Tratto da La birra nel mondo, Volume III, di Antonio Mennella-Meligrana Editore
Sydney/Australia
Questo colosso della birra trae le sue origini dalla Brown Campbell & Co, la compagnia di John Logan Campbell e William Brown che nel 1840 fondò a Auckland la Hobson Bridge Brewery.
Nel 1878 la Brown Campbell & Co comprò la Albert Brewery di Louis Ehrenfried (sempre a Auckland), con la quale si fuse nel 1897, formando la Campbell & Ehrenfried che, sotto la guida di Arthur Myers, nipote di Ehrenfried, divenne subito la più grande birreria dell’Isola del Nord, se non proprio del Paese.
Nel 1914 la Campbell & Ehrenfried si fuse con la Great Northern Brewery, fondata, sempre a Auckland, nel 1860 da Richard Secombe e detentrice del marchio Lion.
Nel 1923, per combattere il movimento proibizionista, 10 delle più importanti imprese del Paese si unirono nel consorzio New Zealand Breweries. Tra esse, la Speights di Dunedin, fondata nel 1876 e fin dall’inizio della prima guerra mondiale il maggior produttore della Nuova Zelanda, nonché protagonista della fusione.
La Campbell & Ehrenfried, pur appartenendo al consorzio New Zealand Breweries, rimase un’azienda separata e, nel 1965, ne divenne amministratore delegato Douglas Myers, nipote di Arthur Myers.
Nel 1977 la divisione delle New Zealand Breweries adottò il nome di Lion Breweries.
Nel 1981 la Campbell & Ehrenfried rilevò il 19,9% delle Lion Breweries.
Verso la fine degli anni Ottanta, le Lion Breweries si erano sviluppate in una delle più grandi aziende della Nuova Zelanda. Nello stesso tempo, avevano abbandonato il sistema di fabbricazione a fermentazione continua, ritornando al vecchio modulo dei blocchi di produzione per poter meglio gestire una vasta gamma tipologica.
Nel 1988 rilevarono il gruppo LD Nathan & Co (il più grande rivenditore della Nuova Zelanda), formando la Lion Nathan, quotata nelle borse australiane e neozelandesi sotto il simbolo LNN.
Nel 1990 la Lion Nathan diventò un’azienda australiana avendo stabilito una presenza importante in questo paese, con l’acquisto al 50% di Australia’s National Brewery, di proprietà della Bond Corporation, che comprendeva la Castlemaine Perkins di Brisbane, la Tooheys di Sydney e la Swan di Pert.
Nel 1992 prese il pieno controllo di Australia’s National Brewery. L’anno dopo acquistò la South Australian Brewing Company di Adelaide e la Hahn Brewery di Sydney.
Nel 1995 acquisì il 60% della Taihushui Brewery di Wuxi, nella provincia meridionale di Jiangsu (quota che arriverà al 90% nel 2000).
Nel 1997 creò la Lion Nathan Beer and Beverage a Suzhou (sempre nella provincia di Jiangsu) e iniziò la costruzione di una nuova birreria da 125 milioni di dollari in quella città, completata nel 1998.
Alla fine, insoddisfatta del ritorno economico, nel 2004 cederà il business cinese alla SABMiller.
Nel 1998 la giapponese Kirin acquisì una partecipazione del 46% nella Lion Nathan.
Nel 2000 la Lion Nathan si trasferì in Australia e fece il suo primo tentativo di espandersi nelle cantine, lanciando un’offerta di acquisto per il Gruppo Montana, il più grande viticoltore del Paese; ma, l’anno dopo, fu messa fuori gioco dal gigante internazionale Allied Domecq che rilevò l’intero gruppo Montana.
Nel 2002 la Lion Nathan acquistò Petaluma Ltd. e Banksia Wines Ltd, due gruppi di cantine in Australia.
Nel 2005 tentò di mettere le mani anche su Cooper’s Brewery di Adelaide; ma, in un’assemblea straordinaria, il 93,4% degli azionisti di questa azienda votò a favore della rimozione permanente dei diritti di acquisto di terzo livello di Lion Nathan, impedendo efficacemente qualsiasi offerta di acquisto corrente o futura.
