Tratto da La birra nel mondo, Volume III, di Antonio Mennella-Meligrana Editore
Steenhuffel/Belgio
Grossa azienda col quartier generale in un villaggio del Brabante Fiammingo e dalle origini molto remote.
Già nel 1597, dagli archivi di Steenhuffel risulta, di fronte alla chiesa, un maniero chiamato De Hoorn. Nel 1686 Theodoor Cornet (in fiammingo De Hoorn), direttore del castello di Diepensteyn, cominciò a produrre birra e distillati per la sua locanda, De Hoorn, nonché una birra più pesante (“birra dei conti”) per i signori di Diepensteyn, conti di Maldeghem-Steenhuffel appunto.
Nel 1747, per poter vendere i suoi prodotti anche agli abitanti del villaggio, Anne Cornet costruì una piccola fabbrica di birra ad alta fermentazione in stile brabant, la Brasserie De Hoorn. E infatti un censimento del 1747 riporta l’esistenza, a Steenhuffel, di due birrifici, De Hoorn e De Valck.
Più tardi il birrificio fu rilevato da Jean-Baptiste de Mesmaecker, che divenne anche sindaco di Steenhuffel.
Nel 1908 Henriette de Mesmaecker, pronipote di Jean-Baptiste, sposò Arthur van Roy, discendente di una famiglia di birrai di Wieze.
Arthur van Roy diede il via a un grande sviluppo industriale del birrificio per distribuire i prodotti oltre i confini del villaggio. E creò anche la sua birra, Spéciale Belge.
Nel 1914 la fabbrica fu quasi completamente distrutta dai bombardamenti. Durante la ricostruzione, non potendo investire nella tecnologia di refrigerazione necessaria per produrre le pilsner sempre più popolari, Arthur fu costretto a continuare nell’alta fermentazione. Mentre andava convincendosi sempre più che la sua Spéciale Belge offrisse aroma e gusto più e meglio delle pilsner. E, in segno di vittoria della fermentazione alta su quella bassa, nel 1929 cambiò il nome della Spéciale Belge in Spéciale Palm.
Sfuggito invece alla seconda guerra mondiale, il birrificio cominciò a lavorare per la sua espansione, facilitata dal crescente successo della Spéciale Palm, seguita, nel 1947, dalla Dobbel Palm, creata dal figlio di Arthur, Alfred, per celebrare il bicentenario del birrificio. Una birra festosa, quest’ultima, un po’ più rotonda e che diventerà la birra per le feste natalizie.
Nel 1974 il birrificio cambiò il nome in Brasserie Palm.
Non avendo figli, Alfred lasciò al nipote Jan Toye l’onore e l’onere di continuare la tradizione di famiglia. E, sotto la direzione di Jan, il birrificio assunse un’importanza nazionale, quindi internazionale. Nel 1980 apparve per la prima volta sulle etichette, come logo, il cavallo del Brabante che una volta trainava i carri per il trasporto dei fusti di birra.
Negli anni ’90 arrivò il boom, che portò la Brasserie Palm a essere il più grande birrificio indipendente del Belgio e tra i più grandi produttori di birra artigianale del mondo.
Nel 1990 la Brasserie Palm costituì con la Brouwerij Boon di Lembeek una joint venture per la distribuzione dei suoi prodotti. E, nel 1994, acquistò una quota del 50% dell’azienda.
Tra il 1993 e il 1966 fu restaurato e riportato alla sua bellezza originale il castello di Diepensteyn, acquistato nel 1988.
Nel 1998 fu rilevata la Brouwerij Rodenbach di Roeselare.
Nel 2014 la Brasserie Palm, diventata intanto Palm Breweries, prese una denominazione più appropriata, Palm Belgian Craft Brewers, dal momento che occupava una posizione unica nel panorama della birra, essendo l’unico gruppo di birrifici al mondo a produrre le birre belghe autentiche secondo i quattro antichi metodi di fermentazione (alta, bassa, spontanea e mista) in tre siti storici e specializzati in Belgio: Palm di Steenhuffel, Rodenbach di Roeselare (trattata alla sua voce) e Boon di Lembeek (anch’essa trattata a parte).
Sempre nel 2014, Palm Belgian Craft Brewers restaurò il vecchio birrificio De Hoorn, con una capacità produttiva di 10 ettolitri (corrispondente a quella del primo impianto) e col delicato compito di sperimentare erbe, spezie, luppolo, frutta, legno.
