Tratto da La birra nel mondo, Volume III, di Antonio Mennella-Meligrana Editore
Eureka, California/USA
Birrificio fondato nel 1990 da due donne, Barbara Groom e Wandy Pound, dopo aver acquistato e ristrutturato un vecchio edificio in legno (il Pythian Castle, risalente al 1892) e anche dopo una lunga permanenza in Inghilterra per conoscere da vicino i suoi pub e la tradizione brassicola.
Il nome (“Costa Perduta”) è quello del tratto di costa, nell’estremo nord californiano, così chiamato per il massiccio calo della popolazione negli anni Trenta. Motivo? La conformazione geologica, con montagne che si gettano direttamente nel mare, impedendo la costruzione di strade a scorrimento rapido e rendendo quindi la zona piuttosto isolata.
Nel 2005 il birrificio si spostò in spazi poco lontani ma molto più ampi, e, quattro anni dopo, la produzione annua superò i 50 mila barili. Un altro impianto ancora più grande, la cui costruzione ebbe inizio nel 2014, ha portato a 75 mila il numero di barili prodotti annualmente.
Superfluo sottolineare che l’ispirazione è alle classiche birre inglesi.
Lost Coast 8 Ball Stout, sweet stout di colore nero ebano e dall’aspetto opaco (g.a. 5,8%). Con un’effervescenza piuttosto bassa, la schiuma nocciola esce sottile, cremosa e di sufficiente ritenzione. L’aroma si apre con una certa intensità, a base di malto tostato, cioccolato al latte, orzo abbrustolito, frutti di bosco, caffè, vaniglia, sciroppo d’acero, liquirizia, pan di zenzero. Il corpo medio tende al sottile, in una consistenza decisamente cremosa. Il gusto si snoda intenso, morbido, scorrevole, grazie alla farina di avena, e richiamando le sensazioni avvertite all’olfatto. Il percorso mostra buona durata, chiudendosi asciutto e con una “bella” nota di acidità da tostature. Nella discreta persistenza retrolfattiva rimangono le reminiscenze di un cioccolato leggermente dolce.
Lost Coast Indica India Pale Ale, india pale ale tra arancione scuro e ambra e dall’aspetto intorbidato dai lieviti (g.a. 6,5%); un prodotto complesso, intenso e, insieme, bilanciato. Il design dell’etichetta, nel 2004, causò controversie religiose, risolte dalla California Supreme Court a favore della birreria, ai sensi del primo emendamento che garantisce la libertà di parola. In ogni modo l’azienda, per evitare futuri problemi, cambò l’etichetta. Con una leggera carbonazione, la schiuma biancastra emerge densa, cremosa, lasciando un bel pizzo alle pareti del bicchiere. L’olfatto si esprime con una buona intensità di odori, col timone nelle mani del luppolo e, a corollario, il malto con la sua lieve dolcezza, pino, agrumi e resina a controbilanciare. Il corpo, medio-pieno, presenta una trama abbastanza oleosa. Anche il gusto attacca con note amabili di caramello, melone giallo, biscotti, zucchero di canna, pompelmo e arancia; ma presto arriva l’ondata secca e amara del luppolo a fagocitare anche l’ultimo residuo di dolcezza. Il finale apporta una lunga astringenza resinosa. A sua volta, il retrolfatto dura il tempo di erogare ruvide impressioni di terra ed erbe aromatiche.