Nel 2009 la Kirin, acquisito il 100% della Lion Nathan, fuse la sua attività con National Foods (che possedeva dal 2007) e creò la Lion Nathan National Foods.
Nel 2011 l’azienda cambiò il nome in Lion. Con National Foods diventò una successiva filiale chiamata Lion Dairy & Drinks, con sede a Melbourne.
Ma a noi interessa la sua attività birraria. Principale produttore in Nuova Zelanda, con una quota di mercato del 60%, occupa il secondo posto in Australia, dietro alla Foster’s.
Possiede dunque una serie di birrerie e impianti di imbottigliamento in entrambi i paesi.
In Australia:
– Castlemaine Perkins, Brisbane
– South Australian Brewing Company, Adelaide
– Knappstein Enterprise Brewery, Clare
– Boags, Launceston
– Little Creatures, Fremantle
– Malt Shovel, Camperdown
– Hahn, Camperdown
– Tooheys, Lidcombe
In Nuova Zelanda:
– Speight’s, Dunedin (Isola del Sud)
– ’The Pride’ di South Auckland (Isola del Nord)
Quanto ai brand internazionali, la Lion produce su licenza: Beck’s, Guinness, Heineken, Kilkenny, Kirin Ichiban, Stella Artois. Importa invece: Belle-Vue, Budweiser, Corona, Hoegaarden, Leffe.
Sotto l’egida della Steinlager, sponsorizza le barche a vela neozelandesi che disputano la Coppa America e la nazionale di rugby, gli All-Blacks.
Riportiamo alcune delle più rappresentative birre che escono dalla grande fabbrica di Auckland, quella ovvero dell’ex Great Northern Brewery.
Steinlager, premium lager di colore dorato pallido (g.a. 5%); conosciuta anche come Steinlager Classic. Birra neozelandese per eccellenza, elaborata con cereale e luppolo provenienti dalle rinomate piantagioni di Canterbury, si propone molto più chiara e secca rispetto agli altri prodotti della gamma. Costituisce il marchio di punta dell’azienda a livello internazionale, esportato in più di 50 paesi. Nel 1957 il ministro delle finanze della Nuova Zelanda, Arnold Nordmeyer, minacciò di tagliare le importazini di birra in quanto costituivano il suo “budget nero” e chiese, nello stesso tempo, ai produttori nazionali di elaborare una lager di qualità internazionale. L’anno successivo la Campbell & Ehrenfried lanciò la Steinecker, dall’omonimo impianto a fermentazione continua di fabbricazione tedesca di Auckland. Poi, per una controversia giudiziaria negli Stati Uniti riguardante la vicinanza del nome con Heineken, l’azienda la rinominò Steinlager. Infine, nel 1973, un consulente americano suggerì, ai fini di un buon successo, di cambiare il colore della bottiglia, in uno ovvero più confacente a quello delle altre birre premium. Così, dal marrone originario, la bottiglia passò al verde. Con una carbonazione medioalta, la schiuma, spessa e vivace, rivela una media tenuta. L’aroma è fresco di luppolo, e dona gradevoli odori secchi e amari dell’erba appena tagliata. Il corpo, da leggero a medio, presenta una tessitura acquosa. Nel gusto, il delicato amaro del luppolo si equilibra con il fondo dolce di malto. Il finale asciutto precorre un discreto retrolfatto luppolizzato.
Steinlager Blue, variante, più amabile, meno secca e dal moderato aroma di luppolo, della Steinlager (g.a. 4,2%). Fu introdotta nel 1991, usando una campagna pubblicitaria con The Blues Brothers. Le due birre differivano soltanto per il colore della bottiglia, la prima marrone e la seconda verde. Poi, sempre negli anni Novanta, fu abbandonata la produzione della Steinlager Blue, mentre, successivamente la Steinlager Green diventò semplicemente Steinlager.
