Tratto da La birra nel mondo, Volume III, di Antonio Mennella-Meligrana Editore
Dublino/Irlanda
Catena di pub con sede in Irlanda, a Londra e a NewYork.
All’inizio del secolo XIX l’Irlanda contava oltre 200 fabbriche che producevano una vasta gamma di birre irlandesi. Nel corso del secolo successivo il numero diminuì rapidamente per il processo di concentrazione; e oggi ne son rimaste soltanto 12, tra microbirrifici e brewpub.
Ed ecco che, nel 1989, i cugini Liam La Hart e Oliver Hughes comprarono un edificio fatiscente a Bray, nella contea di Wicklow, e aprirono The Porterhouse Inn, un brewpub con una locanda di 16 stanze. Nel tempo seguirirono altre aperture: nel 1996, The Porterhouse Temple Bar, in Parliament Street, Dublino; nel 2000, The Porterhouse Covent Garden, a Covent Garden, Londra; nel 2004, The Porterhouse North, a Glasnevin, Dublino (chiusa nel 2016); nel 2006, The Porterhouse Central, in Nassau Street, sempre a Dublino; nel 2011, Porterhouse at Fraunces Tavern, in Pearl Street, New York.
Oggi, tutte le Porterhouse della catena servono classiche birre irlandesi artigianali, ma tutte prodotte nel birrificio di Ballycoolin, zona industriale a nord di Dublino.
Porterhouse Oyster Stout, oyster stout di colore nero impenetrabile (g.a. 5,2%); il prodotto di punta. Probabilmente, è l’unica birra che utilizza ancora le ostriche fresche, sgusciate e aggiunte nel tino di fermentazione. Con un’effervescenza piuttosto bassa, la schiuma marroncina sbocca ricca e finissima, compatta e pannosa, nonché durevole ma di scarsa allacciatura. Di carattere aromatico dalle diverse varietà di luppoli utilizzati, il naso spiffera, in successione, sentori di malti tostati, cenere, fumo, caffè, frutti scuri, cioccolato amaro, nocciola, liquirizia, e, su tutti, quello di sale marino. Il corpo medio ha una consistenza leggermente cremosa. Nel gusto, malto torrefatto, lievito, caffè, liquirizia, allestiscono la base dolciastra, con venaure fruttate, per il sapore delle ostriche che contrastano l’amarore del rampicante e rendono la bevuta vellutata, spedita, scorrevole. Nel finale non si fa attendere la nota acida del caffè e delle tostature, ad apportare freschezza e aggiungere brio. La persistenza retrolfattiva è sufficiente per poter riproporre, a proprio agio, particolari impressioni di salinità piacevolmente amare.
Porterhouse Plain Porter, dry stout di colore nero e dall’aspetto opaco (g.a. 4,3%); altro prodotto di punta. La carbonazione tende a rimanere nei limiti della media; la spuma cappuccino si alza spessa, cremosa, di sufficiente persistenza. L’olfatto sprigiona profumi tostati, accompagnati da sentori dolci e speziati, di caffè e tabacco, di fumo e agrumi, di liquirizia e uva sultanina. Il corpo risulta piuttosto sottile, e di consistenza acquosa. Nel gusto, ottimamente bilanciato tra dolce e amaro, spiccano note di malto, cioccolato, tostature, liquirizia, frutta, nocciolato; in completa assenza di acidità. Il finale si esibisce in un rude amarore secco, a base di terra, pepe, tabacco. Nel retrolfatto le corte impressioni di malto risultano decisamente gradevoli.