Tratto da La birra nel mondo, Volume II, di Antonio Mennella-Meligrana Editore
Nishikanbara-gun, Niigata-ken/Giappone
Prima, in Giappone, per poter aprire una fabbrica di birra bisognava produrre almeno 2 milioni di litri all’anno. Poi, nel 1994, il limite minimo annuo fu portato a 60 mila litri, e, inevitabilmente, cominiarono a spuntare come funghi i microbirrifici.
Il primo, in assoluto del Paese, fu il brewpub Echigo, che aprì nel dicembre dello stesso anno, e nella prefettura, Niigata, di produzione del sakè. Fu opera di Uehara Shuzo, famoso produttore di sakè appunto e fornitore della famiglia reale giapponese.
Inizialmente, la maggior parte delle birre furono versioni americane di birre tradizionali europee, insieme a pilsner d’ispirazione tedesca. C’ è da annotare infatti la nazionalità tedesca della moglie di Uehara.
Nel 1999 sorse un birrificio più grande per la produzione, in bottiglia e in lattina, di happoshu; mentre il brewpub continuò a produrre birra in fusti per bar specializzati.
Per chiarirci le idee, diciamo subito che in Giappone birra e happoshu sono due bevande a base di malto. Se il peso del malto estratto supera il 67% del peso degli ingredienti fermentabili, si ha la “birra”, prodotto ad alto costo; diversamente, abbiamo un prodotto a basso costo, chiamato happoshu.
La terza tipologia di birra invece, comparsa nel 2004 col nome di happousei, è a base di semi di soia e altri ingredienti.
Echigo Premium Red Ale, amber ale di colore rosso intenso e dall’aspetto piuttosto nebuloso (g.a. 5,5%). Con una carbonazione moderata, la spuma si leva sottile e di buona allacciatura. Al naso, si spargono pungenti profumi di malto alquanto dolce, lievito fruttato e luppolo agrumato. Il corpo leggero tende al medio, in una trama fra cremosa e acquosa. Il gusto luppolizzato reca venature amabili di malto, in un equilibrio quasi perfetto. Anche nel rettrolfatto, dopo uno sfuggente finale di preparazione ripulente, l’asciuttezza dell’amaricante e l’amabilità del cereale convivono armoniosamente.
Echigo Stout, dry stout di colore nero come la pece (g.a. 7%). La schiuma beige, cremosa e di notevole durata, è gestita da un’effervescenza abbastanza vivace. L’aroma si sprigiona con stuzzicanti toni caldi di caffè tostato. Il corpo, medio-pieno, presenta una consistenza cremosa che vira presto all’acquosa. Il sapore intenso, morbido, vellutato, si rivela segnato nettamente dal malto torrefatto, con l’alcol che riscalda dolcemente il palato. Il finale, secco e amaro, reca anche una punta di acidità. Il retrolfatto appare piuttosto gessoso, con qualche impressione di melassa bruciata.