Tratto da La birra nel mondo, Volume IV, di Antonio Mennella-Meligrana Editore
Bellaire, Michigan/USA
Terminato il triennio alla Western Michican University, Joe Short cominciò a lavorare in alcuni birrifici del Michigan settentrionale. Nel 2014 aprì un piccolo brewpub in un vecchio negozio di ferramenta da lui stesso ristrutturato. Nel 2005 entrò in società l’amica Leah (che diventerà poi la moglie); l’anno dopo si aggregò anche un loro amico comune, Scott Newman-Bale, proveniente dal settore immobiliare.
Nel 2009, con Tony Hansen, responsabile della produzione, fu inaugurato il birrificio di Ek Rapids. L’anno successivo riapriva anche il brewpub, completamente ristrutturato con 500 posti a sedere.
Nel 2017 la Short’s cedette il 19,9% alla californiana Lagunitas Brewing Company, una sussidiaria di Heineken International.
Short’s Huma Lupa Licious, india pale ale di colore oro antico con riflessi aranciati e dall’aspetto lievemente velato (g.a. 7,7%). Originariamente, si chiamava Humulus Lupulus Maximus, con riferimento al nome scientifico del rampicante, Humulus lupulus; mentre la ricetta attuale ha subito nel tempo diversi cambiamenti. È la flagship IPA della casa che, con il suo tasso alcolico, si pone ai confini della double. Utilizza cinque varietà di luppolo: Centennial, Columbus, Chinook, Cascade e Palisade. L’etichetta invece è opera dell’artista Fritz Horstman. Con una moderata effervescenza, la spuma bianchiccia, ricca, fine, cremosa, ostenta tenacia e aderenza. L’aroma è un intenso, pulito, fresco, pot-pourri di profumi floreali, resinosi, agrumati, terrosi; con richiami, dal fondo, di sentori caramellati e di malto a malapena tostato. Inaspettatamente, il corpo medio tende più al sottile che al pieno, in una consistenza oleosa alquato untuosa. Una solida base di biscotto e caramello contrasta efficacemente l’ondata amara dei luppoli per tutta la lunga durata del percorso: e l’equilibrio non dà il minimo segno di cedimento. Ma, nel finale, l’amarore si sbriglia e diventa persino pungente, con proterve note di resina e di terra. Il retrolfatto cerca di riportare un certo bilanciamento, ma non riesce ad andare oltre l’amarognolo con algide impressioni mentolate.