Anheuser-Busch

Tratto da La birra nel mondo, Volume I, di Antonio Mennella-Meligrana Editore

Saint Louis, Missouri/USA
Soprattutto a causa degli sconvolgimenti politici in Germania e in Boemia del 1848, a metà secolo, arrivò a St. Louis un gran numero di immigrati tedeschi. Sicché ben presto sorsero fabbriche di birra, con l’introduzione negli Stati Uniti di un nuovo stile, la lager.
Anche Georg Schneider aprì, nel 1852, una fabbrica di birra che chiamò Bavarian Brewery. Non molto tempo dopo, in difficoltà, l’azienda dovette ricorrere a un grosso prestito; ma la situazione non migliorò. Sicché, nel 1860, due dei finanziatori, il farmacista William d’Oench e Eberhard Anheuser, poterono facilmente rilevare l’intera società, che prese il nome E. Anheuser & Co.
Arrivato dalla Germania nel 1843, Eberhard era proprietario della più grande fabbrica di saponi e candele a St. Louis. Attività, che continuò a svolgere, unitamente a quella di birraio, pur non avendo esperienza in questa materia. Il farmacista invece, un partner assolutamente disinteressato alla fabbricazione della birra, nel 1869 vendette addirittura la propria quota a Eberhard.
Nel 1861, quando la E. Anheuser & Co. figurava al 29° posto nella graduatoria dei 40 produttori di birra cittadini, entrò il scena un altro oriundo tedesco, il ventiduenne Adolphus Busch. Brillante e dinamico rappresentante di apparecchiature e prodotti per la birrificazione, da tempo in buoni rapporti con gli Anheuser, Adolphus sposò Lilly, la figlia di Eberhard. Tre anni più tardi entrò nell’azienda familiare come venditore, per diventare successivamente, acquistando la metà di proprietà della fabbrica, socio del suocero e portando, con la propria geniale personalità, la piccola impresa locale a dimensione nazionale.
Verso il 1870 Adolphus intraprese numerosi viaggi in Europa Centrale, soprattutto in Baviera e nella zona di Pilsen, per studiare le diverse tecniche di produzione della birra. Venne così a conoscenza anche degli studi condotti da Louis Pasteur sulla conservazione delle sostanze alimentari. Nel 1875 l’azienda fu ribattezzata E. Anheuser-Busch Società Brewing Association.
Nel 1876 Busch mise a frutto l’esperienza acquisita in Europa. Con l’amico Carl Conrad, un ristoratore e venditore di vino a St. Louis, elaborò un prodotto nuovo, ispirato alla tradizione della città ceca di Budweis, ma con aggiunta di riso e maturazione del mosto in vasche contenenti trucioli di faggio. Nasceva così il primo marchio di birra veramente nazionale degli Stati Uniti, prodotto per essere universalmente popolare, trascendente sapori regionali e capace di soddisfare i palati più diversi. Si trattava ovvero di una lager chiara non troppo caratterizzata, dal tenore alcolico in apparenza basso e con gusto leggero più delicato di quello delle pilsner allora prodotte negli Stati Uniti.
Anche il nome scelto era ceco, quello usato dai birrifici di Budweis (in testa la Samson, attiva dal 1795) per buona parte dei loro prodotti. E Budweiser, oltre a ricordare le rinomate birre europee con forte attrazione per la numerosa popolazione di origine tedesca, si prestava addirittura a una facile pronuncia in inglese.
Per primo nel Nuovo Mondo, Busch applicò inoltre il metodo della pastorizzazione che prolungava i tempi di conservazione delle caratteristiche organolettiche. E, col ricorso alla recente conquista dell’epoca, la ferrovia, cominciò (altra intuizione geniale) la distribuzione tramite speciali carri refrigerati a grandi distanze, uscendo così dall’ambito locale per affermarsi sempre più su scala nazionale.
L’accordo stipulato tra Busch e Conrad prevedeva la produzione presso lo stabilimento di St. Louis, da parte del primo e da parte del secondo, l’imbottigliamento e la distribuzione. Nel 1877 il nome Budweiser fu trasformato in marchio e registrato: il primo marchio di birra nazionale negli Stati Uniti. Due anni dopo, la società fu rinominata Anheuser-Busch Brewing Association.
Con la morte di Eberhard, avvenuta nel 1880, Busch divenne presidente della nuova società, la Anheuser-Busch. Tre anni dopo, assillato da problemi finanziari, Conrad fu costretto a cedere la propria quota e ad accettare un incarico presso l’azienda. Da allora, negli Stati Uniti, la Budweiser è sempre stata imbottigliata e distribuita dalla Anheuser-Busch.
Nel 1896 fu sviluppata una seconda birra, la premium Michelob, concepita come “birra alla spina per intenditori” e con il nome ricavato dalla corruzione di quello slovacco della cittadina di Michalovce. Elaborata con una quantità minore di riso, essa offriva un aroma più spiccatamente luppolizzato.
La Budweiser comunque, qual primo marchio distribuito a livello nazionale nella storia dell’indutria birraria americana, rimaneva la punta di diamante. Dal 1876 il suo successo faceva il successo della casa produttrice. Nel 1895 il più agguerrito rivale, la Miller, non raggiungeva neanche la metà delle vendite rispetto alla Anheuser-Busch, che nel 1901 toccò il traguardo del primo milione di ettolitri.
Nel 1913 morì anche Adolphus Busch; gli seccedette nella presidenza il figlio August A. Busch. E l’azienda rimarrà sempre sotto la direzione di un componente della famiglia, fino all’acquisizione da parte della InBev nel 2008.
Durante il periodo del proibizionismo molti birrai statunitensi dovettero chiudere. La Anheuser-Busch, mettendosi a produrre Bevo (una bevanda di cereali non alcolica), riuscì a sopravvivere. E nel 1933, per festeggiare solennemente la fine di quegli anni bui, inviò una cassa di Budweiser alla Casa Bianca.
Ripresa l’attività a pieno ritmo, già nel 1938 l’azienda di St. Louis produceva 2 milioni di ettolitri. Dopo la seconda guerra mondiale, per sostenere la domanda del mercato, impiantò una lunga serie di stabilimenti in diverse parti del Paese: Newark (New Jersey, 1951); Los Angeles (California, 1954); Tampa (Florida, 1959); Houston (Texas, 1966); Columbus (Ohio, 1968); Jacksonville (Florida, 1969); Merrimack (New Hampshire, 1970); Williamsburg (Virginia, 1972); Fairfield (California, 1976); Baldwinsville (New York, 1980); Fort Collins (Colorado, 1988); Cartersville (Georgia, 1992).