Nel 2016 l’olandese Bavaria Brouwerij N.V. acqusì il 60% di Palm Belgian Craft Brewers, con l’obiettivo di mettere le mani sul restante 40% entro il 2021.
Per quanto riguarda la Brouwerij Boon, la quota del 50% di Frank Boon e famiglia rimase a loro, mentre fu sciolto l’accordo di distribuzione.
Oggi, Palm Belgian Craft Brewers distribuisce la sua produzione annua, di 1 milione 200 mila ettolitri, in tutto il mondo.
Palm Export, belgian ale di color rame chiaro (g.a. 5,2%); conosciuta anche come Palm Spéciale Belge (Belgian Amber). Negli Stati Uniti viene esportata con la denominazione più precisa di Palm Ale. Si tratta di una birra pregiata, ma anche adatta a essere consumata tutti i giorni. Fu lanciata sul mercato belga negli anni ’20 del secolo XX, diventando subito molto popolare. Con un’effervescenza decisa, la spuma bianchiccia si alza non tanto generosa, ma sottile, compatta e durevole. L’olfatto è un po’ dolce, comunque pulito nei suoi profumi fruttati e di malto, speziati e di caramello, con lieve sentore di tostature. Il corpo medio tende al pieno, in una consistenza abbastanza acquosa. Anche il gusto propende per l’amabilità, con venature di malto caramellato, senza però compromettere l’equilibrio, per l’apporto di un amarognolo da luppolo floreale e di erbe secche, nonché di una delicata acidità fruttata. Nel finale, un’impressione vegetale asprigna preannuncia una buona luppolizzazione, peraltro non così amara, dello sfuggente retrolfatto.
Palm Royale, belgian ale di colore ramato e dall’aspetto torbido (g.a. 7,5%); rifermentata in bottiglia. Fu creata, con tre ceppi diversi di lievito, nel 2003 per il 90° compleanno di Alfred van Roy. Con una vivace effervescenza, la schiuma, di un bianco sporco, erompe sottile, generosa, abbastanza durevole. All’olfatto assume subito il ruolo di protagonista un intenso profumo di banana, seguito, come in una specie di processione, da sentori di malto biscotto, frutti di bosco, caramello, pasta di pane, zucchero di canna, erbe aromatiche. Il corpo medio ha una consistenza più oleosa che cremosa. Nel gusto, il dolciastro del miele e del caramello, del mais e del lievito, della frutta matura e dello zucchero candito, si stempera via via tra le intermittenti note aspre di luppolo e secche di spezie. Il calore del finale rammenta il sapore del rum. Nella lunga persistenza retrolfattiva si articolano impressioni acide, amare e vegetali.
Brouwerij De Gouden Boom/Bruges
Nel 1872 Jules Vanneste, un contadino di Oostkamp, rilevò ’t Hamerken (“Il Martello”), una distilleria e malteria che, come, distilleria, viene menzionata già nel 1770.
Nel 1889 Jules iniziò la produzione di birra. Diventata ’t Hamerken la seconda più importante delle 31 birrerie di Bruges, la distilleria venne chiusa. Fu invece, nel 1902, potenziata la malteria.
Alla morte di Jules, nel 1909, subentrò il figlio, Cyriel, che continuò degnamente l’attività del padre. Ma nel 1916 i calderoni di rame furono requisiti dai tedeschi. Due anni dopo la fermentazione riprese in caldaie di ferro.
Intorno al 1930 ’t Hamerken, che produceva una classica birra di alta fermentazione e una gueuze, fece pesanti investimenti per passare alla pilsner. Ma, nel 1940, Jacques Vanneste ritornò alla fermentazione alta.
Nel 1976, non più redditizio, l’impianto di maltaggio fu abolito. Mentre, nel 1983, il birrificio fu rinominato De Gouden Boom (“L’Albero d’Oro”), simbolo della città di Bruges fin dal Medioevo.
Infine, nel 2003, De Gouden Boom passò a Palm Breweries e, l’anno dopo, la sua produzione, solo di ale condizionate in bottiglia, fu trasferita a Steenhuffel. La Malthouse fu conservata come archeologia industriale. Il Museo della Birra invece, che era al suo interno dal 1990, fu trasferito presso la Huisbrouwerij De Halve Maan.
