Tratto da La birra nel mondo, Volume IV, di Antonio Mennella-Meligrana Editore
Gottem/Belgio
Il birrificio più piccolo del Paeses, ha sede in un quartiere di Deinze, nelle Fiandre Orientali.
Piet Meirhaeghe (alias “Doctor Canarus”) iniziò con l’homebrewing nel 1988. Da Astene, nel 1993 si trasferì a Gottem, dove conobbe uno dei direttori della Riva, venendo assunto due settimane dopo.
Non smise, comunque, di promuovere e pubblicizzare le proprie birre che elaborava la mattina presto, prima di recarsi in fabbrica.
A lungo andare, la cosa cominciò a dar fastidio ai suoi datori di lavoro. Ma Piet fece presto a levar l’incomodo. Nel 1999 acquistò un casolare vicino alla chiesa di Gottem, lo ristrutturò e, in una parte del fabbricato, installò il proprio birrificio, utilizzando un bollitore desueto che aveva ottenuto dalla Riva, nonché altre attrezzature recuperate dall’usato. Nasceva così, nel 2002, Sint Canarus. Pare che il nome sia una parodia del motto dei vigili del fuoco di Deinze: il loro Semper paratus (“Sempre pronti”) divenne, nel dialetto locale, Sint canarus ovvero “Sempre ubriaco”.
E, quando la capacità produttiva del birrificio diventò insufficiente a soddisfare tutte le richieste, Piet ricorse all’outsourcing.
Sint Canarus Tripel, abbazia tripel di colore oro antico e dall’aspetto leggermente velato (g.a. 7,5%); rifermentata in bottiglia. È il cavallo di battaglia dell’azienda, tuttora brassata, secondo la ricetta del 2001, con tripla quantità di luppolo di Poperinge; ma presso gli impianti di De Proefbrouwerij. Originariamente chiamata Semper Canarus, prese in seguito il nome attuale. La carbonazione è abbastanza sostenuta; la schiuma bianca, abbondante, sottile, cremosa, tenace. Malto, pesca gialla, miele, polpa d’arancia, albicocca, caramello, pane, lievito belga, compongono un bouquet olfattivo di attraente finezza, al calore etilico e con sentori di luppolo floreale che spirano dal fondo. Il corpo medio ha la tipica trama a chiazza di petrolio. Moderata dolcezza, opportuno amarore, media secchezza, delicata speziatura, lieve acidità da pesca acerba, giusto riscaldamento alcolico, sono invece i componenti di un esemplare equilibrio gustativo. Il finale si presenta in una piacevole consistenza agrodolce, con agrumi e frutta matura. Piuttosto abboccato e caldo risulta, a sua volta, il retrolfatto, dalle lunghe sensazioni di vaniglia e frutta sotto spirito.
De Maeght van Gottem, belgian ale di colore dorato tendente all’arancio e dall’aspetto opaco (g.a. 6,5%); rifermentata in bottiglia. “La Vergine di Gottem” nacque nel 2011, con il tasso alcolico del 7%, ridotto in seguito; e il nome senza articolo (Maeght van Gottem), aggiunto con la nuova etichetta. Già, l’etichetta originaria era bianca, con un testo sopra. Poi vi comparve una “vergine” vestita di un verde cono di luppolo, interpretazione del vincitore del concorso per il design, Bart Simoens, dell’agenzia di stampa e web design Seamoose. Ma la birra è diventata famosa soprattutto per contenere, conficcato nel collo della bottiglia, un cono di luppolo che, facendo da dry hopping, garantisce, non solo un forte aroma di luppolo, anche una forte schiuma. Pertanto, l’apertura della bottiglia e il versamento devono essere fatti rapidamente. E, con una carbonazione così vivace, la schiuma biancastra sprizza piuttosto scomposta, anche se ricca, pannosa, di buona durata. Ovviamente, date le premesse, ci si aspetta un’autentica esplosione del rampicante; invece non è così. Il birraio è un belga puro sangue, che non ha ceduto passivamente alla moda americana. Luppolo, sì, ma con criterio… equilibrio. Ed ecco venir fuori un aroma delicato, fresco, pulito: biscotto, pane, frutta secca, vaniglia, di qua e di là, agrumi, erba, lievito belga, luppolo floreale. Il corpo oscilla tra il medio e il leggero, in una consistenza alquanto cremosa e secca. Anche il gusto si presenta in una complessità armonica e perfettamente bilanciata: una lieve dolcezza e un amaro piacevole, un moderato fruttato e un sottile erbaceo, una punta di acidità e un tocco di spezie. Sembrano venire da un altro mondo invece finale e retrolfatto: luppolizzato, fruttato e amaro, il primo e il secondo, maltato, lievitoso, speziato.