Nel 1955 fu creata la Busch, distribuita a livello regionale. Due anni dopo, la Budweiser era la birra più bevuta al mondo. Nel 1964 la produzione aziendale superò i 10 milioni di ettolitri. E, di anno in anno, fino ai nostri giorni, anche per reggere la concorrenza incalzante dei microbirrifici, la Anheuser-Busch ha cominciato a diversificare la produzione, sperimentando sempre nuovi prodotti: analcoliche, light, a basso contenuto di carboidrati, senza glutine; fino alle lager scure, bock, ale molto luppolizzate, malt liquor, porter, wheat.
Era arrivato anche il momento di guardarsi un po’ intorno e fare i conti con la realtà. Fino ad allora l’azienda, a parte la partecipazione nella connazionale Redhook Brewery di Seattle e la quota del 50% nel gruppo messicano Modelo, non aveva nutrito velleità espansionistiche. Ma, con un mercato che ormai coperto per circa la metà lasciava poche speranze di crescita nazionale, non poteva più rimanere nel proprio guscio. Fondò quindi, nel 1981, la Anheuser-Busch International Inc., responsabile delle operazioni internazionali della società e delle partecipazioni. Cominciò a cercare sbocchi nel Vecchio Continente. Purtroppo si trovò subito a soffrire le limitazioni imposte allo sfruttamento del marchio Budweiser. Già all’inizio del secolo XX infatti iniziò la battaglia legale con la ceca Budweiser Budvar, che reclamava i diritti del nome. Una controversia destinata a rimanere viva, e scabrosa, nel tempo.
Soltanto la Suprema Corte svedese riconobbe, nel 2006, il diritto che derivava alla Anheuser-Busch dalla trasformazione, nel corso di oltre un secolo, del nome geografico in suo stile birrario. Pertanto, in quel Paese, la casa americana era la sola a poter utilizzare il marchio Budweiser; al contrario, l’azienda ceca doveva vendere la birra col nome di Budějovický Budvar.
E, dopo la Budweiser Budvar, ci si mise anche la tedesca Bitburger, che chiese formalmente all’organismo preposto alla registrazione dei marchi dell’Unione Europea di proibire alla birreria statunitense l’uso delle denominazioni Anheuser-Busch Bud e American Bud. Questa, la motivazione: la pronunzia dei due nomi creava molto spesso difficoltà al consumatore che finiva per chiamare la birra semplicemente “Bud”. Di conseguenza, in locali affollati e chiassosi non di rado si verificava la confusione tra “Bud” e “Bit”, quest’ultimo, nome colloquiale dei prodotti della Bitburger legato all’ormai tradizionale slogan “Bitte ein Bit”.
In Gran Bretagna invece, dove peraltro possedeva un’unità produttiva (che sarà chiusa nel 2010 come conseguenza del programma di ristrutturazione voluto dalla InBev), la Anheuser-Busch poteva contare sulla larga popolarità delle proprie birre, insieme a quelle della Guinness. Nel resto dell’Europa, a parte le altre 10 fabbriche dislocate in diversi paesi (tutte sottoposte a stretta supervisione), si avvaleva della collaborazione produttiva e distributiva di birrai nazionali.
In Cina, si accaparrò partecipazioni nella Tsingtao (27%) e nella Yan Ying, rispettivamente, prima e seconda birreria del Paese; prese il controllo del gruppo Harbin, risalente al 1900 e quarto produttore nazionale.
In India, tramite la joint venture con la Crown Beers, si assicurò il diritto di costruire uno stabilimento a Hyderabad per la produzione di Budweiser, che inizialmente sarebbe stata distribuita solo in quattro stati della zona Sud e Ovest del Paese.
Nel 2006 l’azienda statunitense iniziò la produzione per il mercato del New Jersey della Rolling Rock della connazionale Latrobe Brewing Company, rilevata dalla InBev USA. Concluse quindi un accordo con la Grolsch per l’importazione esclusiva dei suoi brand e la distribuzione tramite i propri 600 concessionari negli Stati Uniti: prodotti che affiancarono i marchi Corona, Tiger e Kirin già importati. Grazie a un’altra intesa con la InBev, divenne importatore esclusivo per il proprio Paese di prestigiosi marchi europei, quali Stella Artois, Beck’s, Bass Pale Ale, Hoegaarden, Leffe.
Particolarmente lusinghiero si rivelò l’approccio con la Budweiser Budvar, dopo un secolo di diatribe in diverse parti del mondo: sicché la Anheuser-Busch cominciò a importare negli Stati Uniti la celebre birra ceca. Mentre la successiva convenzione con la catena di alimentari Exito portò alla distribuzione in 37 città colombiane della Bud Light, con le “credenziali” del successo già ottenuto dalla Budweiser.
Tenendo infine conto che lo sport, soprattutto negli Stati Uniti, costituisce occasione di sicuri effetti promozionali e di forti consumi, la Anheuser-Busch legò il proprio marchio a sport ed eventi sportivi di grande richiamo. Uno dei principali sponsor della NBA (National Basketball Association), non ignorò altre discipline, come il baseball, il football americano, la pallavolo; in Formula Uno, il team dei piloti Juan Pablo Montoja e Ralf Schumacher.
Prolungò fino al 2014 il legame con i campionati mondiali di calcio iniziato nel 1986. In occasione di Germania 2006, dedicò una speciale bottiglia commemorativa ai vincitori, iniziando la produzione della birra un’ora dopo la consegna della Coppa. Sempre nel mondo del calcio, prese a sponsorizzare il Manchester United e il River Plate argentino.
In ambito olimpico, dopo essere stata supporter dei Giochi di Los Angeles del 1984, di Atlanta del 1996 e di Salt Lake City del 2002, uscì fuori dal territorio statunitense per diventare sponsor dei Giochi Olimpici invernali di Torino 2006 e accaparrandosi quindi le Olimpiadi di Pechino nel 2008, con il diritto di utilizzare il relativo logo, oltre che in Cina, anche in altri 29 paesi. Lo scopo era chiaramente quello di rafforzare la presenza nel mercato birrario asiatico, in particolare quello cinese che si presenta ancora oggi con ampie possibilità di sviluppo.
Per quanto riguarda l’Italia, la ditta americana unì il proprio nome al mondo degli sport da tavola, come snowboard, surf, windsurf, kitesurf.
Dunque, col presidente e amministratore delegato August A. Busch IV, la Anheuser-Busch era arrivata ai nostri giorni nelle vesti di un colosso industriale che sfiorava i 190 milioni di ettolitri all’anno. Dei 12 stabilimenti di produzione negli Stati Uniti, quello di Fort Collins ha dimensioni gigantesche. Mentre la prima fabbrica, di Saint Louis, gestisce ancora, unica in America, un maneggio di cavalli Clydesdale nel pieno rispetto della tradizione familiare.
