Tratto da La birra nel mondo, Volume II, di Antonio Mennella-Meligrana Editore
New Orleans, Louisiana/USA
Birreria, in un edificio a cupola, fondata nel 1907 da Valentine Merz. Allora in città esistevano una decina di fabbriche. Poi, il numero andò sempre più riducendosi. Negli anni Ottanta dovettero chiudere anche le ultime due concorrenti, la Falstaff e la Jackson.
Insomma era rimasta soltanto la coriacea Dixie, sopravvissuta a due conflitti mondiali, al proibizionismo, alla depressione economica, allo strapotere dei colossi della birra. Addirittura prosperò durante la depressione, dopo aver superato gli anni bui del proibizionismo fabbricando gelati, bevande analcoliche e una Dixo (insignificante similbirra).
Infine anche la Dixie andò in malora. Nel 1989 i proprietari presentarono istanza di fallimento. Ma nel 1993, grazie a una nuova linea di birre speciali, poté riprendere l’attività di autentico birrificio artigianale che lasciava invecchiare le sue birre in originali botti di cipresso.
Poi, nel 2005, arrivò l’uragano Katrina, il più grave nella storia degli Stati Uniti, per danni e numero dei morti. Oltre ai gravi danni alla fabbrica, la Dixie subì anche il furto di gran parte delle attrezzature. E, inevitabilmente, cessò la produzione.
Soltanto nel 2010 ricomparve il marchio Dixie, prodotto a contratto dalla Minhas Craft Brewery di Monroe, nel Wisconsin.
Infine, nel 2017, Tom Benson, patron dei New Orleans Saints (squadra di football americano) e New Orleans Pelicans (squadra di pallacanestro), acquistò, da Joe e Kendra Bruno, la maggioranza del marchio Dixie con l’intento di riprendere la produzione a New Orleans entro due anni.
Dixie Beer, lager tipo americano di colore oro chiaro (g.a. 4,5%); più piena di malto e più luppolizzata rispetto agli altri prodotti americani dello stesso tipo. Utilizza luppolo nazionale (Cascade e Cluster), nonché riso locale. Presenta una vivace carbonazione; schiuma bassa e di rapida dissoluzione; aroma di malto frammisto a tenui sentori di mais, caramello, luppolo, paglia; corpo piuttosto leggero e di consistenza tra oleosa e acquosa. Particolare attenzione richiama l’equilibrio gustativo: un fine malto e un luppolo elegante, che si fondono e si esaltano nell’ambito della netta ma delicata secchezza del riso. Il finale appare pressoché granuloso. Il retrolfatto è agrodolce, con tendenza a un piacevole amarognolo.
Dixie Blackened Voodoo Lager, schwarzbier di colore marrone scuro con riflessi rossastri (g.a. 5%). Chiaramente ispirata alla tradizione tedesca, ha caratteristiche comuni sia alla münchner dunkel sia alla schwarzbier; ma non può essere inserita in nessuna delle due tipologie: sarebbe forse da classificare come kulmbacher. Nel 1995 vinse la medaglia d’argento al Great American Beer Festival; ma tre anni prima, al momento del lancio, aveva provocato quasi uno scandalo, tanto da determinare nel Texas il divieto di produrla. L’immagine, che ricorda Halloween, allora la faceva vedere come “la birra del diavolo”. Con un’effervescenza alquanto bassa, la schiuma, di grana molto minuta, svanisce in fretta. L’aroma è tenue e delicato di malto. Anche il corpo si mostra piuttosto leggero, in una consistenza cremosa. Il gusto ha la dolcezza del malto e della melassa con un fievole tocco di acido e, prima di terminare la corsa, s’imbatte in una certa oleosità. Il finale aggiunge una croccante nota di nocciola. Il retrolfatto si rivela abbastanza corto, tra impressioni amare da zucchero bruciato.