Steinlager Edge, variante, a basso tenore di carboidrati, della Steinlager (g.a. 3,5%). Nel 2013, per la scarsità delle vendite, cessò la produzione.
Steinlager Super Cold, è la Steinlager, introdotta nel 2006, servita a 0 °C.
Steinlager Premium Light, light lager di colore dorato (g.a. 2,5%); introdotta nel 2000 come variante, a basso contenuto alcolico, della Steinlager. Con una carbonazione piuttosto leggera, la schiuma bianca fuoriesce minuta, cremosa, di media durata. Al naso si esibiscono profumi dolci, fruttati e speziati, con un protervo sentore di luppolo erbaceo. Il corpo sottile presenta una consistenza spiccatamente acquosa. Anche il gusto tende alla dolcezza del malto e del mais, in maniera piuttosto blanda, quasi a scongiurare l’intervento amaro del luppolo sempre in agguato. Il finale, asciutto, pulito, sa tanto di frutta acerba. Lo sfuggente retrolfatto si propone alquanto astringente, con un tocco minerale e labile di spezie.
Steinlager Pure, premium lager di colore giallo molto chiaro e dall’aspetto brillante (g.a. 5%). Lanciata in Nuova Zelanda nel 2007, accanto alla Steinlager, si è poi posizionata al primo posto nel mercato. Con una vivace effervescenza, la schiuma bianca erompe minuta, spessa, di buona ritenzione. L’aroma si esprime con semplicità ma assertivo, a base di malto, lievito, paglia, agrumi, mais, pane, luppolo erbaceo. Il corpo, da leggero a medio, ha una consistenza acquosa. Il gusto, pulito e rinfrescante, defluisce lievemente dolce con note amarognole di erba appena tagliata e fieno. Il finale apporta un tocco di acidità. Il retrolfatto, piuttosto corto, esala suggestioni fruttate secche dall’accento amaro.
Steinlager Tokyo Dry, lager di colore paglierino pallido (g.a. 5%); ultima offerta della casa, e in stile giapponese. Con un buon livello di carbonazione, la schiuma bianca esce sottile, non così generosa ma abbastanza durevole. L’aroma è tenue e poco persistente: molto granuloso, di malto, con qualche accenno floreale, di mais, riso e miele; mentre dal sottofondo si alza un timido soffio di zolfo. Il corpo, medio-leggero, ha una consistenza piuttosto acquosa. Il gusto, sottile, asciutto e blando, reca note di caramello, pasta di pane, riso, miele, agrumi. Solo verso la fine della breve corsa emerge un discreto amarore a fagocitare compiutamente la dolcezza residua. Il retrolfatto appare pressoché gessoso, nelle sue suggestioni moderatamente luppolizzate.
Rheineck, lager di colore giallo dorato chiaro e dall’aspetto brillante (g.a. 3,5%); tra le più secche birre neozelandesi. Richiede un tempo di fermentazione più lungo e viene sottoposta a una speciale filtrazione a freddo. Con una media carbonazione, la schiuma bianca erompe generosa, sottile, di sufficiente tenuta. L’aroma emette un sottile odore di luppolo, con qualche labile accenno di zucchero, malto, fieno, agrumi, mais. Il corpo sottile presenta una tessitura decisamente acquosa. Di carattere dolce, il malto produce un sapore morbido e rinfrescante, che scorre su base piuttosto secca predisposta da un buon luppolo erbaceo. Nel finale subentra una lieve asprezza. Il retrolfatto dura il tempo di erogare suggestioni pulite vegetali e di pane.