Purtroppo, la sua, cominciava ad apparire una situazione tutt’altro che tranquilla. Già, dal primo, era stata relegata al terzo posto nella classifica mondiale produttori a opera della SAB Miller e del megagruppo InBev. E ancora non aveva saputo trovare valide opportunità di crescita in un mercato come quello statunitense (tra i maggiori del mondo) alle prese con il calo dei consumi e il rincaro delle materie prime a erodere gli utili.
Proprio in considerazione di tali difficoltà, la InBev si era fatta avanti con un’allettante proposta di acquisto (46 miliardi di dollari, circa 65 dollari per azione), supportata peraltro dalla promessa di mantenere il quartier generale a Saint Louis e di non operare tagli alla forza lavorativa. Subito si alzò un’opposizione generale. Busch intendeva caparbiamente rimanere indipendente, e aveva il consenso del governatore del Missouri e dei consumatori di tutto il Paese che si erano così espressi unanimemente su Internet: “La birra gelata è americana come il baseball e la torta di mele”.
Ma la InBev non è il tipo che demorde. Del resto giocavano a suo favore due particolari di fondamentale importanza: Busch aveva un minimo controllo della società, seguito circa al 5% dal miliardario Warren Buffet; le rivali SAB Miller e Molson-Coors erano già in moto per unire le proprie attività negli Stati Uniti e a Portorico. C’era quindi da verificare la resistenza alla sfida dei concorrenti, da parte di August Busch IV, e alla tentazione, da parte degli altri azionisti.
Infine, nel luglio del 2008, il consiglio di amministrazione della Anheuser-Busch accettò l’offerta di 52 miliardi di dollari (70 dollari per azione). Nacque così una nuova società, Anheuser-Busch InBev. Mentre, Carlos Brito, amministratore delegato della InBev, garantiva che il prezzo pagato in più non avrebbe cambiato le promesse fatte: la sede centrale della società USA sarebbe rimasta a Saint Louis, i 12 produttori di birra americani avrebbero continuato a essere operativi e la Budweiser sarebbe stata commercializzata in tutto il mondo al livello della Stella Artois e della Beck’s.
Al momento del passaggio alla InBev, l’Anheuser-Busch era proprietaria, a parte quelli nazionali, di 17 birrifici nel resto del mondo. Mentre la sua quota di mercato statuniense occupava il 48,9%.
Le birre della Anheuser-Busch poi sono presenti in oltre 80 nazioni. La Budweiser e la Bud Light occupano i primi due posti nella classifica mondiale per volumi di vendita, rispettivamente, con 39,5 e 48 milioni di ettolitri all’anno.
La punta di diamante rimane dunque la Budweiser, che dal 1876 simboleggia la fresca e leggera lager americana. La percentuale di riso impiegata (fino al 30%) conferisce l’aspetto chiaro e brillante, nonché vivacità e pulizia di gusto; mentre, nonostante le 10 varietà di luppolo tutte utilizzate integralmente, l’amaro si avverte a malapena.
Viene prodotta anche su licenza, sotto la supervisione di mastri birrai della Anheuser-Busch, in Italia (dove arrivò regolarmente nel 1988, con crescenti consensi e successo), Irlanda, Spagna, Canada, Argentina, Giappone, Russia, Corea del Sud. Ultimamente un accordo con la Heineken consente a quest’ultima di fabbricarla in Russia, nello stabilimento di San Pietroburgo.
Senz’altro la notorietà della bevanda è dovuta anche alla diffusione internazionale di piatti tipici della cucina americana, come gli hamburger, a cui si abbina egregiamente. Ma, per arrivare a essere la birra più venduta al mondo, senz’altro ha una marcia in più rispetto alle concorrenti: la rigorosa selezione degli ingredienti, un processo produttivo unico ed esclusivo, le verifiche accuratissime che inibiscono la benché minima sbavatura di standard qualitativi messi a punto nel corso di oltre 130 anni.
Il procedimento di lavorazione è costituito da 240 fasi, rigidamente controllate per garantire che la bevanda sia sempre della migliore qualità e abbia lo stesso sapore in tutto il mondo. A tale scopo, negli stabilimenti Anheuser-Busch statunitensi ed esteri, nonché in quelli dei partner locali come Heineken Italia, i mastri birrai si riuniscono ogni giorno per valutare l’aroma, l’aspetto, il gusto della birra nelle diverse fasi del processo produttivo. Una volta la settimana poi vengono spediti dei campioni di Budweiser allo Headquarter di Saint Louis.
L’acqua, oltre ai test qualitativi giornalieri, è sottoposta ad accurato filtraggio per eliminare qualsiasi odore o impurità. Il malto proviene da orzo a due e a sei file: la miscela dei due tipi equilibra la dolcezza del primo col sapore più deciso del secondo. Il luppolo è quello coltivato direttamente nelle due aziende agricole di proprietà, a Banners Ferry (Idaho) e nella Hallertau (Germania). Alla raffinazione del riso provvedono i due impianti aziendali, in California e in Arkansas. Il lievito discende dalla coltura utilizzata per la prima volta da Adolphus Busch nel 1876.
Del tutto singolare risulta il metodo di stagionatura, denominato beechwood aging (“stagionatura in trucioli di faggio”). Fa parte del processo di fermenzazione secondaria, quello che determina il gusto e l’effervescenza naturale.
Terminata dunque la prima fermentazione, la birra viene trasferita in una vasca di fermentazione secondaria sul cui fondo è stato disposto uno strato di trucioli di faggio (lagering); l’aggiunta di una parte di mosto appena lievitato provoca la rifermentazione (kräusening), a cui segue la fase di stagionatura. Tale procedimento esclusivo serve a levigare il sapore: i trucioli agiscono da catalizzatore per l’azione biochimica del lievito, che precipita su di essi e continua a reagire fino al completamento della fermentazione.
Per evitare infine che diventi torbida quando viene refrigerata, la birra subisce il trattamento antiraffreddamento in una vasca contenente tannino naturale. Questo fissa alcune proteine presenti nel liquido e precipita insieme a esse sotto forma di particelle solide.
Oltre alla Budweiser e alla Michelob, nel catalogo dell’azienda figurano attualmente tanti altri prodotti, nessuno però addizionato di anidride carbonica.
Da parte nostra, riporteremo le offerte più rappresentative suddivise in “famiglie”, così come annoverate dall’azienda. Mentre l’anno tra parentesi è quello in cui la birra venne immessa in commercio per la prima volta.
