre raggiungono un grado alcolico sostenuto senza compromettere il gusto. Non solo, mantengono la conservabilità per arrivare negli Stati Uniti e in Europa. Anche considerando che, per l’isolamento a causa del ghiaccio, da dicembre a marzo sono sospese le esportazioni. Il leggero filtraggio invece consente, a sua volta, la sopravvivenza delle proteine e di parte del lievito che rimane depositato sul fondo della bottiglia. E, poiché i lieviti contribuiscono massimamente allo sviluppo delle sfumature gustative che danno alla birra la sua personalità, Unibroue per ognuna delle proprie birre usa lieviti specifici, a volte diversi per la prima e la seconda fermentazione. Così come, per la degustazione di ogni birra, ha disegnato un bicchiere diverso.
Innumerevoli le medaglie, d’argento, d’oro, anche di platino, raccolte nelle edizioni dei World Beer Championships.
Unibroue Blanche de Chambly, witbier di colore giallo paglia e dall’aspetto opalescente (g.a. 5%). La prima birra bianca prodotta in stile belga nell’America del Nord, non poteva non prendere, secondo la tradizione belga appunto, il nome della città di produzione, con Fort Chambly in etichetta. Nel 1996 fu dichiarata, dall’Istituto di analisi delle bevande di Chicago, “La migliore birra bianca al mondo”; e, da allora, sono piovuti premi e riconoscimenti. Un classico di bière blanche, delicata ed equilibrata nei profumi e nelle note di cereali, è il prodotto più popolare e venduto della casa. Con una carbonazione molto attiva, la schiuma bianca prorompe alta, spessa, cremosa, di notevole tenuta e aderenza. L’aroma, del tutto singolare, libera profumi terrosi e agrumati con insistenti spunti speziati (in particolare, scorza di arancia essiccata, semi di coriandolo e, soprattutto, lievito espressivo e delicatamente rustico e pungente). Il corpo, medio-leggero, ha una buona consistenza acquosa. Il gusto, aspro, vivace e secco, con alcuni accenni di banana e gomma da masticare, inebria con le sue intense note profumate di arancia e di limone; intanto che la base di grano fornisce freschezza e sapidità. Il finale, abbastanza corto, un po’ etilico, fruttato e blandamente tannico, introduce un discreto retrolfatto che si estrinseca in un connubio tra sensazioni dolci, speziate e citriche.
Unibroue La Fin du Monde, tripel di colore oro carico e dall’aspetto alquanto intorbidato dai lieviti in sospensione (g.a. 9%). Prima interpretazione perfetta dello stile tripel delle abbazie belghe in terra d’America, utilizza, tra gli ingredienti speciali, malto di grano, zucchero candito, coriandolo e scorza d’arancia. Fu lanciata sul mercato canadese a febbraio 1994, dopo 18 mesi di ricerche. L’etichetta commemora l’arrivo dei primi esploratori europei, che erano convinti di essere giunti “in capo al mondo”, da cui il nome. A partire dal 2006 ha ottenuto i più alti riconoscimenti mondiali rispetto a qualsiasi altra birra canadese. Con una carbonazione attiva, quasi da champagne, la schiuma bianchissima prorompe ricca e sottile, compatta e cremosa, di notevole tenuta e aderenza, lasciando addirittura fini merletti alle pareti del bicchiere. L’aroma, intenso, vivace, di elegante finezza, si spande maltato (con punte fruttate, di mela, pera, pesca, banana, uva, mango, ananas), citrico (agrumi), speziato (pepe bianco, curaçao, chiodi di garofano, semi di coriandolo), fenolico (resina), medicinale (erbe officinali); a parte sentori meno evidenti, di pane, miele, lievito belga, anice stellato, fiori bianchi. Il corpo, consistente, fa solo intuire la sua vigoria alcolica, in una trama oleosa, pressoché appiccicosa. Il gusto, pieno, animato, defluisce con un certo orientamento al dolce stemperato però dalle sottili note speziate già avvertite all’olfatto. Il forte finale agrodolce è attraversato da una venatura acidula con una punta amaricante da luppolo appena accennata. Soltanto un velo di tepore etilico, che riporta alla frutta sotto spirito, accompagna la lunga persistenza retrolfattiva in cui si esalta l’equilibrio tra l’amaro di mandorla ed erbe a contrasto con suggestioni cremose e di banana.
Unibroue Maudite, dubbel di colore ambrato con riflessi oro antico e dall’aspetto quasi limpido se versata nella maniera corretta (g.a. 8%). È una buona interpretazione, anche se enfatizzata, della Duvel: il nome significa infatti “maledetta”. Nel novembre 1992, fu la prima birra forte a essere distribuita nei negozi di alimentari del Québec. La carbonazione è abbastanza sostenuta; la schiuma ocra, sottile, compatta, quasi cremosa, di buona tenuta ma non di così spessa allacciatura. L’aroma si apre con le redini in mano a frutta secca, biscotto, caramello, zucchero candito, che strozzano sul nascere i peraltro timidi sentori di luppolo e malto chiaro; poi prende l’abbrivo un luppolo speziato il quale, sempre più invadente, finisce per diventare l’incontrastato dominatore. Il corpo robusto libera sensazioni di calore che avvolgono deliziosamente il palato. Nel sapore, amabile e speziato, note di frutta matura conferiscono una singolare pastosità. Verso il finale si leva una punta aspra di erbe che apporta una certa astringenza. Speziato e secco, il retrolfatto esprime tutto il calore della frutta sotto spirito. Con il gusto in evoluzione, il prodotto può essere conservato a temperatura di cantina fin a cinque anni. Mentre, nel versarlo, i sedimenti di lievito devono rimanere sul fondo della bottiglia.
