Tratto da La birra nel mondo, Volume III, di Antonio Mennella-Meligrana Editore
Seattle, Washington/USA
Nel 1989, in un edificio adibito precedentemente a casa di tolleranza, sorse Pike Place Brewing Company, prendendo il nome dal Pike Place Market accanto, uno dei più antichi mercati per piccoli agricoltori, artigiani e commercianti. Fu opera del titolare della compagnia d’importazione Merchant du Vin, Charles Finkel, insieme alla moglie, Rose Ann.
Presto la domanda crescente su tutto il territorio nazionale indusse l’azienda a concedere licenze di produzione per la sua birra di punta, Pike Place Ale, alla Catamount, sulla East Coast, e alla Indianapolis, nel Midwest.
Nel 1996 la Pike Place Brewing Company inaugurò un nuovo stabilimento con pub annesso, The Pike Pub, che serve piatti locali abbinabili con le birre della casa. Ma, essendosi allontanata dal Pike Place Market, prese il nome senza Place, ovvero Pike Brewing Company.
Charles Finkel ha un doppio merito: prima, quello di aver diffuso, con gli ingenti quantitativi fatti arrivare dall’Europa, la conoscenza delle birre classiche negli Stati Uniti; poi, quello di aver elaborato artigianalmente gli stessi prodotti che figurano, per la loro autenticità, tra i migliori sul mercato americano.
Le etichette delle birre sono disegnate da Charles stesso, riconosciuto a livello internazionale per le sue etichette iconiche, in particolare per l’inglese Samuel Smith e la tedesca Aying.
Pike Place Ale, american pale ale di colore arancio dorato (g.a. 5%). La prima elaborazione, e una delle migliori interpretazioni americane dello stile inglese. È stata reintrodotta, in versione aggiornata, nel 2016 sostituendo il malto inglese Maris Otter con quello d’Alba coltivato nella vicina Skagit Valley. È rimasto invariato invece il luppolo della Yakima Valley. Con una moderata effervescenza, la schiuma bianchiccia si riversa sottile, vaporosa, compatta, lasciando anche un buon pizzo. La finezza olfattiva risulta gradevole, a base di malto dolce e granuloso, caramello, fiori, luppolo legnoso, agrumi, frutta matura, pino, crosta di pane. Il corpo medio tende al leggero, in una consistenza pressoché acquosa. Di notevole interesse appare l’equilibrio gustativo, tra la pulita morbidezza del cereale e l’amaro elegante del luppolo floreale. La secchezza legnosa del finale è quasi astringente. Il retrolfatto non si prolunga più di tanto nelle sue sensazioni pulite e piacevolmente piccanti che apportano una ventata di freschezza.
Pike XXXXX Stout, stout di colore nero brunastro e dall’aspetto opaco (g.a. 7%); seconda birra della casa, prodotta fin dall’inizio. Combina la secchezza della stout tradizionale irlandese con la forza e il carattere della imperial stout. La carbonazione si mantiene in limiti piuttosto bassi; la schiuma moka sgorga soffice, cremosa, lenta nella dissoluzione e lasciando un modesto pizzo al vetro. L’aroma è animato e composito, di un gradevole dolce-terroso, con sentori di malto tostato, cenere, fumo, cioccolato fondente, melassa, caffè espresso, frutta scura, cicoria, liquirizia, caramello bruciato. Il corpo, medio-pieno, ha una vellutata trama fra oleosa e cremosa. Dopo l’attacco amabile, il gusto, pastoso e vivace insieme, propone note sempre più pronunciate e secche di torrefazione, sino ad assumere, nel finale, una consistenza amara e acida. Impressioni di malto tostato e legno bruciato, con infrastruttura ben luppolizzata, animano la lunga persistenza retrolfattiva.
Pike Old Bawdy, barley wine di colore bronzo dorato e dall’aspetto nebuloso (g.a. 10%); un’offerta invernale che invecchia molto bene. Viene elaborato con parte di malto torbato e quattro varietà di luppolo e maturato in botti di rovere. Il nome invece si riferisce all’edificio che ospitava inizialmente la birreria, un tempo bawdy-house “bordello”, per la precisione, l’Hotel La Salle. La produzione annuale, dal 1991 al 1997, è stata ripresa nel 2006. La carbonazione scende ai minimi termini; la schiuma ecru, fuoriesce minuta, scarsa ed evanescente. La finezza olfattiva non può essere proprio definita elegante; ma è senz’altro elevatissima l’intensità. Tra gli aromi che si mettono in maggior evidenza, segnaliamo malto caramellato e luppolo floreale, uva passa e prugna, pane tostato e fumo torboso, resina e legno, terra e cuoio, liquirizia e vaniglia, zenzero e chiodi di garofano. Superfluo annotare la presenza dell’alcol, che si fa sentire, eccome. Nel gusto, la dolcezza del malto e della frutta scura, con sfumature di polpa d’agrumi, si amalgama a meraviglia con l’amaro di un luppolo floreale/erbaceo, sotto l’egida di un’intrigante nota di quercia e a un prorompente calore che ricorda lo scotch whisky. Il finale arriva abbastanza secco e ruvido, smorzandosi in una lunga persistenza retrolfattiva segnata da torba e luppolo terroso.