Budweiser Famiglia
Budweiser/Bud
(1876), premium lager di colore giallo paglierino scarico (g.a. 5%); la birra più venduta al mondo dal 1957 e distribuita in più di 80 paesi. Bud è la denominazione adottata per il continente europeo. Rivolta a un target giovane e dinamico, viene commercializzata con lo slogan “King of Beers” (“Il re delle birre”): un probabile riferimento alla predilezione dei monarchi boemi per le birre prodotte a Budweis. L’effervescenza risulta più alta rispetto alla media delle lager, con una spuma fine e compatta tendente al cremoso. Il caratteristico aroma di malto, con vaghi sentori di lievito e fruttati, si libera penetrante e insistente. Il corpo ha struttuta soffice, leggera. Il gusto fluisce delicato, appena dolciastro e lievemente amaro, insieme. Il finale, non certo di lunga durata, sbocca in un retrolfatto amarognolo altrettanto corto. Si tratta di un prodotto che accontenta un po’ tutti i palati per il carattere fresco e dissetante; riscuote peraltro particolare apprezzamento da parte dei consumatori più giovani, che amano l’America e i suoi miti.
Budweiser Black Crown (2013), american amber lager di colore ambra profondo (g.a. 6%). Il lievito discende direttamente dal ceppo originale Budweiser usato da Adolphus Busch nel 1876. Le caratteristiche basilari sono infatti quelle della Budweiser. Con un’effervescenza moderata, la schiuma abbonda ma svanisce in fretta lasciando i segni di una minima allacciatura. L’aroma è a base di cereali tostati e di caramello, non senza un dolce tocco di alcol. Il corpo medio si rivela molto asciutto. Il gusto presenta una solida spina dorsale di malto, alla quale si appoggiano piacevoli note di fiori ed erba, con una sottile finitura amara e acidula. Al finale asciutto e pulito, tiene dietro un intenso, persistente, retrolfatto dalle suggestioni di mela verde avvolte in un dolce alone di etanolo.
Famiglia Bud Light
Bud Light (1982)
, light lager di colore biondo pallido (g.a. 4,1%). Fiore all’occhiello dell’azienda, risulta la birra più venduta negli Stati Uniti. L’effervescenza è moderata; la schiuma, bassa, di scarsa ritenzione e senza allacciatura. L’aroma si libera con deboli sentori di malto, mais ed erbe. Il corpo decisamente sottile asseconda un fresco gusto di cereali e di riso. Al corto finale, tiene dietro un retrolfatto altrettanto breve, e di un croccante amarore.
Bud Light Platinum (2012), light lager di colore giallo dorato (g.a. 6%). Versione della Bud Light, con maggiore dolcezza derivante dal tasso alcolico più elevato e confezionata in una bottiglia di vetro blu traslucido. La schiuma, ricca e sottile, è gestita da una morbida effervescenza. L’olfatto si presenta molto pulito, a base di mais, crema di riso, verdure cotte: il tutto condito con un granuloso sentore di mela e un delicato tocco di alcol. Il corpo appare leggero e abbastanza acquoso. Il gusto inizia liscio e zuccherino per assumere via via note di luppolo speziato, con una finitura quasi amara, terrosa. Il finale arriva avvolto in una secchezza leggermente piccante. Il rertrolfatto non dura tanto, il tempo di erogare note alquanto metalliche.
Bud Light Lime (2008), light lager di colore dorato chiaro (g.a. 4,2%). Utilizza una combinazione di malti d’orzo, cereali non sottoposti a maltaggio, sottile luppolizzazione e il sapore della calce naturale. Con un’effervescenza media, la spuma si alza minuta e abbastanza durevole. L’aroma sa tanto di malto di mais, luppolo e, soprattutto di calce. Il corpo ha una consistenza leggera e piuttosto acquosa. Il gusto è abbastanza dolce, con note di cereali, malto, e una persistente finitura di calce.
Michelob ULTRA Famiglia
Michelob ULTRA (2002)
, lager di colore oro molto pallido (g.a. 4,2%). Con 95 calorie, 2,6 g di carboidrati e, in più, molto rinfrescante, un anno dopo la sua introduzione divenne il nuovo brand in più rapida crescita nel settore, conseguendo un vero e proprio successo tra gli appassionati di fitness per adulti. Con un’effervescenza moderata, la schiuma emerge alta, densa, senza lasciare però il minimo segno di allacciatura dopo la rapida dispersione. L’aroma reca una sottile dolcezza di malto, con qualche sentore di lievito, mais e cereali. Il corpo appare da leggero a medio. Il gusto, abbastanza liscio e particolarmente asciutto, s’ispira al pane bianco, al riso, al lievito, con una delicata finitura di amaro erbaceo. Il retrolfatto, di consistenza piuttosto metallica, emana piacevoli suggestioni di un fumo granuloso.
Michelob ULTRA Amber (2006), amber lager/vienna di un bel colore ambrato intenso (g.a. 4%); anch’essa a basso contenuto di calorie e carboidrati. Presenta un’effervescenza media; schiuma di un bianco sporco non ricca ma durevole; tenue aroma di caramello, pane dolce, frutta matura, con un pizzico di granulosità erbacea; corpo leggero e abbastanza acquoso; gusto dal buon equilibrio tra la dolcezza del cereale e l’amarore del rampicante, con note emergenti di grano, malto tostato, luppolo terroso; sufficiente finale, pulito e rinfrescante.
Michelob ULTRA Light Cider (2012), light sidro di colore giallo pallido (g.a. 4%); a base di mele croccanti, naturalmente zuccherato, senza glutine, e con almeno un terzo di calorie in meno rispetto ai sidri tradizionali. L’effervescenza è ai minimi termini; la schiuma, bassa ed vanescente. L’olfatto si libera con deboli sentori di mela verde, mele candite e accenni di lavanda. Il corpo leggero asseconda un gusto lievemente dolce, scorrevole, rinfrescante. La corsa, non così lunga, si chiude abbastanza secca.
ULTRA 19th Hole Light Tea & Lemonade (2012), bevanda al malto di colore oro ambra (g.a. 4%). Aromatizzata con tè freddo e limonata, risulta più leggera rispetto a quelle tradizionali della stessa categoria. L’effervescenza è appena sufficiente; la schiuma, scarsa e di rapida scomparsa. L’aroma sa di tè freddo al limone. Il corpo si rivela sottile e acquoso. Il gusto, piacevole e rinfrescante, si appella al succo di limone, con una nota di alcol. Il finale dura abbastanza e asciuga il palato.
Michelob ULTRA Fruit Lime Cactus (2007), birra alla frutta di colore paglierino chiaro (g.a. 4,2%). È una perfetta combinazione di tè freddo croccante e dolce limonata: effervescenza elevata; enorme schiuma che si dilegua in fretta lasciando una piccola allacciatura; aroma di calce, frutta esotica, agrumi, crostata dolce; corpo molto leggero; gusto che ricorda vagamente mais, calce, limone; pulito finale di frutta esotica.