Brugge Tripel, abbazia tripel di colore oro molto scuro e dall’aspetto alquanto torbido (g.a. 8,7%). Prodotta dal 1987 come Brugse Tripel, nel 2004 il nome fu cambiato in Brugge Tripel, in quanto Brugs era diventato un marchio di Alken Maes. È la tradizionale birra della città di Bruges che, ovviamente, utilizza ancora il medievale gruut. Mentre il condizionamento in bottiglia avviene con aggiunta di zucchero e lievito. La carbonazione è decisamente alta; la schiuma bianca, fine e abbondante, rimane fino all’ultimo nel bicchiere disegnando i classici “merletti di Bruxelles”. Nell’intenso aroma di malto, caramello, banana, cioccolato, si notano distintamente sentori fenolici e moderatamente speziati, di anice e lievito, di luppolo e agrumi. Il corpo medio tende allo strutturato, in una consistenza tra burrosa e cremosa. Nel gusto, non potrebbero non comparire le note affumicate e del solito lievito belga, quasi aggressivo, che finiscono per coinvolgere, e sottomettere, l’interferenza amara del luppolo erbaceo e l’acidità fruttata; intanto che il dolce (per fortuna neutro) contenuto alcolico elevato rischia di scomodare la stucchevolezza. Il finale s’intrattiene abbastanza nel suo amarognolo leggermente appiccicoso. A sua volta, la lunga persistenza retrolfattiva sa essere piacevole, con suggestioni caramellate e aromatiche cordialmente intiepidite dall’etanolo. Per il suo carattere complesso, questo prodotto ha bisogno di passare in cantina un anno, meglio due, al fine di consentire l’ammorbidimento del profilo, mentre i lieviti presenti sul fondo della bottiglia inibiscono l’ossidazione e quindi il rapido invecchiamento.
Abbazia di St. Pieters di Steenbrugge
Arnolfo, nato a Tiegem nel 1040, prima, fece il soldato nell’esercito di Roberto ed Enrico I di Francia, poi, si ritirò nel monastero benedettino di San Medardo a Soissons, in Francia. Nel 1077 divenne abate e, nel 1081, su richiesta del clero diocesano e della popolazione, fu nominato vescovo di Soissons. Ma, quando gli venne usurpato il trono vescovile, si ritirò dalla vita pubblica, iniziando, nel 1084, la costruzione dell’abbazia benedettina di St. Peter a Oudenburg, di cui divenne abate.
Secondo la leggenda, fu proprio Arnolfo a iniziare la produzione della birra, insegnando a berla al posto dell’acqua inquinata che in quel periodo diffondeva ogni sorta di malattie. Aveva infatti constatato che, in tempo di epidemia, i bevitori di birra stavano meglio di chi beveva acqua. Certo, durante il processo di fermentazione, l’acqua viene bollita e, di conseguenza, liberata dagli agenti patogeni.
Questa usanza si diffuse rapidamente tra i cittadini delle zone vicine e l’abbazia, continuando la tradizione brassicola con grande passione, diventò un punto di riferimento nel panorama birrario del Belgio. Mentre Arnolfo, morto nel 1087 e proclamato santo, divenne il patrono dei produttori di birra e dei birrai.
Purtroppo, come tante altre, anche l’abbazia di Oudenburg finì distrutta durante la rivoluzione francese.
Nel 1879, a Assebrock, vicino a Bruge, fu fondata un’altra abbazia benedettina a opera dei monaci di Dendermonde che avevano ricevuto una donazione da un prete laico benestante dell’ordine benedettino appunto. E, a ricordo dell’ex abbazia di St. Peter di Oudenburg, le fu dato il nome ufficiale di Sint-Pietersabdij Steenbrugge.
Nel 1898 l’abate Amandus Mertens fece riprendere la produzione brassicola per procurare al monastero la birra da tavola. Poi, avendo l’abbazia di Steenbrugge un birrificio particolarmente attrezzato fuori dagli edifici del monastero, nel 1934 le furono trasferiti i diritti dell’abbazia di Oudenburg.
Il segreto di queste birre risiedeva nell’utilizzo della miscela di erbe e spezie medievale, denominata gruut.
In passato, ogni città aveva la propria birra, ognuna col proprio carattere individuale. A Bruges, questo carattere era determinato dal gruut che i birrai erano obbligati ad acquistare alla Gruuthouse (“casa del gruut”). Jan van Brugge e i suoi discendenti, che in seguito furono chiamati Van Gruuthuse, detennero il monopolio di vendita del gruut sino alla fine del secolo XVI.
La produzione continuò fino al 1943, quando dovette essere interrotta perché i tedeschi avevano requisito i bollitori di rame. Sicché i frati si limitarono a produrre vini alla frutta.