Lion Red, euro pale lager di colore ambra scuro quasi rosso (g.a. 4%). Secondo la data sulle lattine, la birra fu “stabilita” (quindi presumibilmente prodotta prima) nel 1907. Originariamente era nota come Lion Beer. Poi il grande pubblico adottò il nome Lion Red, che descriveva in modo appropriato il colore rosso dell’etichetta. E, a metà degli anni Ottanta, le Lion Breweries ufficializzarono il marchio Lion Red. È una birra alla moda in Nuova Zelanda, quindi la più venduta nel Paese. Per il suo basso contenuto alcolico infatti, è considerata un’ottima “sessione” (una birra cioè che, durante una lunga sessione di tempo, può essere consumata liberamente, senza tutti gli effetti negativi di un prodotto con più elevato volume di etanolo). Con una carbonazione relativamente bassa, la schiuma biancastra emerge molto sottile ma si abbassa rapidamente lasciando striminziti segni di allacciatura. L’aroma è dolce e granuloso di malto, con un delicato intervento di luppolo piccante. Il corpo, da sottile a medio, ha una consistenza abbastanza acquosa. Anche il gusto, dopo l’inizio acido, tende alla dolcezza, con note di malto bruciato, caramello, miele, mais tostato, cenere di sigaretta, agrumi, noci; ma, nella seconda parte del percorso, viene quasi fagocitato da un sottile amarore di luppolo erbaceo, più che per equilibrare, per conferire freschezza alla bocca. Il finale si rivela alquanto breve e secco. Anche il retrolfatto non dura tanto, il tempo di erogare qualche impressione dolce di malto.
Lion Brown, american amber lager di colore ambrato profondo e dall’aspetto brillante (g.a. 4%). Fruttata e più dolce della Red, è anch’essa uno dei prodotti di maggior successo della Lion in Nuova Zelanda. Con una carbonazione medioalta, la spuma biancastra prorompe densa, ma non abbondante, tanto meno persistente. L’aroma si apre intenso, equilibrato, intrigante, a base di orzo tostato, banana, malto, frutta, caramello, miele, luppolo erbaceo. Il corpo, medio-leggero, ha una consistenza acquosa. Il gusto fruttato è decisamente orientato a una dolcezza rinfrescante; ma, nel lungo finale, lascia campo libero al rampicante, preparando il terreno a un discreto retrolfatto piacevolmente amaro.
Lion Black Ice, ice beer di colore dorato chiaro e dall’aspetto brillante (g.a. 5,2%). Il nome vuol dire infatti “Leone Nero di Ghiaccio”. Con una carbonazione piuttosto vivace, la spuma bianca erompe sottile, densa, ma di breve durata. L’aroma si schiude alquanto tenue, di malto, cereali, luppolo piccante/floreale. Il corpo medio presenta una consistenza decisamente acquosa. Il morbido gusto di malto dolce, supportato da un brioso fruttato, si snoda secco, pulito, un po’ appiccicoso, con eccezionali proprietà dissetanti. Il corto finale accenna vagamente all’alcol. Un’impressione di erbe aromatiche e chiodi di garofano caratterizza lo sfuggente retrolfatto.
Waikato Draught, lager di colore arancione tendente all’ambra e dall’aspetto brillante (g.a. 4%). Viene venduta principalmente nella regione di Waikato della Nuova Zelanda. La sua creazione risale al 1925; ma soltanto nel 1945 iniziò la promozione, con un personaggio dei cartoni animati, il cameriere Willie. Fu opera della Innes Family Waikato Brewery di Hamilton, molto probabilmente la prima birreria neozelandese di proprietà di una donna, Mary Jane Innes. Poi, nel 1961, questa fabbrica fu rilevata dalle New Zealand Breweries e, con la sua chiusura, nel 1987, la produzione della Waikato Draught passò alle Lion Breweries. Con una carbonazione medioalta, la schiuma biancastra, abbondante e cremosa, anche se non dura molto, mostra una pregevole allacciatura. L’aroma floreale, e a malapena insufflato di un sottile luppolo erbaceo/terroso, reca evidenti i segni dolci del caramello. Il corpo rasenta i limiti dello scarno, in una consistenza peraltro acquosa. Una piacevole dolcezza caramellata s’impone con decisione soprattutto nel gusto, che defluisce asciutto, pulito, con qualche nota appena percettibile di amarore. Amarore, che nel finale diventa addirittura astringente. Ma, nel corto retrolfatto, ritorna a gloria la morbida dolcezza del caramello.