Bud Ice
Bud Ice (1994)
, ice beer di colore dorato pallido (g.a. 5,5%); una delle più vendute della categoria nel Paese. Viene offerta in una bottiglia di vetro trasparente simile al cristallo e con tappo a corona svitabile. Pubblicizzata con lo slogan “Remarkably easy to drink” (“Incredibilmente facile da bere”), si propone come ottimo dissetante per chi non ama particolarmente il gusto della birra. Specie se consumata fredda infatti, sembra acqua minerale: assenza assoluta di luppolo, e solo un evanescente richiamo di malto e di alcol.
Bud Light Lime Ritas
Il margarita è il più comune coctail messicano a base di tequila.
Bud Light Lime Lime-A-Rita (2012), birra alla frutta di colore verde giallo chiaro (g.a. 8%); miscela di Bud Light Lime e margarita di calce. Ha un’effervescenza piuttosto pesante; schiuma minima ed evanescente; aroma pungente, con sentori di limone, calce, tequila; corpo sottile; gusto gradevolmente dolce, con qualche nota amara e acida; finale avvolto in un alone alcolico.
Bud Light Lime Straw-Ber-Rita (2013), birra alla frutta di colore rosa rossastro (g.a. 8%); miscela di Bud Light Lime e margarita di fragola. Si propone con un’effervescenza sottile; schiuma scarsa ma abbastanza durevole; aroma aspro, dai sentori di pompelmo, lime, fragola; corpo abbastanza acquoso; gusto dolce, a base di frutta, zucchero, calce; retrolfatto dalle impressioni di lime.
Bud Light Lime Raz-Ber-Rita (2014), birra alla frutta di colore rosso porpora (g.a. 8%); miscela di Bud Light Lime e margarita di lampone. Presenta un’effervescenza pesante; schiuma di dimensioni ridottissime; aroma di lampone, ciliege e caramello; corpo sottile; gusto di lampone fresco con finitura zuccherina; finale asciutto e pulito.
Bud Light Lime Mang-o-Rita (2014), birra alla frutta di colore arancione (g.a. 8%); miscela di Bud Light Lime e margarita di mango. L’effervescenza, all’inizio moderata, va via via crescendo. La schiuma bianca sfuma in fretta, lasciando un sottile collare al bordo del bicchere. L’aroma si libera con forti sentori di mango, pesche, arancia. Il corpo risulta leggero però non acquoso. Il gusto, alquanto appiccicoso, reca nette note di mango, in un delicato rivestimento alcolico. Il finale secco introduce un discreto retrolfatto dalle persistenti suggestioni del liquore di malto.
Busch
Prodotte con una combinazione di malto e mais. A un prezzo leggermente inferiore, servono come secondo marchio più popolare della Anheuser-Busch.
Busch (1955), lager di colore dorato (g.a. 4,6%). Con un’effervescenza molto alta, la schiuma si origina minuta e di sufficiente durata. L’aroma di luppolo è tenue, ma piacevole. Il corpo leggero asseconda un fresco gusto dal perfetto equilibrio tra cereale e amaricante, con finitura liscia lievemente dolce.
Busch Light (1989), light lager di colore paglierino: effervescenza minima, schiuma bianca di scarsa ritenzione, debole aroma di mais con un sentore di fiori, corpo sottile e acquoso, gusto pulito di grano con note di luppolo amaro (g.a. 4,1%).
Busch Ice (1995), ice beer di colore giallo dorato chiaro (g.a. 5,9%). Presenta un’effervescenza moderata; schiuma di medie dimensioni ma non così stabile; forte aroma di alcol, che copre i labili sentori di sciroppo di mais, verdure e mela verde; corpo leggero, liscio e cremoso; gusto gradevole ed equilibrato, con lunghe note di malto, banana, riso, e una sottile rifinitura di mais e zucchero filato; finale piuttosto aspro di luppolo; discreto retrolfatto a malapena dolce.
Busch NA (1994), lager analcolica di colore giallo pallido (g.a. 0,05%). L’alcol viene rimosso a fermentazione completa, tramite bassa temperatura e distillazione a bassa pressione. Ha un’effervescenza tagliente; schiuma bianca che si dilegua rapidamente; debole aroma floreale con accenni di grano e di malto; corpo sottile; sapore di malto liscio e corposo, con qualche nota di agrumi e una punta finale di acidità.
Busch Signature Copper Lager (2014), american amber lager di colore rame chiaro (g.a. 5,7%). La schiuma alta, spessa, però senza allacciature, è gestita da un’effervescenza piuttosto bassa. L’aroma si libera quasi in sordina, con labili e polverosi sentori di malto, caramello, orzo tostato. Il corpo appare da leggero a medio. Il gusto, granuloso e liscio, eroga note di mais, riso croccante, non senza un tocco di luppolo e di liquirizia, in un delicato rivestimento di crosta di pane. Il finale, piuttosto amaro, introduce un retrolfatto non tanto lungo ma dalle pulite sensazioni di asciuttezza.
Chelada Famiglia
Clamato o succo clamato è il nome di un cocktail a base di succo di pomodoro aromatizzato con spezie e brodo di vongole; anche se inventato negli Stati Uniti, è più comune in Canada e in Messico.
Budweiser & Clamato Chelada (2008), spiced beer di colore arancione (g.a. 5%); miscela di Budweiser e clamato. Con un’effervescenza bassa, la schiuma, di un bianco sporco, fuoriesce bassa e di scarsa durata. L’aroma è a base di pomodoro, calce, vongole crude ed erbe aromatiche. Il corpo medio ha una consistenza lievemente liscia. Il gusto, un po’ dolce, sa di succo di pomodoro, con una nota amara e un pizzico di alcol. Il finale arriva secco e con una punta di calce. Il retrolfatto eroga suggestioni di spezie leggere.
Budweiser Chelada Picante (2012), spiced beer di colore arancione (g.a. 5%); versione, più piccante, di Budweiser & Clamato Chelada.
Bud Light & Clamato Chelada (2008), spiced beer di colore rosa aranciato (g.a. 4,2%); miscela di Bud Light e clamato. L’effervescenza è media; la schiuma, abbondante, vaporosa, ma di rapida dissoluzione. L’aroma si libera con sentori di calce, succo di pomodoro salato, sugo di vongole e spezie. Il corpo, da leggero a medio, è annacquato, frizzante. Il sapore reca note di succo di pomodoro lievemente dolce, vongole salate, calce, con una delicata finitura di agrumi. La corsa, abbastanza regolare, si chiude con un’impressione piccante.