Solo nel 1958 fu ripresa la tradizione della birra, grazie all’ingegnere Broes della Bierbrouwerij Du Lac di Bruges, una cooperativa di 43 birrai sorta nel 1919. Ma nel 1965 questa fabbrica cessò bruscamente la produzione, con l’acquisizione da parte della Brouwerij Leopold di Bruxelles, per essere addirittura demolita nel 1972.
Nel 1972 la produzione della Steenbrugge passò a Esen, presso la Brouwerij Costenoble (oggi De Dolle Brouwers). E iniziò la commercializzazione con l’etichetta Steebrugge appunto.
Infine, nel 1980, la produzione ritornò a Bruges, presso la Brouwerij ’t Hamerken (oggi Brouwerij De Gouden Boom). Ma, col passaggio, nel 2003, della Brouwerij De Gouden Boom alla Palm, l’anno dopo la produzione fu trasferita a Steenhuffel.
La Steenbrugge continua comunque a essere prodotta tradizionalmente, e con l’immagine di sant’Arnolfo sull’etichetta.
Steenbrugge Dubbel Bruin, abbazia dubbel di colore mogano scuro e dall’aspetto quasi opaco (g.a. 6,5%); rifermentata in bottiglia con zucchero e lievito. La sua produzione ebbe inizio nel 1914, col nome del quatiere nel distretto di Assebrock della città medievale di Bruges. La versione in barile, non condizionata, presenta ovviamente un contenuto alcolico leggermente inferiore, 6%. Con una carbonazione abbastanza sostenuta, la schiuma ecru trabocca non così fine e persistente ma lasciando un bel pizzo al vetro. L’aroma fruttato (di banana), affumicato e fenolico è dovuto al lievito, mentre le delicate spezie (in particolare, la cannella) rammentano l’utilizzo dell’antico gruut. Intanto, dal sottofondo, fanno capolino, finendo presto schiacciati, sentori di malto biscotto, zucchero di canna, caramello, toffee, pane tostato. Il corpo medio ha una consistenza pressoché acquosa. Al sapore abboccato, di malto e frutta, evita la stucchevolezza la base aspra di luppolo. Il finale è improntato a un amarognolo da tostature. Dalla lunga persistenza retrolfattiva spuntano suggestioni dolci, speziate e secche.
Steenbrugge Tripel, abbazia tripel di colore giallo oro e dall’aspetto velato (g.a. 8,7%); con rifermentazione in bottiglia. La carbonazione vivace origina una spuma bianca ricca, cremosa, stabile. Drupe gialle e mele cotogne aprono le danze all’olfatto; seguono, a creare un’attraente armonia aromatica, il malto che si destreggia tra sentori di alcol ed esteri, quindi lievito, melissa, affumicatura, fenoli, arancia, erbe fresche, luppolo floreale. Il corpo, medio-pieno, presenta una trama quasi cremosa. Il gusto si snoda deciso, effervescente, tra note di caramello, malto biscotto, cereali, pane, frutta a polpa gialla, da una parte e dall’altra, di lievito speziato, coriandolo, luppolo erbaceo, scorza di agrumi; mentre l’alcol si guarda bene dal venire allo scoperto nonostante il deciso calore che sprigiona, peraltro relativamente assorbito da una leggera acidità fruttata. Un lungo finale, asciutto e pulito, precorre le impressioni amarognole di un equilibrato retrolfatto luppolizzato. Questo prodotto matura il gusto invecchiando, quindi può essere conservato per più di cinque anni.
Alle due tradizionali Steenbrugge, la Palm ha aggiunto la Steenbrugge Wit, la Steenbrugge Blond e la Steenbrugge Abdij Bock.
Steenbrugge Wit, witbier di colore giallo paglierino e dall’aspetto intorbidato dai sedimenti di lievito (g.a. 5%); realizzata con il 40% di frumento non sottoposto al maltaggio e il 60% di malto. Con una vivace effervescenza, la schiuma bianca, sottile e fitta, mostra una media persistenza. L’aroma appare piuttosto complesso, con un floreale intenso ma delicato che richiama dal sottofondo speziato lievito, abete rosso, erbe, malto, agrumi. Il corpo, da leggero a medio, ha una consistenza parecchio acquosa. Il gusto possiede virtù rinfrescanti e piacevolmente dissetanti: dopo il primo impatto piuttosto aspro, inizia a scorrere in un alveo asciutto prendendo via via note terrose con insufflazioni di luppolo, coriandolo, frutta acida. Il corto finale appare agrodolce, con agrumi e banana matura. Il retrolfatto, più lungo ma non di molto, concede sensazioni di lievito speziato e arancia amara.