Tratto da La birra nel mondo, Volume III, di Antonio Mennella-Meligrana Editore
Boezinge/Belgio
Uno dei più antichi birrifici del Paese, nacque nel 1572 a Boezinge, un villaggio a nord di Ypres, nelle Fiandre Occidentali. Originariamente apparteneva alla famiglia Clarisse. Quando poi Carolus Leroy, di una famiglia di birrai del vicino villaggio di Zuidschote, sposò la figlia dei Clarisse diventando, alla morte del padre, proprietario della fabbrica, questa prese il nome di Brouwerij Leroy.
Nel 1924 Sylvère Leroy e la moglie, Rachel Syd, acquistarono una casa colonica in rovina, sempre nel villaggio di Boezinge, e fondarono la Brouwerij Het Sas.
Rimasta a conduzione familiare, questa azienda, oltre a diverse speciali, proponeva, in particolare, una gamma di pilsner destinate al mercato locale.
Sempre nelle Fiandre Occidentali, a Watou, oggi quartiere di Poperinge, nel 1624 sorse un’altra fabbrica di birra, nel castello dei duchi di Ydegem. Con la rivoluzione francese, sia la fabbrica che il castello furono distrutti. Dopo la restaurazione, venne ricostruita, a opera di un contadino, soltanto la birreria, chiamata De Gouden Leeuw (“Il Leone d’Oro”), che divenne operativa nel 1820. Nel 1862, a seguito di un matrimonio, il birrificio passò alla famiglia Van Eecke, e prese il nome di Brouwerij Van Eecke.
Sino alla fine della seconda guerra mondiale la Van Eecke produsse soltanto birre di fermentazione alta a livello locale. Poi, in base a una ricetta dei trappisti dell’abbazia di Mont des Cats (in territorio francese, ma a 10 chilometri da Poperinge), il birraio Jan van Gysegem elaborò una birra saporita e ricca di lievito chiamata Trappist ’t Kapittel. Subito i trappisti ricorsero alle vie legali, e Van Eecke dovette cambiare il nome in Het Kapittel: Het, è l’articolo determinativo neerlandese, che successivamente sarà omesso; Kapittel invece, un termine che in Belgio normalmente indica l’insieme dei monaci nei loro quadri gerarchici all’interno del convento.
Nel tempo nacque una vera e propria gamma di Het Kapittel. Birre ovviamente ad alta fermentazione, con rifermentazione costante in bottiglia, che oggi sono riconosciute come prodotto regionale fiammingo occidentale.
La produzione si arricchì ulteriormente con specialità del tipo Livinus, Poperings Hommelbier, Blanche de Watou.
Nel 1962 la famiglia Leroy ereditò la Brouweij Van Eecke e, già dal 1967, ebbe inizio una stretta collaborazione tra le due fabbriche. Nel 1995 a causa della grande richiesta delle birre della Van Eecke, l’imbottigliamento fu trasferito nella moderna birreria di Boezinge. Infine, nel 2016, Karel Leroy riunì le due aziende sotto il nome di Leroy Breweries.
Chiaramente, le due fabbriche finirorono per concentrarsi nella produzione dell’ex Van Eecke, che conquistava sempre più fama internazionale.
Il luppolo è quello della regione intorno a Poperinge; il lievito invece viene da ceppi coltivati in laboratorio nella fabbrica di Boezinge.
Het Kapittel Watou Prior, abbazia di colore tonaca di frate e dall’aspetto intorbidato dai sedimenti di lievito (g.a. 9%). Primogenita della serie, fu per lungo tempo la birra più alcolica di Van Eecke, fino all’arrivo della più chiara Abt. La sua nascita viene fatta risalire al 1948, per competere con le birre di St. Sixtus/Westvleteren che in quel periodo erano appena state appaltate alla vicina St. Bernardus. Pare che all’inizio avesse un carattere molto vivace, soprattutto all’atto dello stappo, tanto da guadagnarsi l’appellativo di “birra-champagne”. Ugualmente, presentava una marcata acidità. Con un’effervescenza piuttosto sostenuta, la schiuma beige erompe abbondante, cremosa, di lunga durata. L’olfatto appare un po’ sottotono, ma di gran pulizia e complessità: malto, toffee, uva passa, caramello, prugna, miele, pandispagna, frutta secca, marzapane, cacao in polvere, zucchero candito, porto, ciliegia sotto spirito. Il corpo medio ha una consistenza oleosa. Un gusto composito spazia dal dolce all’amaro e dal tostato allo speziato; con l’alcol che si tiene molto ben nascosto. Una nota acidula segna il finale. La calda suggestione fruttata del retrolfatto ricorda distintamente l’uvetta sotto spirito.
Het Kapittel Watou Pater, abbazia dubbel di colore mogano e dall’aspetto quasi opaco (g.a. 6%); in produzione dal 1955. Può essere considerata una enkel o single, ovvero la birra semplice che era destinata agli ospiti dell’abbazia e al consumo quotidiano dei monaci. Con una carbonazione alquanto bassa, la schiuma caffellatte risulta copiosa e discretamente durevole. L’aroma si rivela di una complessità non proprio al top: sembrano quasi slegati, sebbene intensi e puliti, i profumi di legno dolce bruciato, agrumi, prugna, malto scuro, fumo, caramello, miele di castagno, nocciola, cioccolato al latte, avvolti in un alone di noce moscata. Il corpo medio tende al leggero, in una tessitura spiccatamente oleosa. Il gusto presenta un profilo dolceamaro, dal momento che cereale e rampicante non riescono ad avere il predominio l’un sull’altro; e la sensazione palatale non può non risultare piuttosto piatta, senza una vera e propria morbidezza ossia. La lieve luppolizzazione del finale porta all’inevitabile amarognolo del retrolfatto. La rifermentazione in bottiglia mantiene viva la birra, che può senz’altro invecchiare per alcuni anni.