Johnny Applesseed
Johnny Applesseed Hard Apple Cider (2014)
, sidro duro di colore dorato chiaro (g.a. 5%); omaggio a Johnny Appleseed (all’anagrafe, John Chapman), un missionario vissuto a cavallo del 1700 e 1800, diventando uno dei pionieri delle piantagioni di mele negli Stati Uniti. Presenta un’effervescenza decisa, con la schiuma che fa appena in tempo a emergere. L’aroma è dolce di mela, con qualche labile richiamo di miele. Il corpo, esile ma vivace, asseconda un delicato gusto di mela mescolato a zucchero bianco. La finitura di crostata allestisce un buon equilibrio tra la dolcezza e l’amarore emergente. Dal retrolfatto si levano sensazioni secche e aspre.
Malt Liquor
Hurricane Malt Liquor (1995)
, malt liquor di colore giallo dorato: effervescenza piuttosto alta e un po’ rudida; schiuma ricca e sottile, che svanisce rapidamente; aroma dolce e tenace, con sentori deboli di cereali e forti di alcol; corpo medio-leggero; sapore robusto ma morbido, con note dolci di frutta e amarognole di luppolo; persistente retrolfatto dalle suggestioni metalliche (g.a. 5,9%).
Hurricane High Gravity (2005), malt liquor di colore paglierino dorato: bassa effervescenza; schiuma molto fine e alta, con buona allacciatura; aroma pulito a base di mais, grano cotto, malto, avvolti in un pesante alone alcolico; corpo sottile di consistenza oleosa; gusto di semola di granturco e grano tostato, con dolce finitura di biscotto; finale asciutto; retrolfatto amarognolo, terroso e pungente (g.a. 8,1%).
King Cobra (1984), malt liquor di colore paglierino chiaro: effervescenza media; schiuma minuta e cremosa di rapida dissoluzione; aroma di mais dolce e malto polveroso, con un pizzico di luppolo; corpo da leggero a medio un po’ appiccicoso; gusto di cereali e verdure cotte, con una rifinitura granulosa amabile; finale secco e pulito; sufficiente retrolfatto con buon equilibrio tra la dolcezza del malto e l’amarore del rampicante (g.a. 6%).
Michelob
Michelob (1896)
, super premium lager di colore paglierino sbiadito (g.a. 5%); reperibile anche in bottiglia dal 1961. Originariamente la bottiglia aveva una forma unica, denominata “la bottiglia a goccia”, perché sembrava una goccia d’acqua. Bottiglia, che, nel 1962, si aggiudicò una medaglia da parte dell’Institute od Design. Cinque anni dopo, per l’efficienza nella linea di produzione, la bottiglia venne ridisegnata, e rimase tale fino al 2002, quando fu sostituita dalla bottiglia tradizionale; venne però ripresentata dal 2007 al 2008. Nel 1966 fu introdotto invece il barattolo. La Michelob si propone come alternativa alla più quotata “sorella maggiore”, rispetto alla quale è sicuramente più equilibrata. Viene elaborata con un’alta percentuale di malto da orzo distico e luppolo importato. La bottiglia, in una forma del tutto particolare, reca l’etichetta sul collo e il tappo a corona “svita e avvita”. La schiuma, fine e spessa, risulta anche stabile e di buona aderenza. L’aroma si sprigiona fresco di cereali. Il corpo è leggero, con un sapore delicato e dal giusto equilibrio tra malto e amaricante per l’intera corsa. Nel finale il luppolo prende il sopravvento con la propria secchezza, e dona al corto retrolfatto una suggestione amarognola.
Michelob Light (1978), light lager di colore giallo dorato chiaro (g.a. 4,3%); la prima birra light super premium del Paese. L’effervescenza è piuttosto bassa; la schiuma, ricca e vaporosa, scompare in fretta, lasciando però un bel pizzo sul vetro. L’aroma si libera quasi in sordina, con sentori di mais, caramello, pane, luppolo, e un tocco di agrumi. Il corpo è ovviamente leggero. Il gusto si snoda aspro e rinfrescante, tra note di grano cotto, agrumi, luppolo erbaceo. Il finale amarognolo precorre un corto retrolfatto aromarico.
Michelob AmberBock (1995), amber lager/vienna (g.a. 5,2%). Propone una bella schiuma bassa e sottile, adeguata all’effervescenza moderata; debole aroma di caramello, con sfuggenti sentori di fichi e zucchero bruciato; corpo medio frizzante, dalla tessitura appiccicosa; ricco gusto tostato con solo un pizzico di amarore; finale leggermente acido; retrolfatto dalle suggestioni di noci con un richiamo dolce di caramello.
Naturale
Natural Light (1977)
, light lager di colore paglierino pallido (g.a. 4,2%); realizzata con una combinazione di malto e mais, per ottenere un corpo più leggero e di facile beva, nonché un minor numero di calorie. Con un’effervescenza media, la spuma emerge piuttosto scarsa e dura non più di tanto. L’aroma è debole e granuloso, a base di malto e mais, con un accenno di riso. Il corpo appare molto sottile e acquoso. Il gusto scorre pulito e croccante, con sufficienti note di orzo, mais, luppolo. Il finale, estremamente asciutto, prelude a un discreto retrolfatto amarognolo dalle sensazioni di crema di mais.
Natural Ice (1995), ice beer di colore dorato (g.a. 5,9%); ancora una combinazione di malto e mais. Presenta un’effervescenza moderata; schiuma non abbondante tanto meno durevole; aroma molto leggero, di cereali, paglia, con un dolce tocco di alcol; corpo sottile, morbido e pulito; gusto delicato, con note di mais, agrumi, banana, e finitura di luppolo; finale secco, acquoso, quasi metallico.
Oculto
Quando, all’inizio del 2015, comprò la SABMiller, che, a sua volta, nel 2013 aveva rilevato la Modelo, la AB InBev dovette, per motivi antitrust, rinunziare all’importazione delle più importanti birre messicane e vendette i diritti di distribuzione negli Stati Uniti alla Constellation Brands Inc. Rimasta pertanto senza alcuna birra messicana nel mercato statunitense, iniziò con una limitata distribuzione di Montejo, una lager messicana fatta da una società controllata dalla Modelo. Lanciò quindi Oculto, dal profilo messicano, per attirare i consumatori più giovani che sempre più scelgono liquori e birre messicane appunto.