Unibroue Raftman, rauchbier di colore ambrato e dall’aspetto confuso (g.a. 5,5%). Fu una delle prime birre del Québec a usare il malto di whisky, nel 1995, con l’intento di ricordare il duro lavoro dei boscaioli canadesi: dopo una giornata a tagliare alberi, che la corrente del fiume San Lorenzo trasportava verso le segherie, si concedevano un meritato boccale di birra, magari accompagnandolo con un sorso di whisky. E, nello stesso anno, vinse la medaglia d’oro al Chicago Beverage Testing Institute. La carbonazione è moderata; la schiuma biancastra, enorme, spessa, cremosa, tenace, di ottima aderenza. Malto tostato e torba si distinguono nettamente in un olfatto pieno di caramello, mele rosse, cereali, erbe, sidro, fichi, zucchero di canna, pan di zenzero, coriandolo, lievito speziato; intanto che, dal sottofondo, si leva qualche accenno floreale e acido, insieme a un alito di whisky. Il corpo medio ha una consisternza spessa e cremosa. Il gusto, floreale e piuttosto muschiato all’inizio, si apre man mano in un leggero amaro che interessa gli angoli della bocca, mentre il centro è pervaso da sapori dolci di mela e uva passa. Solo con l’innalzamento della temperatura viene fuori una nota di scorza di limone. E si arriva, così, a un finale secco con una lieve astringenza speziata. Il retrolfatto si trasforma principalmente in pan di zenzero, per esaurirsi in un delicato amarore, quando tutte le sensazioni hanno già cominciato a svanire lentamente. E’, questo, un prodotto ideale per la conservazione fin a due anni, a temperatura di cantina.
Unibroue Don de Dieu, belgian strong golden ale di colore biondo con riflessi dorati e dall’aspetto a malapena velato (g.a. 9%). Un’elaborazione del 1998, che il produttore definisce “triple wheat”, in quanto a tripla fermentazione, l’ultima in bottiglia. Mentre la ricetta prevede aggiunta di frumento, anche maltato, zucchero e spezie. Porta il nome (“Dono di Dio”) della nave capitanata dall’esploratore francese Samuel de Champlain il quale, nel 1608, fondò Québec City nel luogo dove prima sorgeva un insediamento indigeno chiamato Stadacona. La carbonazione è abbastanza elevata; la schiuma bianca, esuberante, compatta, cremosa, particolarmente tenace e aderente. L’olfatto è dominato da un lievito speziato, alla cui ombra spirano dolci sentori di zucchero a velo e frutta candita; intanto che dal sottofondo fanno capolino indizi di grano, biscotti, crosta di pane, mela gialla, uva passa, banana matura. Il corpo medio appare in una morbida consistenza cremosa. Il gusto ripropone gli stessi elementi avvertiti al naso, con un fondo di mais cotto. L’alcol, molto discreto, si limita ad apportare un piacevole tepore. L’acidità del frumento e l’attenuazione del lievito sopperiscono adeguatamente alla latitanza a oltranza del luppolo. Il finale, all’inizio speziato, volge poi in una secchezza speziata che sfiora l’astringenza. Nella sua lunga persistenza, il retrolfatto ha tutto il tempo per centellinare deliziosamente il suo cordiale calore nelle vesti di frutta sotto spirito.
Stagionale
UnibroueTrois Pistoles, quadrupel color tonaca di frate tendente all’ebano e dall’aspetto opaco (g.a. 9%); adatta ai mesi invernali. Fu elaborata nel 1997 col nome che vuol dire “tre pistole” alludendo alla sua forza. Utilizza malti tostati. È una birra, in stile abbaziale, ricca, vigorosa e vellutata, nonché dolce e inebriante. La carbonazione è molto attiva; la schiuma ecru, ricca, spessa, cremosa, di pregevole tenuta e aderenza. Nella sua elegante complessità, l’aroma propone caramello e malto scuro, mela e pera, biscotto e zucchero candito, uva passa e prugna, melassa e cioccolata, legno ed esteri di lievito, miele e liquirizia: il tutto infervorato da zenzero e chiodi di garofano, rum e ciliege sotto spirito; intanto che da lontano arriva qualche alito erbaceo di luppolo muschiato. Il corpo ha la struttura di un’autentica abbazia belga, capace di tenere imbrigliato in sottofondo il prorompente vigore alcolico. Il gusto intenso di malto tostato, morbido e pastoso, dopo l’inizio alquanto dolce ma asciutto, volge verso note pungenti e amarognole di luppolo che bilanciano delicatamente la frutta scura e frenano la dolcezza degli zuccheri. Il finale è un inno all’amabilità dei frutti di bosco, esaltata altresì da note di porto invecchiato. La persistenza retrolfattiva si dilunga invece in suggestioni amarognole, decisamente secche ma piacevoli. Un prodotto, questo, che si conserva in cantina tra i 10 e i 15 anni, migliorando notevolmente con l’età.