Het Kapittel Watou Abt, abbazia tripel di colore ramato con riflessi oro e dall’aspetto velato (g.a. 10%); con la terza fermentazione in bottiglia. In precedenza veniva chiamata semplicemente Kapittel Abt. La sua nascita risale al 1964. È dedicata all’abate e quindi al titolo che spetta al superiore di una comunità monastica. Stando alle informazioni della casa, abati e vescovi erano gli unici ai quali era consentito bere queste birre dall’elevato contenuto alcolico; ai monaci venivano concesse solo in alcuni speciali giorni di festa. Utilizza due varietà di luppolo, probabilmente provenienti dalla vicina Poperinge, e quattro tipi di malto. Con una media effervescenza, la schiuma ocra emerge minuta, cremosa e di buona stabilità. L’aroma si esprime con toni dolci e caldi, a base di malto biscotto, albicocca, miele, arancia, zucchero a velo, lievito, frutta secca: il tutto avvolto in un delicato alone alcolico. Il corpo medio presenta una tessitura decisamente oleosa. Il gusto si distende ricco, intenso, con la dolcezza del malto e della frutta compiutamente bilanciata dal discreto amarore del luppolo e da una leggera acidità che subentra in prossimità del traguardo. Nel finale s’impone il lievito belga. La lunga persistenza retrolfattiva esala morbide, cordiali, impressioni alcoliche dolcemente sostenute dalla frutta candita. Vera birra da meditazione, può invecchiare, per dichiarazione del birrificio, fino a 20 anni.
Livinus Blonde, belgian strong golden ale di colore biondo acceso e dall’aspetto intorbidato dai residui di lievito (g.a. 10%); rifermentata in bottiglia. Con una media effervescenza, la schiuma bianca, a grana molto minuta, ostenta compattezza e buona durata. L’aroma è dolcemente fruttato, e risente molto l’alcol; mentre si limitano a una tenue comparsa sentori di caramello, lievito belga, malto, banana, miele, scorza d’arancia, luppolo, chiodi di garofano. Anche il corpo consistente sprigiona una prorompente forza alcolica che avvolge irresistibilmente il palato. Pieno, strutturato, il gusto si snoda all’insegna del luppolo, tra note leggermente amare e infervorate dall’anice. Nel lungo finale si esaltamo la secchezza e l’amarore. Nel retrolfatto ritorna l’etanolo, dolce, cordiale, riscaldante.
Poperings Hommelbier, spéciale di colore dorato carico e dall’aspetto velato (g.a. 7,5%); con rifermentazione in bottiglia. Si tratta di uno stile unico, peraltro apprezzato in tutto il mondo, che sfugge a qualsiasi tipologia di ale. È considerata “lo champagne della birra”. Hommel, nel dialetto locale, vuol dire “luppolo”, dal latino Humulus. Viene infatti fortemente aromatizzata con il 100/% di luppolo di Poperinge, dove da sempre si coltivano le migliori qualità di questo rampicante. Fu preparata per la prima volta nel 1981, in occasione della Poperingse Hoppefeesten, che avviene ogni tre anni verso la terza settimana di settembre per celebrate il raccolto del luppolo. Oggi questa birra occupa quasi la metà della produzione delle Leroy Breweries, e ha un significato particolare: in un paese dove le birre luppolizzate e l’amaro non sono mai stati particolarmente popolari, la Hommelbier può essere considerata uno dei primi esempi di belgian ale molto luppolizzate, anticipando le produzioni belghe che hanno progressivamente cominciato ad aumentare il livello di amaro. Con una carbonazione moderata, la schiuma bianca emerge abbondante, cremosa e stabile. La finezza olfattiva risulta elegante, con i suoi intensi, persistenti, profumi floreali, erbacei, di pino, agrumi, lievito e luppolo verde. Il corpo ha notevole struttura; ma si accosta al palato con una stupefacente leggerezza, come di velluto. Il gusto risente la forte luppolizzazione, e scorre marcatamente amaro verso un finale asciutto e speziato di cumino. Suggestioni di miele e scorza d’arancia segnano la lunga persistenza del retrolfatto. Nel versare il prodotto, i sedimenti di lievito vanno lasciati sul fondo della bottiglia.
Watou’s White Beer, bière blanche di colore giallo oro e dall’aspetto tipicamente torbido per la presenza di lievito e proteine del frumento in sospensione (g.a. 5%). Fu creata nel 1985 per soddisfare la crescente richiesta di una birra bianca. Viene lavorata con malto d’orzo (50%), frumento (45%) e avena (5%). Nell’aromatizzazione invece rientrano una piccola dose di luppolo e i semi di coriandolo. Con una carbonazione abbastanza vivace, la schiuma bianca erompe particolarmente generosa, compatta, tenace. L’aroma si libera splendidamente, con persistenti odori di lievito fresco e di luppolo molto accentuati e gradevoli, che lasciano peraltro ampio spazio ai pressanti sentori fruttati ed erbacei, di limone e coriandolo. Il corpo, da leggero a medio, presenta una trama fra acquosa e oleosa. Il gusto si snoda lieve e rotondo, con qualche nota piccante; l’amaro, appena percettibile per l’intera corsa, s’impenna alla fine asciugando il palato, che rimane morbido, fiorito, con soffuse impressioni agrumate. Nel lungo finale ritornano il frumento e il coriandolo. Il retrolfatto dura abbastanza per erogare le sue piacevoli suggestioni amarognole.