Oculto (2015), malt liquor di colore oro chiaro (g.a. 6%). È ottenuto da lager invecchiate in botti di tequila e aromatizzate con agave blu. L’etichetta è stampata direttamente su una bottiglia trasparente simile a quella della Corona. Il nome invece, Oculto, è inciso in un teschio bianco che richiama lo stile messicano delle opere d’arte Day of the Dead (“giorno dei morti”, in spagnolo). Il logo diventa fluorescente e gli occhi vuoti del teschio emanano un bagliore verde quando la bottiglia è fredda. Oculto, in spagnolo, significa “nascosto”, e ogni bottiglia avrà un messaggio segreto. Con un’effervescenza bassa, la schiuma si leva sottile, alta e con buona allacciatura. L’olfatto esprime sentori di tequila, agave e crema di mais, con lievi accenni di agrumi e di calce. Il corpo tende a una consistenza media. Il gusto, morbido e alquanto dolce, reca note di cereali, lime, sale, pepe, con una rifinitura amara di mandorla. Dal retrolfatto di sufficiente durata esalano agre suggestioni di limone.
O’Doul’s
O’Doul’s (1990)
, lager analcolica di colore paglierino chiaro (g.a. 0,5%). Fermentata e affinata alla piena maturità, l’alcol le viene sottratto attraverso l’uso di bassa temperatura e distillazione a bassa pressione. L’effervescenza è piuttosto aggressiva; la schiuma bianca, di medie dimensioni, si dissipa rapidamente. L’aroma s’ispira al mais dolce, al miele, al malto d’orzo, al riso. Il corpo appare abbastanza leggero e acquoso. Il gusto si snoda in allegra amabilità, portando a termine una corsa regolare tra note amarognole di luppolo. Il discreto retrolfatto è improntato a una secchezza detergente.
O’Doul’s Amber (1997), lager analcolica di colore ambra chiaro (g.a. 0,5%); sempre con rimozione dell’alcol a bassa temperatura e distillazione a bassa pressione. Con un’effervescenza moderata, la spuma emerge minuta, densa, abbastanza durevole. Caramello, mais dolce, zucchero filato e pane imburrato allestiscono un discreto bouquet persistente. Il corpo, da leggero a medio, presenta una consistenza alquanto acquosa. Il gusto, inizialmente abboccato, prende via via una connotazione amarognola, finendo in una asciuttezza pulita.
Birre Regionali
Michelob Golden Draft (1991)
, lager americana di colore biondo pallido (g.a. 4,7%); molto popolare nel Midwest. È una variante della Michelob, con aggiunta di mais. La spuma, copiosa, sottile e persistente, è gestita da un’effervescenza moderata. Un fievole malto segna l’aroma. Il corpo leggero e frizzante nutre un piacevole gusto che, pur decisamente orientato al dolce, termina asciutto. Una sensazione di malto, sbuca dal retrolfatto.
Michelob Golden Draft Light (1991), light lager di colore paglierino chiaro (g.a. 4,1%). Utilizza una percentuale di riso, per creare un liscio gusto rinfrescante, e subisce un processo di fermentazione più lungo, per ottenere maggiore leggerezza e un minor numero di calorie. Con un’effervescenza elevata, la schiuma sottile si dissipa rapidamente, lasciandosi però alle spalle un minimo di allacciatura. L’aroma sa di cereali, mela, lievito, luppolo, con un insistente segno di alcol. Il corpo appare molto leggero, e anche un po’ acquoso. Il sapore, piuttosto granuloso, defluisce fresco, pulito, tra note di grano, riso, banana matura, non senza una lieve punta di acido verso la fine della corsa.
ZiegenBock (1995), amber lager/vienna di colore ambrato chiaro (g.a. 4%); disponibile solo nel Texas. L’effervescenza è moderata e piuttosto ruvida; la spuma, densa, minuta, di buona durata. Al naso si mettono in evidenza grani tostati, seguiti da tenui sentori di caramello, mais, lievito e luppolo. Il corpo ha una consistenza abbastanza sottile. Il gusto, con una finitura estremamente pulita, si snoda morbido, dolce, con qualche nota di luppolo erbaceo, caramello, nocciola.
Selezionate Famiglia
Budweiser Select (2005)
, light lager di colore giallo chiaro (g.a. 4,3%). Fortemente promossa con lo slogan “The Real Deal”, contiene 99 calorie e 3,1 g di carboidrati. Con un’effervescenza alta, la schiuma emerge alta e sottile, ma si dissolve in fretta. L’aroma è dolce, di grano, mais, luppolo erbaceo. Il corpo medio appare piuttosto acquoso. Il gusto reca note di malto, cereali, pane, con una finitura liscia e croccante. Il finale è avvolto in una secchezza polverosa. Il retrolfatto, abbastanza pesante, emana suggestioni di orzo cotto.
Budweiser Select 55 (2009), light lager di colore dorato pallido (g.a. 2,4%). Viene pubblicizzata come la birra più leggera al mondo: 55 calorie e 1,9 g di carboidrati. L’effervescenza è vivace; la spuma, scarsa, evanescente. L’aroma si libera debole e granuloso, a base di erbe, lievito, luppolo floreale. Il corpo è sottile e acquoso. Il gusto, con lievi note di malto dolce, porta a termine una corsa pressoché regolare all’insegna del mais e degli agrumi. Il finale arriva fresco e pulito.
Shock Top
Shock Top Belgian White (2006)
, witbier di colore dorato chiaro (g.a. 5,2%). Con un’effervescenza abbastanza vivace, la schiuma fuoriesce di medie dimensioni e con sufficiente allacciatura. L’aroma sa di malto, frumento, limone, chiodi di garofano, pepe bianco. Il corpo, da leggero a medio, appare morbido, delicato. Il gusto, un po’ granuloso, defluisce tra le note lievemente dolci di cereali, buccia d’arancia, coriandolo, con una finitura asciutta e fresca; il finale fruttato introduce un discreto retrolfatto dalle suggestioni di grano e di arancia.
Shock Top Raspberry Wheat (2011), birra alla frutta di colore dorato giallognolo (g.a. 5,2%); con sapore di lampone naturale aggiunto. L’effervescenza è moderata; la spuma, abbondante ma di rapida dissoluzione. Il naso s’ispira a un forte sentore di lampone. Il corpo leggero asseconda un gusto semidolce e astringente a base di erbe, lampone, luppolo, vaniglia. Il finale, con un’impressione minerale gessosa, introduce un corto retrolfatto di lampone selvatico.
Shock Top Lemon Shandy (2012), radler di colore giallo limone (g.a. 4,2%); con sapore naturale di limonata aggiunto. La spuma, minuta, scarsa e con poca allacciatura, è gestita da un’effervescenza media. L’aroma si libera fruttato e dolce, con sentori di pompelmo, limone, grano e lievito belga. Il corpo leggero presenta una trama alquanto liscia,. Il gusto reca note di pera, limonata, malto, biscotti, con un rivestimento di lievito rinfrescante. Il retrolfatto, corto e polveroso, lascia qualche resuduo dolciatro di cereali.
Shock Top Honeycrisp Apple Wheat (2013), birra alla frutta di un pallido colore giallo dorato (g.a. 5,2%). Viene aggiunto il sapore naturale della mela Honeycrisp, cultivar sviluppata dall’Università del Minnesota e introdotta nel 1991, di eccezionale freschezza e succosità, nonché di un sapore dolce delicato. Ha un’effervescenza bassa; schiuma leggermente cremosa di scarsa durata; aroma granuloso di mais con sentori di mela e cannella; corpo sottile di consistenza un po’ acquosa; gusto piacevolmente frizzante, a base di grano, mela verde, crostata; finale asciutto e dolciastro.
Shock Top Honey Bourbon Cask Wheat (2014), wheat ale di colore arancio ambrato (g.a. 5,5%); prodotta con malto caramello e miele, e invecchiata in botti di bourbon. Presenta un’effervescenza media; spuma minuta senza la minima allacciatura; aroma di bourbon, legno bagnato, grano e vaniglia; corpo medio di consistenza oleosa; gusto dominato dal miele con scarso amarore e una nota insistente di bourbon; dolce finale corto; retrolfatto evalescente di miele.
Specialità Birre
Redbridge (2006)
, gluten free di colore ambrato chiaro (g.a. 4%); realizzata con il sorgo. Con un’effervescenza piuttosto alta, la schiuma fuoriesce scarsa e di facile dissoluzione. L’aroma è tenue, di malto, nocciola, mela verde, lupplo fruttato. Il corpo sottile ha una consistenza acquosa. Il gusto, moderatamente luppolizzato, si avvale di una delicata finitura di grano tostato dolce. Anche il retrolfatto, che tiene dietro a un finale asciutto e pulito, si rivela abbastanza dolce.
Wild Blue (2005), lager ai mirtilli di colore viola scuro (g.a. 8%); conosciuta anche Blue Dawg Brewing Wild Blue Blueberry Lager. Propone un’effervescenza alta; schiuma di medie dimensioni sottile e abbastanza labile; gradevole aroma di mirtilli avvolto in un alone dolce di alcol; corpo da leggero a medio un po’ appiccicoso; gusto sempre di mirtilli con qualche nota di cereali, zucchero, luppolo; finale di lieve secchezza; retrolfatto dalle insistenti sensazioni di saccarina.
Wild Red (2014), lager ai lamponi di colore rosso intenso (g.a. 8%); conosciuta anche come Blue Dawg Brewing Rascal’s Wild Red Raspberry Lager. L’effervescenza media ha un lento aumento; la spuma è piuttosto grossolana e mostra un minimo di ritenzione. Al naso s’impongono intensi e tenaci sentori di lampone, con una dolcezza opportunamente mitigata dalle spezie. Il corpo, tra leggero e medio, è gradevolmente appiccicaticcio. Il gusto inzia pieno di lampone per perderne man mano il sapore a vantaggio di note luppolizzate e rinfrescanti. Il finale, a malapena secco, introduce un discreto retrolfatto ancora ispirato al lampone.
Wild Black (2014), lager alle more (g.a. 8%); conosciuta anche come Blue Dawg Brewing Shadow’s Wild Black Blackberry Lager. Ha un’effervescenza bassa che però cresce rapidamente; spuma minuta e spessa molto stabile; aroma di frutti di bosco, con le more in particolare evidenza; corpo medio, morbido, frizzante, sciropposo; gusto abbastanza dolce, granuloso, lievemente acido verso la fine della corsa; finale asciutto con una sfumatura di alcol; retrolfatto corto, amaro, astringente.
Latrobe Brewing Company/Latrobe
Azienda, in Pennsylvania, nata nel 1893 dall’estensione fuori città della Pittsburgh Brewing Company, di Pittsbiurgh appunto. Rimase l’unica fabbrica di birra a Latrobe dal 1898, quando chiuse quella gestita dai benedettini, in attività dal 1856.
C’è da ricordare infatti che il primo monastero benedettino negli Stati Uniti fu quello di Saint Vincent di Latrobe, fondato nel 1846 da Bonifacio Wimmer, proveniente dall’abbazia bavarese di Metten.
Durante il proibizionismo, quattro fratelli di Latrobe (Frank, Robert, Ralph e Anthony Tito), credendo nella temporaneità del divieto, acquistarono il birrificio inattivo. E, nel 1933, Labrobe Brewing Company riaprì i battenti; mentre la sua birra, pian piano, diventava un’icona della Pennsylvania occidentale.
Poi, nel 1987 la birreria fu rilevata dalla Labatt, che, a sua volta, passò alla Interbrew. Grazie alla commercializzazione in modo aggressivo da parte del colosso belga, la Rolling Rock divenne un prodotto nazionale, e la sua fabbrica uno dei più grandi produttori di birra negli Stati Uniti.
Infine, nel 2006, la InBev USA, il ramo americano della InBev SA, vendette il marchio alla Anheuser-Busch, che trasferì la produzione della Rolling Rock a Newark. La fabbrica invece fu acquistata dalla City Brewing Company di La Crosse.
Rolling Rock Extra Pale, premium lager di colore giallo paglierino (g.a. 4,5%). Fu lanciata nel 1939 col nome del vicino maneggio Rolling Rock Estate e col misterioso numero “33” sul retro della bottiglia. Questo numero ha dato adito a tante ipotesi, le più fantastiche; ma la convinzione diffusa è che esso segni l’abrogazione del divieto del 1933. Pur non possedendo un gran carattere, può contare su un buon numero di consumatori fedeli. Merito anche del gusto semplice e dell’insolita confezione. L’etichetta è stampata sulla bottiglia, secondo una pratica in voga nel passato e ripresa con successo dalla Sol e dalla Corona. L’effervescenza è moderata; la spuma, fine e aderente. Al naso si propone un blando malto dall’accento di luppolo. Il corpo leggero tende al rotondo con discreta morbidezza. Il gusto scorre semplice, amabile per assumere, in finale, una consistenza luppolizzata che, nel retrolfatto di sufficiente durata, si fa amara e asciutta.
Collaborazione
Con Margaritaville di Jimmy Buffett
, catena di ristoranti e negozi che vendono merce-themed.
Landshark Lager (2008), lager in stile isolano di colore giallo paglierino chiaro (g.a. 4,7%). La schiuma, minuta e abbastanza durevole, è gestita da un’effervescenza decisa. L’aroma si libera erbaceo, con un ben distinto sentore di malto dolce. Il corpo leggero ha una consistenza acquosa. Il gusto si snoda fresco e asciutto, all’insegna del mais e del pane chiaro, e con una sottile finitura di miele che si tiene ben lontano dalla stucchevolezza.